Forza e coraggio uomo, si balla!»
![]() |
«Diamoci dentro, questo commento non si scriverà certo da solo» |
Emisfero sinistro (logico, concreto, razionale)
![]() |
La camminata di Charlie Hunnam è degna di quella di uno degli Jaeger. |
So che la caratterizzazione dei personaggi e il loro spessore sono critiche che una gran fetta di pubblico muove a “Pacific Rim”, ma sempre come direbbe il nostro sarcofago, lasciateci l’icona aperta, perché tutte queste considerazioni verranno analizzate dal mio ben più colorito compare, in quanto emisfero sinistro, freddo e analitico calcolatore, posso dire che “Pacific Rim” è una storia semplice e lineare sì, ma senza gli svarioni che trovate in fin troppi film moderni. Siamo di fronte ad un lavoro che in alcuni momenti alza dei gran cinque alti a tanti film americani del tutto simili, ricalcando volutamente i momenti chiave. Ad esempio, può esistere un film così senza il classico momento discorso motivazionale tipo ID4? Assolutamente no! Ve lo dico fuori dai denti: Idris Elba è talmente carismatico che potrebbe convincere gli Eschimesi a comprare la neve.
![]() |
Roba che poi ti ritrovi a casa un sacco di neve e non sai nemmeno il perché. |
Tutti sappiamo che il cinema di Guillermo del Toro dà il suo meglio quando può raccontare di mostri molto umani e di umani che agiscono come mostri, con La forma dell’acqua il suo cinema è stato (finalmente!) consacrato ai massimi livelli, ma non si può certo criticare la coerenza al nostro Messicano preferito, i due “Hellboy” erano film con mostri umani che sapevano adattare il magnifico mondo creato dal grande Mike Mignola per il grande schermo, del Toro si è confermato l’unico regista il cui mondo artistico può stare accanto a quello di Mignola anche reinterpretandolo secondo la sua passione per il materiale originale. “Pacific Rim” fa la stessa cosa, spingendosi ancora più in là, questo film, per fortuna, non è solo una pellicola dedicata a chi era piccolo negli anni ’70 e ’80 ed è cresciuto con Gundam, è un film vero, seguite il mio ragionamento.
![]() |
«Vai lì e gli dici: Ehi tu Kaiju, levale le mani di dosso!» |
I robot di Bay si muovono ad una velocità esagerata, roba da fare sanguinare gli occhi, ogni superficie è scintillante e patinata e i momenti dedicati alle parti senza azione, sono quasi tutti momenti scemi (tipo robot che scoreggiano), oppure ostentazione della gnocca di turno, pure lei tiratissima cose se fosse uscita dalle pagine di Vogue, o di Playboy, fate voi.
![]() |
«Charlie Hunnam? Un amico mio, andavamo in moto insieme, in realtà anche il regista è amico mio» |
Capisco perfettamente che per uno che ha vinto l’Oscar con una tenera storia d’amore, “Pacific Rim” sia qualcosa di molto strano per le sue abitudini, molto più blockbuster in senso classico, anche più dei due “Hellboy”, ma tenete conto anche di una questione importante: la reazione.
![]() |
«Lo hai visto Titanic? Vieni che te lo faccio rivedere» |
Avendo assimilato la lezione di “Avatar” di James Cameron (anche lui tra i ringraziamenti nei titoli di cosa), la storia sarà anche semplice e lineare, però il film per idee e realizzazione visiva è capace di colpire l’immaginario con la stessa potenza con cui Godzilla colpiva Tokyo. Non è un caso se dopo questo film le storie di del Toro siano diventate sempre più lineari, ma allo stesso tempo strabordanti visivamente. Non sarà culturalmente possibile sconvolgere il pubblico con qualcosa di colossale come accaduto con il primo King Kong, ma del Toro è stato l’unico, in questi strambi anni ’10 poveri di idee, a portare sul grande schermo quel senso di meraviglia, lo stupore che si prova da bambini la prima volta che vedi un film di Ray Harryhausen, a cui “Pacific Rim” è idealmente dedicato e per questo non ringrazierò mai del Toro abbastanza!
![]() |
«Allora avrebbe un enorme Schwanzstück!» (Cit.) |
La tradizione dei Kaijū (film di mostri giganti) e dei Kayjin (film con mostri umanoidi) ha sempre previsto umani sudati, infilati dentro costumi di gomma da mostro, a muoversi, spesso alla cieca, in miniature di città, non potendo ingrandire gli umani, si rimpicciolivano i set. del Toro ha la tecnologia per fare il contrario e non si scorda mai di inquadrare Jaeger e Kaiju dal basso, dal punto di vista degli umani, non esiste nemmeno per un secondo che da spettatori non ci arrivi il senso di pesantezza dei corpaccioni di queste creature, ma è anche impossibile dimenticarsi che sono circa 80 metri l’uno! Allo stesso modo il design dei Kaiju dimostra che Wayne Barlowe non si è trattenuto, portando al cinema mostri che non hanno l’obbligo di ricalcare la forma umanoide, ma che sembrano davvero dinosauri evoluti, la cui evoluzione da livello uno a cinque di potenza è funzionale alla loro capacità di combattimento.
![]() |
Chiudi la bocca, che poi ti ci piove dentro! |
Questo senso delle proporzioni, come diceva il mio collega sinistroide, è opposto a quello di Michael Bay, non solo perché l’azione è chiarissima all’occhio umano, ma soprattutto perché la tecnologia del film è in linea con l’estetica rugginosa e impallinata con gli ingranaggi di tutti i film di del Toro.
![]() |
Gipsy Danger, il nome sembra uscito da un discorso di Salvini. |
Ed ora è il momento di chiudere l’icona lasciata aperta lassù, la critica principale a “Pacific Rim” è davvero intelligentissima, lasciatemelo dire, sì, perché se vai a vedere un film dove Robot giganti fanno a cazzotti con mostri della stessa taglia, la parte più importante della storia dev’essere per forza avere umani sfaccettati e approfonditi, perché si sa, che se il modello originale è il lavoro di sua maestà Go Nagai, i dialoghi tra che so, Haran Banjo e Beauty Tachibana debbano essere scritti per lo meno da Aaron Sorkin.
![]() |
«Ok sono pronto ad affrontare la questione, fatevi sotto» |
In realtà, basterebbe solo saper dove guardare, perché del Toro s’incastra perfettamente in una sceneggiatura semplice e lineare, per regalarci tutto l’approfondimento dei personaggi di cui abbiamo bisogno, non lo fa con linee di dialogo, ma con un’arma ancora più potente: il cinema.
![]() |
Foto a caso di Rinko Kikuchi, così, per mio puro diletto. |
Un pezzo mancante che ritroverà in Mako Mori (Rinko Kikuchi) che entra in scena sotto la pioggia (la dove Raleigh rappresentava il verde della terra) avvolta nei toni del blu, che porta anche nei capelli. Rinko Kikuchi oltre ad essere la lavoratrice più tosta sul set (quando i suoi colleghi maschi erano sfiacchi dai tanti ciak, lei era sempre pronta a girare) incarna alla perfezione l’immaginario da Manga del film, passa da fare facce e faccette ad essere la più motivata di tutti a combattere i Kaiju, un’evoluzione che avviene in un’altra scena molto criticata dai fanatici di Aaron Sorkin che è una delle mie preferite del film.
Il flashback in cui Mako ricorda come ha perso la famiglia e incontrato Pentecost, mostrato volutamente in controluce, come un eroe in armatura (da Jaeger). Lo so che è impossibile che un gigantesco Kaiju si metta ad inseguire una bambina che per lui è grande come qualcosa che potrebbe rimanergli incastrato tra i denti dopo il pranzo, ma dobbiamo ricordarci che quella che vediamo è la storia come la ricorda Mako, questo spiega la polvere dei detriti, che somiglia tanto al polline nell’aria di “Il labirinto del fauno” (2006) che, guarda caso, compariva nei momenti più onirici di quel film. Chi ha detto continuità artistica?
![]() |
Un brutto ricordo d’infanzia che diventa una trauma grosso come un Kaiju. |
L’apice è l’uso che Del Toro fa delle fotografia, sempre suggerendo, per farci capire quanto Raleigh e Mako si completino l’uno con l’altra durante l’Interconnessione, fonde i loro colori primari in un’unica luce che avvolge entrambi, una storia d’amore suggerita e non gettata in faccia allo spettatore, che si conclude non con il classico (e banale) bacio finale, ma con un abbraccio che può sembrare anti climatico solo a chi non ha capito che questi due sono stati uno dentro la mentre dell’altra, non hanno nemmeno più bisogno di dirsi che si amano, già lo sanno. Mica male per essere un film con i mostri grossi, no?
![]() |
Con questa la difesa ha finito vostro onore. |
A questo aggiungete una colonna sonora da urlo, ancora oggi, i pezzi composti da Ramin Djawadi, autore della mitica sigla di Giocotrono, sono tra i miei ascolti in cuffia costanti, il tema principale, impreziosito dalla chitarra di Tom Morello è una figata che ti fa sentire alto 80 metri e pronto a spaccare il culo ad un Kaiju. Vi dico solo che nel 2013, sono uscito dalla sala cinematografica camminando come uno dei Ranger/Jaeger e cantando trionfale il tema principale del film (storia vera).
![]() |
Vi giuro che sono davvero uscito dalla sala così! |
“Pacific Rim” è un film che ti riempie gli occhi, ti fa fare il tifo e può coinvolgere anche chi non è per forza cresciuto con Battletech, Jeeg e Godzilla. Esalta la capacità tutta umana di far fronte comune alle avversità in un modo molto diretto, analogico, a suo modo, perché nella vita prima o poi tocca a tutti affrontarle avversità letali come Kaiju, ma decisamente più inafferrabili, che siano la paura di perdere qualcuno, la burocrazia, l’ingiustizia, ma anche qualcuno che ti porta via la casa o il lavoro. Grandi e piccole forme di apocalisse personale che questo film ti fa credere ti poter fermare, anzi sfogare, nel modo più diretto possibile: un bel pugno in faccia.
![]() |
Dite un po’, quante volte vorreste poterlo fare anche voi? |
In un cinema che ormai sembra un Kaiju emerso dalle acque, povero di idee, ma voglioso di incassi facili al botteghino, “Pacific Rim” si distingue perché non è un remake, un reboot o un prequel. Non è tratto da un romanzo, da un fumetto o da una serie Tv in particolare, è un’unicità analogica imperiosa che ti si para davanti come un Jaeger.