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Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo (2009): L’immaginario del dottor Gilliam

Dicono che a tutto esiste un rimedio, tranne che alla morte.
Si può gabbare la signora vestita di nero? Questo e molto altro ancora nel
nuovo capitolo della rubrica… Gilliamesque!

Se nel corso della sua carriera Terry Gilliam ha sempre
dimostrato di essere caparbio nell’inseguire la sua arte, malgrado i bastoni
tra le ruote dei burocrati e l’influenza negativa della sfortuna, bisogna dire
che dal 2000 in poi le cose sono addirittura peggiorate. Il naufragio del suo primo tentativo di
portare in scena “The man who killed Don Quixote” ha aperto il vaso di Pandora
di quella che abbiamo imparato a conoscere in questa rubrica (grazie a Nicola
Pecorini) come la famigerata “Negation of the pussy”.

Dal 2000 in poi non esiste un solo progetto di Gilliam che
non sia stato afflitto da problemi capaci quasi di far impallidire quelli già
notevoli affrontati durante la realizzazione di Le avventure del barone di Munchausen. Il massimo dei risultati
ottenuti dal regista originario del Minnesota sono arrivati solo grazie
alla sua testa estremamente dura, Tideland
è una reazione al pantano burocratico di I Fratelli Grimm, da cui Gilliam porta a casa il film più debole della sua
filmografia e una grande amicizia con uno dei due protagonisti, Heath (detto
BIP) Ledger.
L’ex Monty Python americ… Ehm, no inglese, perché Terry ha
ottenuto la cittadinanza inglese nel 2006, in aperta critica con
l’amministrazione di George “Dabliù” Bush, ha trovato nel biondo attore australiano un nuovo sodalizio artistico, ditemi poi che non ho ragione quando
dico che Gilliam è un Futurista, Ledger malgrado il flop di “The Brothers
Grimm” si era messo sulla cartina geografica grazie alla sua ottima prova in “I
segreti di Brokeback Mountain” (2005) di Ang Lee e, ovviamente, con il ruolo del
Joker, nel mio film preferito di tutti i tempi (ma magari anche no) “Il
cavaliere oscuro” (2008).

“Ti toccherà scriverlo davvero un post su quel film prima o poi, lo sai Cass?”.

“The Imaginarium of Doctor Parnassus” nei piani originali di
Gilliam e del suo sceneggiatore di fiducia Charles McKeown, avrebbe dovuto
ruotare completamente attorno ad Anthony “Tony” Shepard, il personaggio
interpretato da BIP Ledger, quindi immaginatevi cosa può essere stato per
Gilliam ricevere una telefonata una mattina di gennaio per sentirsi dire che
Ledger aveva lasciato questa valle di lacrime.

I giorni successivi al ritrovamento del corpo di Ledger, sono
stati un massacro mediatico che ricordo fin troppo bene e che per certi versi
ha anticipato l’ondata di buonismo di facciata che pervade ancora oggi
Hollywood, una gara a chi lanciava più fango, che con una clamorosa inversione
ad “U” e dei gran segni di sgommate lasciati sull’asfalto si è trasformata
velocemente in una campagna per trasformare Ledger in un nuovo James Dean o
Brandon Lee, su cui la Warner Bros. non ha marciato nemmeno un po’ per pompare
soldoni nella casse del suo Bat-Film… No no, per niente, un vero esempio di
delicatezza.

“…Ma a me che me ne frega tanto i soldi non ce l’ho” (come si fa a non volergli bene ad uno così?).

Davanti alla morte del tuo attore protagonista, sarebbe
lecito per chiunque chinare la testa e passare ad altro, per tutti, ma non per
quel Munchausen di Terry Gilliam che proprio come il personaggio del suo film,
sfida la nera signora a colpi di immaginazione. Il risultato è “The Imaginarium
of Doctor Parnassus” che da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa si
trasforma nello stringato titolo di “Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il
diavolo” e tanti saluti all’immaginazione del titolo.

Per assurdo, è proprio la morte di Ledger a fare da traino al
film, per vedere Tideland nei cinema italiani abbiamo dovuto attendere due anni, mentre “Parnassus” è arrivato
subito cavalcando l’onda lunga di quello là che è morto facendo il Joker e
degli attori chiamati a sostituirlo. Sì, perché se i distributori italiani della
pellicola hanno cancellato dal titolo ogni riferimento all’immaginazione, non
esiste un solo modo al mondo per tenere a freno quella di Gilliam che decide
che è giusto rendere l’ultimo omaggio all’amico Heath Ledger e che questo film
va completato, costi quel che costi. A questo punto della rubrica dovreste aver
intuito che quando il nostro Terry si mette in testa qualcosa, non è certo uno
che molla.

Tentare di mettere insieme un film, attorno al suo protagonista: Un esempio.

Sfruttando lo specchio magico che si trova sul carrozzone
del Dott. Parnassus (Christopher Plummer), quello che dà vita all’immaginazione
della persona che, come una piccola Alice decide di attraversarlo, Terry Gilliam
e Charles McKeown hanno l’intuizione di far interpretare il personaggio di Tony
a tre attori diversi, ognuno chiamato ad impersonare una delle sfaccettature
del carattere del personaggio. Ed è qui che Hollywood ha ancora una volta dato
il meglio di sé stessa!

Sapete chi è stato il primo a proporsi per sostituire Ledger?
Tom Cruise (storia vera), millantando una lunghissima amicizia con l’attore australiano, Tommaso Missile era pronto a salire sul carrozzone del Dott.
Parnassus, anche perché dopo essere salito sul divano di Oprah, la sua immagine
pubblica era leggerissimamente oscurata, quindi uno slancio di popolarità
dettato da una buona azione avrebbe aiutato. Quindi, se adesso abbiamo sei capitoli di Mission: Impossibile, un pochino bisogna ringraziare anche il “No” rifilato a Tommaso da Terry Gilliam.
Alla fine i sostituti sono ben tre: Colin Farrell, Jude Law e
toh! Guarda un po’ chi si è ricordato di chi gli ha lanciato la carriera? Johnny
Depp. I tre attori recitano gratis, anzi meglio, devolvono il loro assegno a
Matilda, la figlia di Ledger, pare che il mio preferito dei tre (ma anche no)
Johnny, sia rimasto sul set poche ore, perché aveva film davvero importanti da
correre a fare, tipo “Alice in Wonderland” (2010), si nota l’ironia di fondo?

“Mi concede il prossimo ballo?” , “Si ma veloce, devo andare a fare un altro Pirati dei Caraibi”.

Ora, io vorrei dirvi che il risultato finale è impeccabile,
ma per quanto mi piaccia Tom Waits non so mentire come farebbe il suo
luciferino personaggio in questo film, “The Imaginarium of Doctor Parnassus” a
tratti è un pastrocchio, con più di un problema di ritmo, in cui non tutte le
parti già girate da Heath Ledger sono state davvero utilizzate, ma è chiaro
(e per certi versi anche ammirevole) lo sforzo da parte di Gilliam di tirare
fuori qualcosa di abbastanza sensato, quando qualunque altro regista avrebbe
semplicemente gettato la spugna e passato il resto della carriera a lamentarsi
e piagnucolare per l’accanirsi su di lui della “Negation of the pussy”.

La dedica prima dei titoli di coda «Un film di Heath Ledger
e amici», stempera e in parte giustifica il risultato finale che non può
essere perfetto, perché andiamo, come può funzionare a livello logico un film
che può contare sul vero protagonista della storia per meno della metà del
tempo? Però, a mio avviso, con questo film Gilliam riesce comunque a portare
avanti la sua crociata sul potere dell’immaginazione su ogni altra cosa.

Attraverso lo specchio, Lewis Carroll io non t’ho visto. T’ho vissuto! (quasi-cit.)

Per motivi fisiologici l’attenzione della storia si
focalizza su quello che da piano originale, avrebbe dovuto essere solo il
protagonista nominale del film, ovvero il Dott. Parnassus molto ben
interpretato da Christopher Plummer (al suo secondo film con Gilliam), il proprietario dello sgangherato carrozzone che si
aggira come una reliquia del passato tra le vie di Londra, portando in scena il
suo spettacolo ormai fuori moda e mendicando qua e là qualche spettatore
ancora disposto ad attraversare lo specchio e a credere al potere della
fantasia.

L’altra faccia della medaglia è la storica nemesi di Parnassus,
Mr. Nick (un luciferino Tom Waits anche lui al secondo film con Terry) sempre
pronto a tentare tutti con soluzioni facili e con le sirene della modernità,
ancora una volta si ripete la dicotomia tipica di tutti i film di Gilliam, il
burocrate che rappresenta il peggiore dei mali (e ci credo, è il diavolo in
persona!) contro la forza analogica dell’immaginazione, che non se la passa poi
benissimo visto che non è più così in voga.

Citando una sua canzone, quando entra in scena questo signore: Clap hands.

In questo, il “cavaliere bianco” (questo spiega il colore del
suo vestito) che dovrebbe sparigliare le carte nello scontro tra i due è Tony (Heath
Ledger) prescelto con strani segni sulla fronte che viene salvato da
un’impiccagione sotto il ponte sul Tamigi, in una scena che volutamente ricorda
la morte del banchiere Roberto Calvi. Non sapremo mai quali sarebbero stati i
piani per questo personaggio, visto che il film ha dovuto prendere per forza di
cose una piega del tutto diversa, motivo per cui il personaggio della figlia di
Parnassus, la sedicenne Valentina (Lily Cole) diventa chiave nel film, la lotta
per l’anima salvare l’anima della ragazza è la scommessa che fanno Mr. Nick e
Parnassus, che deve aver colpito molto l’immaginario dei titolisti italiani.

L’occhio lungo di Gilliam per le bellezze botticelliane.

Ad ogni passaggio nello specchio Toby cambia faccia e di
conseguenza attore, quindi, in ordine dal più scarso al più coinvolto (mio
insindacabile giudizio!) vediamoli tutti: si parte, ovviamente, con il fanalino
di coda Johnny Depp, il suo compito è quello di rappresentare il lato fascinoso
del personaggio, Depp fa in tempo a fare due faccine e a recitare due righe di
dialogo dedicate a Rodolfo Valentino, James Dean e Lady Diana e a come
resteranno giovani (e magri) per sempre, abbastanza forzate e pure di cattivo
gusto visto il destino di BIP Ledger. Ciao Johnny, vai a giocare a fare il
pirata vai, non ci sei mancato per niente, anzi non tornare proprio!

“Coach fammi giocare! Mi sono portato la scala da casa!”.

Va un po’ meglio con Jude Law, il suo compito è quello di
rappresentare il lato sornione e comico del personaggio, Giuda Legge inseguito
su lunghissime scale trasformate presto in trampoli dai sicari russi è un
momento abbastanza riuscito, non si raggiunge il geniale livello delle
animazioni che Gilliam realizzava per il Flying Circus, anche perché la
computer grafica, per quanto decente, si adatta sempre poco al cinema analogico
di Gilliam, però le chiacchiere stanno a zero: la scena dei poliziotti inglesi
in gonna che ballano e cantano “Join the fuzz, we love violence!» a me fa
sempre ridere.

Ehm… Hot Fuzz?

Decisamente più coinvolto Colin Farrell, non solo per il
numero di minuti sullo schermo, ma anche perché grazie alla sua presenza Gilliam
riesce a raccontarci il lato oscuro di Tony dando un epilogo alla storia. Certo,
non tutto quadra, perché i segni sulla fronte del personaggio vengono spiegati
poco e male e anche lo strambo fischietto di Tony ha un ruolo non ben definito
nella storia, per assurdo, poi, in un film (ri)scritto e diretto per non perdere
per sempre gli ultimi momenti della recitazione di Heath Ledger, il nostro BIP
è forse il personaggio meno incisivo.

Quando il suo Tony suggerisce a Parnassus e alla sua banda
di scapestrati artisti di strada di cambiare look ed esibirsi per un pubblico
con maggiore disponibilità economica, è un momento metaforico (lasciatemi
l’icona aperta, che più avanti ci torniamo) che Heath Ledger sottolinea con una
recitazione sopra le righe da bravo imbonitore, il suo modo di cambiare tono di
voce sbracciando mentre introduce «The extraordinary Doctor Parnassus!»
funziona e il suo «Voilà!» sarebbe potuto diventare una frase di culto, ma ad
emergere sul serio sono gli altri attori del cast.

Ha fatto in tempo a regalarmi ancora questo piccolo tormentone.

Lilly Cole è l’ennesima conferma (dopo Uma Thurman) che
Terry ha l’occhio lungo per le bellezze botticelliane, sembrava destinata ad
una lunga carriera, invece pare già sparita, è andata decisamente meglio con la
predizione su Andrew Garfield, definito da Gilliam come «Bravissimo, lo vedrete
presto in tutti i film», cosa che, a ben guardare, è accaduta davvero! Il suo Anton è un personaggio tragico per cui è
molto difficile fare il tifo, ma con cui Andrea Isidoro spesso ruba la scena.

“Non fare mai film tratti dai fumetti, portano sfiga!”.

L’assoluto protagonista, alla fine, diventa proprio il Parnassus di Christopher Plummer, anche lui di certo non uno stinco di santo, ma il personaggio attraverso il quale Gilliam riesce a mettere su una riuscita metafora sul cinema stesso. Sì, perché “The Imaginarium of Doctor Parnassus” è un film teorico sul cinema, Parnassus e Mr. Nick s’incontrano per la prima volta in un monastero dove il Dottore è intento a continuare a raccontare una storia che se mai si dovesse interrompere scatenerebbe la fine del mondo (o del film) stesso. Valentina in tutto questo rappresenta l’idea, l’ispirazione da proteggere e inseguire, continuamente combattuta tra le tentazioni e le scappatoie facile di Mr. Nick e il vecchio e sgangherato spettacolo di suo padre Parnassus.

Il diavolaccio di Tom Waits ben incarna le sirene del cinema
omologato e digitale, mentre Parnassus il trionfo dell’analogico e della fantasia
vulcanica che Gilliam ben rappresenta con il suo cinema, proprio per questo è
un peccato che molte delle “visioni” di Terry siano realizzate in CGI decente
ma non proprio memorabile che impedisce al film di volare davvero.

Il cinema di Gilliam, dovrebbe restare sempre analogico, mai digitale.

Funziona tutto molto meglio quando Gilliam mescola realtà e
finzione (il cartello “Please, take generously” che diventa “Please, give
generously”) senza bisogno di effetti speciali realizzati al computer, ma
semplicemente il suo talento di regista, infatti il modo in cui Parnassus
inganna il diavolo è molto vicino ad un trucco cinematografico e il destino
del personaggio è quello di tornare ad esibirsi con un piccolo spettacolo di
marionette, figurine animate di carta che somigliano tanto a quelle che Gilliam
trasformava in animazioni per il Flying Circus,
la frase finale del film, poi, sembra una riflessione sui finali, spesso lieti,
solo ad un’occhiata distratta tipici del cinema di Terry («ma la storia finisce
bene?» , «Scusa, non possiamo garantirlo»).

“Mi spiace ragazzo, nessuno conosce davvero il finale delle proprie storie finché non ci arriva”.

Perché se Munchausen è l’alter ego di Gilliam, il campione
dell’immaginazione convinto di poter modificare il mondo solo con il potere
della sua narrazione e della sua fantasia, e Don Chisciotte il personaggio che
meglio incarna la cocciutaggine Gilliamesca, allora Parnassus è il personaggio
che sta esattamente nel mezzo, l’artista che cerca ancora di convincere con i
suoi vecchi trucchetti analogici un pubblico che non ha più voglia di
utilizzare l’immaginazione e che forse preferisce la via più facile ed
omologata offerta da Mr. Nick. Parnassus ha dentro tutto questo, una coraggiosa
sfida alla morte, un caparbio omaggio ad un amico da portare a termine contro
tutte le difficoltà, ma anche una lucida riflessione sullo stato attuale del suo
cinema e della sua carriera. Gilliam non ambisce ad essere un Parnassus, ha il
dubbio di esserci già diventato.

Come probabilmente si sente Gilliam, ogni volta che parla di film con un nuovo produttore.

Tutta questa disarmante sincerità si traduce in un film sghembo,
ma onesto come l’omaggio ad un amico, se una grande casa di produzione come la
Warner Bros. probabilmente guidata da uno che somiglia a Mr. Nick, ha sfruttato
in ogni modo possibile la morte di Heath Ledger per fare soldi, allora
preferisco non una, ma mille volte lo sgangherato teatrino messo su dal Dottor
Gilliam, quindi visto che ha aleggiato in tutto il post, fatevi chiudere
citando Tom Waits: “Preferisco un fallimento alle mie condizioni che un successo
alle condizioni altrui”.

Tra una settimana, io spero che voi siate tutti grandi amici
di Pitagora perché abbiamo un teorema da risolvere!
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