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Pacific Rim – La rivolta (2018): parti di ricambio non originali

Inutile che stia qui a far finta che non m’importi, a far spallucce minimizzando sull’uscita di del secondo capitolo di Pacific Rim, un film che a me è sempre piaciuto molto e negli anni si è beccato forse più critiche di quelle che meritava, forse no, chi lo sa.

Mettiamo in ordine i fatti che ci serviranno a capire molto di questo secondo capitolo del film. Alla sua uscita il film di Del Toro ha diviso il pubblico tra chi voleva più introspezione e analisi dei personaggi umani presenti nella storia e lamentava l’assenza di dialoghi scritti come minimo da Aaron Sorkin. Agli altri, invece, il film è piaciuto, tra questi “The others” contate pure il sottoscritto, per riconoscerci vi dico che siamo quelli che quando sentono parlare del film di Del Toro rispondono dicendo: Jeager! SBATAPUM! Kaiju PATAPIM! E poi continuano a fare versi per una mezz’ora buona. Piccolo problema: Aaron Sorkin ha un fan club con più iscritti del nostro, ma noi abbiamo un’arma segreta, noi abbiamo la Cina!

 «Sono arrivati i finanziatori!» (Colonna sonora suggerita per l’entrata in scena)

I nostri amici orientali hanno dei gusti tutti loro, per la roba americana con gli effetti speciali grossi di solito vanno giù di testa e se questo seguito esiste, è soltanto perché il grosso degli incassi Pacific Rim li ha fatti proprio in quella porzione di pianeta.

Ma sapete com’è andata, no? Guillermo ha portato le sue labbra all’indirizzo dell’Accademy, sono passati cinque anni, forse troppi per battere il Kaiju finché è caldo (noto proverbio giapponese), anche perché in un solo lustro il pubblico ha visto tipo 48 film di supereroi e Michael Bay è arrivato a cinque Transformers come ridere. Chi abbiamo disponibile per prendersi la patata bollente di questo seguito? Ispettore Steven S. DeKnight, il caso Pacific Rim è tuo!
«Per un perfetto tiro con la fionda da caccia prendere la mira guardando il bersaglio…» (Cit.)

DeKnight è noto per essere l’attuale showrunner di Daredevil, ma è sicuramente più noto per “Spartacus”, serie che ho visto poco tempo fa e una volta di queste dovrei decidermi a commentare come si deve. Lo volete un commento su “Spartacus” qua sulla Bara Volante? Votate! Anzi no, commentate!

Il problema di “Pacific Rim – La rivolta” è strutturale, è chiaro che la peculiarità che rendeva il film di del Toro qualcosa di unico nel suo genere, è stata volutamente sacrificata per fare uno, due e forse anche tre passi verso il pubblico di riferimento, il mercato orientale (ed ecco spiegata la proliferazione di attori dagli occhi a mandola nel cast) e quelli che oggi come oggi, al cinema ci vanno davvero, perché hanno il tempo per farlo, perché hanno soldini da spendere: i giovanotti e le giovanotte.
«Ma questi sono i piloti oppure il nostro pubblico? Vabbè vedremo di arrangiarci»

Per me il bello degli Jeager di Guillermo Del Toro era il loro essere orgogliosamente analogici, enormi, pesanti sia per entrare in azione, sia per assestare un pugno, riuscivano ad essere diversi dalla concorrenza degli altri film con i robottoni giganti, proprio perché ogni interconnessione tra piloti era sofferta, ogni pugno una lotta il tutto avvolto in un’aurea epica che levati, ma levati proprio! Si trattava chiaramente di un film pensato per i trenta/quarantenni cresciuti con Daitarn, Hiroshi Shiba e i robot di Go Nagai, sarà che faccio parte della categoria, ma a me sta robetta non è mai dispiaciuta, anzi.

“Pacific Rim – La rivolta”, invece, gioca in un altro campo, per me la differenza tra i due film sta tutta nel tema musicale originariamente composto da Ramin Djawadi che ho aspettato di sentire tuonare in tutta la sua gagliarda potenza per tutto il tempo e quando finalmente parte… Niente! Delusione assoluta, reinterpretato da Lorne Balfe diventa una musichetta allegrotta e spigliata, una roba che la mia Wing-Woman, come sempre molto più arguta di me ha centrato in pieno quando ha detto che sembra la sigla di “Hunter”. Che poi a me piaceva un casino Rick Hunter la sua socia Dee Dee McCall, però non c’erano i Robot gigante in “Hunter” e no non mi basta la spiegazione che “Jeager” in tedesco vuol dire proprio cacciatore.
Una festa in piscina mostruosa!

Lo so che sembra accanimento il mio, ma mi serve per arrivare al punto: nella versione di Lorne Balfe il tema principale diventa una roba spigliata, veloce, allegrotta e che se ne frega delle conseguenze, esattamente come il film che non dico essere l’esatto apposto di quello precedente, però quasi.

Per seguire la regola aurea dei seguiti, ovvero “Uguale identico al primo, però più grosso!”, Steven S. DeKnight spende i 150 milioni di ex presidenti defunti stampati su carta verde che ha a disposizione in modo differente rispetto a come Del Toro ha speso i suoi 190 Lincoln e Ben Franklin. Guillermo si è concentrato su grandi set dettagliati, su abitacoli di guida dei Ranger carichi di ingranaggi, macchinari, necessari a far arrivare allo spettatore il senso di fatica di ogni movimento, tutta roba orgogliosamente artigianale che costa un sacco di soldi, ecco perché, poi, quasi tutti gli scontri tra Jeager e Kaiju erano girati di notte, per risparmiare qualcosina e coprire qualche magagna della CGI.
Immaginate la gioia di quello che ha sottoscritto un mutuo per comprare un appartamento in quel palazzo.

Steven S. DeKnight, invece, non è certo uno che utilizza set e trucchi prostetici in modo espressivo come fa Del Toro, è un ragazzo che ha dimostrato che la sua idea di epica vuol dire riprendere la stessa scena al rallenty, uno che si diverte riempiendo lo schermo di poppe, muscoli a vista e sangue, proprio come faceva in “Spartacus”. Qui, siccome i Robot giganti non hanno né muscoli, né tantomeno tette (anche se da lui mi sarei aspettato di vedere l’equivalente dei missili-tette di Afrodite A), il ragazzo sembra dire: “No hay problema, io ci butto dentro Jeager in CGI come se non ci fosse un domani!”.

Robot giganti. Robot giganti a strafottere proprio!

Ma forse avrei potuto essere più sintetico (anzi, sicuramente avrei potuto) e dire che “Pacific Rim – La rivolta” sembra un film che abbraccia volutamente le critiche, a mio avviso inesatte, mosse dai fan di Aaron Sorkin da gran parte del pubblico al film di Del Toro, un po’ come dire: «Voi ci accusate di avere una personaggi monodimensionali? Bene, noi mettiamo nel cast del film l’Eastwood sbagliato, così vi diamo DAVVERO qualcosa di cui lamentarvi»

La storia inizia come ci insegna Dumas, vent’anni dopo, [Edit: Oppure mi ricordo male ed erano dieci anni? Vabbè ci siamo capiti], il mondo è andato avanti, i Kaiju non hanno più fatto vedere la loro brutta faccia e la società si sta un po’ riprendendo. Se nel primo film gli Jeager erano come i computer, colossali e costosissimi aggeggi che occupavano un’intera stanza e potevano essere finanziati solo da una nazione, ora somigliano più al nostro smartphone, quasi tutti ne hanno uno, le forze di polizia guidano i modelli giganti alti 80 metri gli altri, campano sul mercato nero dei pezzi di ricambio.
«Ah questo sarebbe quello mini? Quello grosso cosa sarebbe allora?»

Tra questi anche Jake Pentecost (John Boyega) il figlio di Idris Elba del primo film che, però, non aveva adottato una ragazzina giapponese di nome Mako? Da dove esce fuori questo film? Cioè, no aspettate, mi è venuta fuori più ambigua del necessario questa frase, intendo dire che boh! Fatevi una ragione, Pentecost Junior è qui per spassarsela tra feste in piscina e contrabbando e se la sua esistenza vi sembra un grosso MACCOSA, sappiate che a lui non frega niente di voi, quindi ciccia.

Metafora della desolazione in cui Boyega si ritrova a recitare.

Le sue toste giornate filavano così, tra un megascippo di Jeager e un film di Spike Lee Steven S. DeKnight, almeno finché un giorno non fa la conoscenza di Amara Namani (Cailee Spaeny) brillante, giovane e agguerrita ragazzina che scavando tra i rottami si è costruita il suo mini-Jeager personale. Alt! Time Out Cassidy!

«Come Time Out? Qualcuno dica a Cassidy che non sta giocando a basket dannazione!»

Volete dirmi che abbiamo un’altra aggiunta al club delle “Scavarottami gagliarde”? No, sul serio, ormai è diventato un fenotipo tipico del cinema moderno, vediamo se ricordo bene… Tutto è iniziato con Rey in Episodio VII, poi abbiamo avuto Sofia Boutella nell’ultimo Star Trek e a seguire, la ragazzina del quinto Transformers! Questo mette definitivamente in chiaro come “Pacific Rim 2” ha deciso di giocarsi le sue carte.

I due dissidenti, facinorosi e probabilmente appartenenti a gruppi di antagonisti (che non so cosa voglia dire, ma la TG lo dicono sempre), per essere raddrizzati e dar sfogo al loro naturale talento, vengono spediti alla Scuola di polizia del Comandante Eric Lassard, all’accademia dei giovani Ranger, ultima classe forse, perché a breve i piloti verranno sostituiti da tanti tizi dell’IT seduti dietro ad una tastiera. Già me li immagino rispondere al telefono: «Ha provato a riavviare il suo Jaeger?»
Perché vi ostinate a non voler mai riavviare!

Qui dove “Pacific Rim – La rivolta” (ma poi rivolta di che? Degli spettatori che hanno amato il primo film?) dovrebbe menare il suo colpo più duro, invece niente. Di tutti i giovanotti e le giovanotte tirati dentro alla storia, a fine film non ricordavo nemmeno un nome, questo vi dice di quanto da spettatore io possa essere coinvolto se questi poveretti vivono o muoiono. A livello di affezione per i personaggi, “Pacific Rim 2” sta sopra uno qualunque dei Transformers, ma va sotto bevendo dall’idrante rispetto che so, al primo tempo di (tenetevi forte) Power Rangers che per caratterizzare e farci affezionare ai personaggi, faceva un lavoro decisamente migliore, poi sbagliava altre cose, quelle che vengono bene a “Pacific Rim 2” (guarda caso), però per questa voce statistica, segnate uno per quelli dai colori sgargianti.

Jaeger disponibili in quattro comodi colori, scegli il tuo preferito! (Batterie vendute separatamente)

Gli unici due attori che nel frattempo non sono diventati famosi, ovvero Charlie Day e Rinko Kikuchi tornano nel cast, per il primo viene inventata una svolta da “Mad Doctor”, ma tutta fatta con il brio di questo film, il che vuol dire: ok, Newton è diventato una specie di tossico che s’interconnette con un cervello di Kaiju nel tempo libero? Eh, chissenefrega, tanto dobbiamo andare dritti sparati alla parte in cui i Robot si menano, quindi, se anche nel frattempo quella che era stato uno dei protagonisti tira le cuoia (a rallentatore) Tzè! Che vuoi che sia, guarda quanti piloti giovani senza nome abbiamo già pronti per voi!

Ciao Rinko, mi spiace doverci rivedere così, è stato breve ma intenso.

A mio avviso, l’errore più grosso di “Pacific Rim 2” è stato quello di non mantenere la sua unicità, se il primo film era pensato per chi era cresciuto con Mazinga Z, il secondo avrebbe dovuto fare il passo successivo, pescare a piene mani da “Neon Genesis Evangelion” (diretto discendente ed evoluzione del genere “Robottoni”) e mostrarci giovani piloti alle prese con le loro macchina. Allora avrebbe avuto senso anche l’impoverimento dei set, passati da grossi e pachidermici ingranaggi, a colorate pedane in stile “Dance Dance Revolution” su cui zompettare per pilotare gli Jeager, invece tutto il discorso Uomo/Macchina qui viene semplicemente gettato alle ortiche.

HADOUKEN! (anche questa vale come Cit.)

Normale, poi, che John Boyega, in questo vuoto, di carisma se la spacci come il più grosso della compagnia, gli unici momenti di trasporto e coinvolgimento vedono protagonisti lui e Cailee Spaeny e non ho capito una cosa: se la scelta di Scott Eastwood, figlio di cotanto padre, sia un colpo di genio, oppure semplicemente un modo per dare da lavorare al figliolo del grande Clint. Considerando che Eastwood Junior qui deve fare quello belloccio, Yankee dalla radice dei capelli all’alluce che parla per frasi fatte e serve a far fare bella figura a John Boyega, uno che ormai fa da tappezzeria in Star Wars… Beh, da questo punto di vista l’Eastwood sbagliato è un talento naturale! Non deve nemmeno recitare. Non che ne sia capace, eh?

Quando un Kaiju con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un Kaiju morto.

Cosa funziona del film? Di fatto quello che mi aspettavo da Steven S. DeKnight. Speravo di vedere gladiatori meccanici alti 80 metri impegnati a prendere a pugni tutto ed è proprio quello che ho trovato, il film è talmente focalizzato sugli Jaeger che risolve passaggi chiave della trama (oh! Ma chi è che guidava il robottone cattivo?) perché tanto dobbiamo passare all’azione. Anzi a dirla tutta: il film sta così in fissa con i Robot giganti che quasi si dimentica dei Kaiju!

Lo ammetto, non mi sarebbe dispiaciuto vederne qualcuno in più, ogni volta che spunta un Kaiju, sembra un tiro al piccione perché si trova subito davanti tre o quattro Jeager un modo, a mente fredda, anche abbastanza logico di risolvere l’assenza di Kaiju sul pianeta durata vent’anni, ma che si fa piuttosto notare, soprattutto quando nel finale i mostroni arrivano sul serio, forse troppo tardi ma arrivano.
«Scusate! C’era traffico al casello di uscita!»

Steven S. DeKnight è a suo agio con questi Jeager che si muovono agili e veloci in pieno giorno, in scene di combattimento montate bene, in cui le coreografie sono chiare ed ogni movimento si vede bene, il piano dei Kaiju è tanto scemo quanto capace di scaldare il cuore, per il semplice fatto che pare ordito dai Meganoidi per quanto risulta megalomane e facile da sventare, non senza una corsa contro il tempo, però.

Insomma, mi manca quella sensazione legata a “Pacific Rim” che fosse un film per noi, per gli appassionati di mostri giganti pronti a distruggere Tokyo (che, non a caso, è lo scenario dell’ultimo scontro), sacrificato in favore di un prodotto più canonico che fa il suo dovere, ma mi ha emozionato il giusto, mi sento già più sorpassato di Gipsy Danger.
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