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Peaky Blinders – Stagioni 1, 2 & 3: In a dusty black coat (with a red right hand)

Era parecchio che
volevo lanciarmi sulla tanto chiacchierata serie tv “Peaky Blinders”, che mi è
stata venduta come una specie di “Boardwalk Empire” ambientato, però, sul
versante inglese. Venduta! Quando qualcuno mi fa paragoni con Nucky Thompson
con me vince sempre.


Altri motivi di
interesse? Parecchi, a partire dal creatore della serie, ovvero Steven Knight,
già sceneggiatore di Eastern Promises
per David Cronenberg e regista di “Locke” (2013) con Tom Hardy, suo attore
feticcio visto che compare in questa serie e anche nell’altra creata da Knight,
ovvero “Taboo”, se dovessi riuscire a terminarla, prossimamente su questo
schermi.


Inoltre, il protagonista è l’Irlandese Cillian Murphy, uno che recita sempre
troppo poco e qui si carica la serie sulle spalle, battagliando
con il cattivissimo sbirro interpretato da Sam “Più grande attore degli anni ‘90”
Neill, a proposito di attori che si vedono troppo poco! Sapete qual’è un altro
bel motivo di interesse? I berretti all’Irlandese e questa richiede un minimo
di spiegazione.


Berretti all’Irlandese, gente che si picchia per strada, come faccio a resistere?

Siccome non sono
tutto finito, tra le mie mille passioni c’è anche quella per l’Irlanda, quindi
appena vedo il classico “Irish cap” il mio senso di Guinness pizzica. Di fatto,
somiglia alla nostrana coppola siciliana, anche se la forma è un pochino
diversa e la visiera risulta meno accentuata perché nascosta dalla forma
stessa del berretto, bene “Peaky Blinders” è un’orgia di cappelli all’irlandese,
tanto che danno persino il titolo alla serie.

I “Peaky Blinders”
erano una vera gang criminale attiva tra le strade di Birmingham nei primi del ‘900,
il nome deriva proprio dal cappello con visiera (peaky appunto) che
indossavano, con cui accecavano gli avversari nelle risse di strada. Voi direte: “Come fai ad accecare uno con un cappello floscio Irlandese?”. Beh, facile: si farcisce
il bordo posteriore del berretto con delle lamette e lo sbatti fortissimo
sulla faccia del tipo.



Le foto d’epoca dei veri Peaky Blinder, visto che belle faccette?

Per metà
Irlandesi, l’altra metà gitani, o Gipsy per dirla alla loro maniera, i Peaky
Blinders facevano il bello e il cattivo tempo, nel quartiere di Small Heath a Birmingham,
ma non solo e proprio da qui parte la storia messa su da Steven Knight. La banda
dei “FOCKIN’ POAky BlOnders!” come direbbe il morigerato zio Arthur (Paul
Anderson) sono tutti ex combattenti tornati a casa con svariati traumi dalle
trincee e dai tunnel scavati in Francia, appena rientrati non hanno perso tempo
e si sono rimessi in affari: scommesse, gioco d’azzardo, estorsioni, botte e
serate al Pub, insomma la vostra normale vita di provincia nella Birmingham del
1919.

Il loro
carismatico capo è Tommy Shelby, interpretato da un bravissimo Cillian Murphy,
uno con in testa solo la missione di far espandere la sua banda, guadagna
rispetto, denaro e credibilità, il tutto, però cercando di restare fedele a se
stesso e soprattutto alla sua famiglia.


Il buon vecchio Cilliano, finalmente in un ruolo da protagonista (olè!).

Come sempre, però,
quando c’è di mezzo la famiglia, le cose si complicano, specialmente quando la
sorella ribelle Ada (Sophie Rundle) inizia a frequentare (si in quel senso) l’amico
d’infanzia di Tommy, Freddie Thorne (Iddo Goldberg) che, mentre
Tommy era a combattere, è diventato attivissimo nei sindacati e, di conseguenza,
molto mal visto dalla polizia… “Poi tu quello non te lo sposi svergognata!”.

Insomma, avete
capito l’andazzo, no? Le cose nella prima stagione si complicano quando il Re ed
il primo ministro Churchill, mandano a chiamare un integerrimo poliziotto che
si è fatto le ossa tenendo a bada i ribelli Irlandesi (più o meno affiliati con
l’IRA) tra le strade di Belfast, ispettore C.I. Campbell il caso “Peaky
Blinders” è tuo! Quindi, nella serie fa il suo esordio il cattivissimo sbirro
fatto a forma di Sam Neill… Degli applausi sarebbero graditi grazie!


“Psss, sono il più grande attore degli anni ’90, ma non dirlo a nessuno”.

A questo
aggiungente una guerra con la gang degli italiani guidati da Sabini (il Noah
Taylor visto anche in Giocotrono, che gesticola come un italiano, anche se con
l’accento andiamo così così) e la biondina arrivata dalle campagne irlandesi Grace
Burgess (Annabelle Wallis con il suo naso ancora originale, prima di trasformarsi in un mascherone causa
abuso di chirurgia estetica), che sembra destinata ad essere il grande amore di
Tommy, ma ha un piccolo segreto da mantenere.

Nei sei episodi
(da quasi un’ora ciascuno) della prima stagione, facciamo la conoscenza anche
di mammà Polly (la brava Helen McCrory) e di un ospite speciale che arriva a
fine stagione, il distillatore clandestino ebreo, matto come un cavallo,
interpretato dall’esperto di personaggi che hanno perso il boccino, ovvero Tom Hardy. Il suo Alfie Solomons è una
bomba a orologeria che si mangia la scena ogni volta che compare in un episodio, in
particolare nella seconda stagione.
Steven Knight
mette su un dramma che potrebbe piacere a tutti quelli che come me hanno amato “I
Soprano” e soprattutto “Boardwalk Empire”, serie con cui questa ha molto in
comune, se non altro per il periodo storico, c’è un punto durante la seconda
stagione, che mi ha fatto sorridere, quando i Peaky Blinders si mettono ad
esportare bottiglie per il mercato americano nella morsa del proibizionismo, ho
realizzato che forse la gang di Birmingham era tra i fornitori di liquori del
grande Nucky Thompson!


Un adorabile accento (“FOCKIN’ POAky BlOnders!”) e dei modi garbati, fanno di lui il mio personaggio preferito a mani basse!

Ad aumentare la
dose di figosità generale ci pensa anche una colonna sonora moderna di tutto
rispetto, che funziona malgrado questa sia di fatto una serie in costume, ad
esempio troverete dosi abbondanti, ma davvero molto abbondanti di Nick Cave
come se non ci fosse un futuro, basta dire che la sigla della serie è la
fighissima “Red right hand”, ma non mancano pezzi come “Abattoir blues” o “Breathless”
e, giusto per restare in tema di atmosfera inglese, spuntano anche gli Arctic
Monkeys, impegnati anche loro a rifare “Red right hand” e qualche loro
pezzo tipo la strafamosa “Do I Wanna Know?” che può sembrare fuori posto in una
serie ambientata nei primi del ‘900, invece fa la sua porca figura.

“Metti su il CD di Nick Cave e andiamo” , “Ma non li hanno ancora inventati i CD!”.

Personalmente, la
stagione che ho apprezzato più di tutte è stata la seconda, che si apre con il
contro colpo di scena che risolve il cliffhanger dell’episodio 1×06 e porta in
scena oltre che ad un nuovo interesse amoroso per Tommy, la vedova e allenatrice
di cavalli May Carleton (Charlotte Riley decisamente meglio, sotto tutti i
punti di vista, rispetto alla biondina plasticosa Annabelle Wallis, ma nemmeno
da mettere!), fa davvero entrare nel vivo lo scontro tra i Peaky Blinders, le
altre gang come quella di Sabini e porta a compimento il duello con lo sbirro
di Sam Neill alla grande, in un episodio conclusivo che citando di Fratelli
Marx, avrebbe potuto intitolarsi “Un giorno alle corse”, davvero un gran moto
per concludere la miglior stagione della serie.

Notevole anche l’episodio
2×06, in cui Tommy si ritrova a trattare con Alfie Solomons, per la sua
percentuale del contratto, in una maniera molto particolare, lo scatenato personaggio
di Tom Hardy lo vorrebbe morto, ma a dettare i tempi della trattativa e Tommy,
grazie a… Beh, robetta: una granata nascosta nella distilleria pronta ad
esplodere. Una scena davvero super, perché Tom Hardy quando fa il pazzo risulta
davvero minaccioso, mentre Cillian Murphy si supera sfoggiando la sua miglior
faccia da “Tutto qua?” anche quando gli puntano una pistola in faccia, il suo
Tommy ne ha viste talmente tante (e orribili) al fronte, che non si agita di
certo per una semplice pistola carica.


“Non starai mica dicendo che sono pazzo? Perché ultimamente tutti mi credono pazzo?”.

Devo dire che,
purtroppo, la stagione numero tre non mi ha esaltato più di tanto. I Peaky
Blinders sono ormai così influenti da ritrovarsi al centro anche delle vicende
politiche del Paese, Tommy è tutto esaltato all’idea di poter far diventare
rispettabili gli Shelby e di svolgere le missioni che gli arrivano direttamente
dal primo ministro Churchill.

Le cose si
complicano quando entra in scena il cattivissimo prete (quindi anti-comunista)
interpretato dal grande Paddy Considine, più bastardo e tosto che mai, qui
inizia una complicata vicenda che prevede i Russi (evidentemente una fissazione di Steven Knight), che purtroppo
non risulta molto appassionante.


Se non avete timore di Dio, dovreste comunque temere LUI!

Non ha aiutato un
salto in avanti di due anni che fa sparire dalla scacchiera alcuni personaggi,
ma nemmeno aver reso zio Arthur Shelby un personaggio più morigerato, o almeno,
per la media di quanto possa essere sotto controllo quel matto!

Il bello di Arthur
Shelby è proprio essere il “cane pazzo” del gruppo, Paul Anderson tutto nasone,
occhi infossati e fisico spigoloso sembra il classico sottoprodotto dei
sobborghi inglesi, tutto pinte e risse, peccato risulti un po’ annacquato nella
terza stagione, che si conclude con un altro cliffhanger, anche se meno
efficace di quelli precedenti, visto che nelle parole di Tommy c’è già il
destino di tutti i personaggi.
In ogni caso, per
gli orfani di “Boardwalk Empire” come me, questa serie è un’ottima alternativa,
la qualità è molto alta, non mi è sembrata il capolavoro di cui sentivo parlare,
ma complice Netflix, mi sono mangiato le tre stagioni (le prima due con meno
fatica) della serie ed ora aspetterò la quarta, magari finisco di vedermi “Taboo”
giusto per restare in scia all’ambientazione in costume inglese.
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