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Oscar – Un fidanzato per due figlie (1991): non chiamarmi Snaps davanti ai banchieri!

Dovevo festeggiare il compleanno di questo film già da
tempo, poco male, ogni scusa è buona per scrivere del mio amico John Landis.

La verità è che il regista di Chicago è arrivato a questo
film un po’ di sponda, Il principe cerca moglie era stato il suo primo successo al botteghino dopo diverso tempo
passato con le gomme a terra, anche se sul set le storie con Eddie Murphy si
sono fatte tesissime. Sapete come funziona Hollywood, la fama che ti fai ti
resta incollata addosso, non solo nella mecca del cinema americano per la
verità, ma come ogni posto di lavoro Landis in quel periodo sembrava a
disposizione per attori con ambizioni, ecco perché finì a dirigere il più
improbabile dei nomi, almeno sulla carta, quello di Sylvester Stallone.

Zio Sly e il mio amico John, il divo degli anni ’80 e il
regista che di quel decennio ha saputo interpretare meglio di tutti ossessioni
e temi, sembravano fatti l’uno per l’altro se non fosse che non hanno mai
lavorato su storie della stessa tipologia, l’azione e la serietà congenita di
Sly ben poco si sposavano con l’umorismo irriverente di Landis, almeno finché
Stallone non decise di aprire alle commedie, nell’eterna lotta a distanza con l’amico
e rivale Arnold, che invece aveva azzeccato anche titoli come “Un poliziotto
alle elementari” (1990), ma vogliamo dirla proprio tutta? Forse a Stallone era
rimasto sul gozzo il rifiuto ricevuto per Il padrino – parte III.

Non viviamo nell’universo parallelo in cui Stallone non è uno dei Corleone, ma in quello in cui è stato “Snaps” Provolone (Vinciamo noi, Grace cit.)

Sly si era proposto come sceneggiatore, regista e attore per la terza parte della saga di Coppola, prima del ritorno del Padrino Francis
Ford al comando, ne abbiamo anche parlato, quindi
Sly deve aver pensato che in completo gessato stava da Dio ed eccolo quindi proiettato nei
panni di Angelo “Snaps” Provolone, al suo ultimo giorno di vita
criminale prima di diventare un rispettato (si fa per dire…) banchiere, alle
prese con scambi di valigie e una conta delle figlie che non torna mai.

Lo so che con quell’adorabile cazzone di Landis di mezzo
sembra strano dirlo, ma “Oscar”, da noi appesantito dal titolo chilometrico
italiano, è un’operazione colta, non solo perché la locandina originale (quella
italiana è inguardabile) strizza l’occhio alla celebre scena del classico “Preferisco
l’ascensore!” (1923), ma anche perché si tratta di un rifacimento di un
bellissimo film francese del 1967, intitolato “Io, due figlie, tre valigie”
diretto da Édouard Molinaro. Per essere un film pensato originariamente per Danny
DeVito e per la regia di Charles Crichton, Landis qui non solo ha fatto davvero
sua la materia, riempiendo il film di trovate e soluzioni Landissiane, ma è
anche molto in continuità con la sua filmografia. Questa sorta di operazione
volutamente retrò, che ambienta la storia ancora più indietro nel tempo, nella Chicago del proibizionismo del 1931, strizzando l’occhio al teatro e ad un altro
titolo simile che Landis non solo aveva prodotto, ma di cui aveva anche scritto
il soggetto, mi riferisco a “Signori, il delitto è servito” (1985), non è un
caso se da quel film sia sbarcato proprio Tim Curry, qui nello spassoso ruolo
del Dott. Thornton Poole.

«Dammi quella borsa, mi serve per fare un remake»

Oltre a sottolineare come questo film sia arrivato nella
fase calante della carriera di Landis, spesso in difficoltà lontano dai suoi
anni ’80, oppure su come risulti strano vedere zio Sly in un ruolo comico,
nessuno si è mai sbattuto poi molto a scrivere di questo film, è stato un flop no? Passiamo
ad altro. Ma personalmente l’ho sempre trovato un film incredibilmente
riuscito, sarà che l’ho visto e rivisto sulla tv di casa da bambino centinaia
di volte, ma “Oscar” non è un film da sottovalutare.

Per prima cosa Landis ha saputo davvero fare sua la materia,
pur applicando a tutto il film questo tono garbato da commedia degli equivoci
volutamente retrò nello stile, non mancano gli sguardi in camera dei
personaggi, alcuni assolutamente provocatori (come quando la bionda chiede se c’è
altro che può fare, battutaccia terribile tipica di Landis, mascherata da
cinema garbato), oppure la critica nemmeno velata. Si perché i film di Landis
hanno tutti la capacità di far ridere anche quelli che prendono per i fondelli,
di solito i Repubblicani, bersaglio prediletto del regista di Chicago, il fatto
che un mafioso come “Snaps” Provolone (per via del continuo
schioccare le dita, gesto di culto) si riveli essere meno peggio dei banchieri
di cui vorrebbe entrare a far parte è una stoccata piuttosto chiara, nascosta
in bella vista tra le righe dei dialoghi di un film che ha una caratteristica
chiave fondamentale, tanto da essere necessario ripeterla tre volte: ritmo,
ritmo, ritmo!

Bisbetico domato nel gineceo di casa Provolone.

I 109 minuti di “Oscar” sembrano durate la metà, proprio
come ha sempre fatto anche in film come The Blues Brothers, Landis procede per accumulo di gag e di trovate, la
barzelletta che ammonticchia tutti insieme elementi comici, in attesa che
trovino la loro giusta collocazione per rendere la “battuta finale” ancora più
ad effetto. A ben guardare qui assistiamo anche ad un tamponamento d’auto,
niente di clamoroso come nel film dei fratelli Blues, ma lo stile di Landis è
sempre lo stesso, possono far finta di non vederlo solo coloro che sono più
interessati a sottolineare il flop o a quanto sia apparentemente fuori posto
Stallone, che invece è proprio uno dei punti di forza del film.

In una commedia degli equivoci basata su un ritmo indiavolato,
devi avere un controllo notevole della narrazione dal punto di vista
cinematografico, garantito dalla presenza di Landis dietro la macchina da
presa, ma davanti, devi sfoggiare tempi comici impeccabili se non vuoi andare
sotto bevendo dall’idrante con un film di tale ritmo. Stallone in tal senso è
perfetto, che abbia carisma lo sappiamo da sempre, che sia credibile quando
minaccia qualcuno anche, ma è proprio nel sottolineare la volontà di Snaps («Non
chiamarmi Snaps davanti ai banchieri!») di rigare dritto che Stallone mena il
suo colpo più duro.

Il Peter Lorre degli anni ’90, quel gran mito di Tim Curry.

Se lo avete sempre visto doppiato da Ferruccio Amendola,
provate a guardare il film in originale, il gesticolare (molto italiano) di Sly
è perfetto, così come il tono nel pronunciare le battute, come quando
sottolinea che se continua a correre così, sarà più in forma di un giocatore di
Baseball professionista. Insomma Stallone non è stato fortunato perché questa
operazione “retrò” non è stata premiata dal pubblico, che probabilmente lo
voleva vedere ancora in ruoli da duro, ma se venite a dirmi che “Oscar” è
peggio dell’inguardabile “Fermati, o mamma spara” (1992) vi tolgo il saluto,
oppure schiocco le dita e vi mando a dormire con i pesci.

Lo sguardo in camera Landissiano ma anche la reazione di Sly a “Fermati, o mamma spara”.

Prima di tante scelte brillanti del film, iniziare con dei
titoli di testa animati a passo uno, sulle note di “Largo al
factotum” direttamente da “Il barbiere di Siviglia”, celebre pezzo che non
solo sembra la storia del Boss Provolone in questo film, ma che si sposa alla
perfezione con l’ottima colonna sonora firmata da Elmer Bernstein. Il cast poi
sembra un accordo a tavolino tra Landis e Stallone, visto che ci sono “pretoriani”
da ambo le parti.

And the Oscar goes to…

Di Tim Curry vi ho già detto, Don Ameche nei panni del prete
invece è la terza collaborazione tra l’attore Inglese e il regista di Chicago,
dopo Una poltrona per due e Il principe cerca moglie. Il fatto che
in “Oscar” poi compaia per l’ultima volta sullo schermo la grande Yvonne De
Carlo, lo dobbiamo solo alle ossessioni cinefile di Landis, che ha sempre amato
riempire i suoi film di facce note anche in piccole apparizioni.

No guardate me, questo post è già abbastanza affollato così, non ho posto per altri ospiti sulla Bara oggi.

La presenza di Kurtwood Smith nei panni del Tenente Toomey
la dobbiamo quasi sicuramente a Stallone, visto che i due avevano recitato
brevemente insieme in Rambo III,
mentre Kirk Douglas nella parte di Eduardo Provolone è una storiella più
sfiziosa, visto che il papà di Michael era stato in lizza per il ruolo del Colonello
Samuel Trautman in Rambo, salvo poi rinunciare
per dissidi con Sly sul finale del film (storia vera).

Questo forse spiega
perché gli schiaffoni di papà Provolone fossero forti, Stallone ha chiesto a
Douglas di colpirlo per davvero nella divertente scena, ma ha avuto modo di
provare quanto fossero pesanti le mani di Spartacus.

Nessuno ha picchiato Rocky più forte di Spartacus.

Staremmo qui a parlare di niente senza il fondamentalmente contributo
del cast femminile, Marisa Tomei è perfetta nei panni della viziatissima figlia
del Boss, Lisa Provolone, che da sola mette in moto tutti gli eventi e permette
a Landis di citarsi addosso, visto che tra le canzoni provocatorie che
ascoltano i “giovani d’oggi” viene citata anche “Minnie the Moocher” di Cab Calloway, qui tradotta in “Minnie la
pomiciona”, sempre meglio di “Minnie la battona” no?

Didascalie che nessuno leggerà mai presenta: Marisa Tomei.

Un tono di colore lo porta anche Ornella Muti, solo di nove
anni più vecchia di sua “figlia” Marisa Tomei (magia del cinema), la cui prova
risulta migliore nella versione auto-doppiata, ma tutto sommato è divertente
ritrovarla qui alle prese con un altro bisbetico da domare, solo questa volta
fatto a forma di Sylvester Stallone.

“Oscar” è un film che non ha perso un grammo della sua
forza, nel corso degli anni si è guadagnato il suo zoccolo duro di appassionati
(presente!), a ben guardare potremmo dire che è uno dei pochi film di Landis
senza poppe e scimmie, per le prime (due) è vero, sarebbero state fuori luogo
in una commedia garbata targata Touchstone Pictures, per le scimmie invece vi
dico subito che anche qui ci sono, d’altra parte è un film pieno di gorilla no?
(SNAP! Cassidy schiocca le dita per sottolineare la caSSata).

«Have no fear, Sly is here!»

Purtroppo il flop al botteghino, circa ventitré milioni di
fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, al netto di un costo di
trentacinque milioni di spesa, ha relegato il film ad un ciclo semi eterno di repliche
sul piccolo schermo (lo ricordo addirittura come film del palinsesto mattutino,
almeno nei miei ricordi fallaci di bambino) eppure ancora oggi è un piccolo
titolo di culto che ci tenevo ad avere su questa Bara, ogni scusa è buona per
scrivere di Landis e Stallone, figuriamoci insieme!

La mazzata sui denti presa al botteghino ha dettato un
ulteriore battuta d’arresto alla carriera di entrambi, Stallone si è gettato su
roba di qualità decisamente inferiore, Landis invece ha dovuto rinunciare ad un
costoso film su dei vampiri a Las Vegas intitolato “Red Sleep”, ma complice l’esperienza
“malavitosa” di “Oscar” per certi versi è stata una sorta di prova generale in
vista del suo Amore all’ultimo morso,
dove ha avuto modo di continuare a scherzare sulla Mafia, insomma in vita mia ho visto film
su commissione con molta meno personalità del nostro Chauffeur con nome da
statuetta.

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