Lo so, questo non è il genere di film che solitamente va sulla Bara Volante, ma non si vive di solo horror e ci sono le bollette da pagare, perciò Quinto Moro sponsorizzato da Yves Saint Laurent ci parla del nuovo profum… ehm volevo dire del nuovo film di Paolo Sorrentino.
Parthenope è il classico – o meglio il solito – film di Paolo Sorrentino, quello manieristico, che imita se stesso con le sue belle inquadrature lente su personaggi e scenari, come un documentarista del National Geographic ossessionato dell’umanità brutta e decadente dell’italietta nostrana. Se con “E’ stata la mano di Dio” era riuscito a convincere tutti o quasi, qui torna a tuffarsi a bomba in quelli che sono i suoi schemi e le sue manie. Parhenope riesce ad essere visivamente bello ed estenuante non tanto per la sua lentezza, ma per come l’eterea bellezza della protagonista finisca per essere un muro contro cui, tanto chi la circonda quanto lo spettatore, finisce a sbattere senza mai poter scorgere qualcosa di davvero vivido e interessante. A tratti è irritante la tendenza a ripetersi delle stesse dinamiche di scena in scena, come una serie di episodi e di aneddoti, collegati solo dalla presenza di Parhenope. E’ come un libro di aforismi o di poesie messo su pellicola, visto che i personaggi parlano per frasi ad effetto, tutti prigionieri di una recita, una mascherata che soffoca ogni sincerità. Persino l’evento luttuoso è reso in maniera telefonata e quasi sterile (o magari è stata una mia impressione eh).
Celeste Dalla Porta, da sconosciuta esordiente, regge alla grande, restituendoci emozioni e disagi della bella Parhenope, anche se in alcune scene – più che altro momenti – lascia intravedere qualche nota acerba. La sua prova è sia aiutata che sabotata dal modo in cui è stato scritto il personaggio, e com’è scritto tutto il film. I personaggi stanno chiusi in una bolla di discorsi “alti”, per metà sono monumentali (il professore, il prete, persino l’imprenditore), e per metà personaggi semplici se non miseri, tutti ugualmente ammaliati e spesso respinti dalla protagonista. Protagonista che non fa un vero e proprio percorso, è dispersa nel tempo, sballottata da ciò che le succede intorno e lei si lascia trascinare, vittima degli eventi come della sua bellezza verrebbe da dire, ma la cosa strana è che Parthenope non è né vittima né carnefice, né sembra animata da una vera volontà nonostante la pretesta di un carattere autonomo, volitivo ed eternamente misterioso.
L’unico bagliore di vera umanità ce lo mette lo scrittore interpretato da Gary Oldman, che nelle sue poche scene dà veramente l’anima al personaggio, ed è l’unico che non si bea della sua maschera. Apprezzabili anche il professore di Silvio Orlando e il prete pacchiano. Memorabile il personaggio di Greta Cool non tanto per il monologo sputtanapoli, ma per la comicità involontaria (?) del personaggio: introdotta come una fan del sesso anale, e si chiama Greta Cool. Scemo io o Sorrentino che l’ha pensata?
Alla fine Parthenope è questo: una collezione di personaggi e luoghi sullo sfondo, che vanno e vengono senza niente di memorabile.
Sulla confezione non ci sarebbe nulla da dire, perché Sorrentino sa girare le sue belle scene con movimenti di macchina lenti che però sconfinano continuamente nel patinato, negli scenari da cartolina che non producono nessuna scena grandiosa, anzi per metà del film ci manca solo il marchio di un profumo o una voce fuori campo che dica il nome del prodotto. Poi vai a scoprire che tra le millemila case di produzione e distribuzione del film c’è pure la Saint Laurent Productions, e capisci che non è un caso. Anche se data la quantità di scene enfatiche con le sigarette non mi stupirebbero gli sponsor tabaccai, occulti finanziatori di Sorrentino da tempo immemore.
La sceneggiatura non sa o non vuole andare da nessuna parte, sfilacciata tra un episodio e l’altro. Il quasi-triangolo amoroso iniziale potenzialmente incestuoso, che mantiene coesa la prima parte del film e sembra dover sostenere tutta la storia, poi si interrompe e non mantiene nemmeno degli strascichi rilevanti nella vita dei personaggi. Il percorso da attrice di Parhenope? Chiuso in un nulla di fatto, senza nemmeno la crudezza di una delusione o disillusione autentica. L’affacciarsi nei bassifondi del sottobosco camorristico? Idem. Ma a lasciare davvero perplessi è la pretesa di accompagnarci tra le età della protagonista, del tutto fallimentare. In teoria gli eventi si svolgono tra la giovinezza e la maturità, ma non si percepisce minimamente lo scarto temporale, perché gli eventi e il mondo in cui si muove Parthenope non sembrano raccontare affatto l’epoca (gli anni ’70), ma sembra piuttosto un presente dilatato e imbalsamato. Lei stessa sembra non cambiare mai, e quando la ritroviamo vecchia, è la pietra tombale di un percorso inesistente. Paolé, ci hai fatto passare due ore a guardare questa bella figliola per raccontarci cosa esattamente?
Alla fine, il cinema di Sorrentino è sempre la ripetizione delle sue ossessioni: i concetti di bellezza e bruttezza, il tempo e i rimpianti, in Parthenope i primi due sono costantemente sbattuti in faccia, mentre stavolta non arriva il senso del tempo e dei rimpianti. Eppure, con tutti i suoi manierismi, Sorrentino racconta l’Italia per quello che è, un ammasso di umanità cadente tra le rovine di una gloria lontana. La bellezza incarnata da Parthenope è astratta, perduta, non dà frutti e avvizzisce senza rinnovarsi (la maternità che insegue ma non arriva), langue e si spegne in un Paese col culto della bellezza e marcescente nella sua vecchiaia e bruttezza. Un Paese che umilia e stupra la gioventù, come nella scena coi ragazzi denudati, costretti, usati, ridotti a zimbello voyeuristico per un branco di relitti umani, a scopo di vecchie logiche che non gli appartengono – le fusioni tra famiglie mafiose – e che li rendono schiavi, privandoli di un’identità che non sia quella scelta per loro da un branco di vecchi di merda.
Mi fa venire in mente i filmini dei matrimoni, dei battesimi, delle cresime. Ecco, Sorrentino sta facendo il filmino del nostro funerale, e cerca di rendercelo visivamente gradevole.
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