Se qualcuno in era recente si è avvicinato alle tematiche
care al cinema di Walter Hill, quello
è sicuramente stato Tony… Lo Scott giusto!
Penso che un remake sia una sfida spesso anche maggiore
rispetto a dirigere un nuovo soggetto, lo so che ormai viviamo in un periodo in
cui escono remake, reboot e recosi ogni tre minuti (con risultati spesso molto
rivedibili) per un regista magari esordiente un remake, può essere l’occasione
per un po’ di visibilità, ma per un autore? Quanto dev’essere complicato
affrontare non solo il confronto diretto con il film originale, ma anche
mantenere il proprio stile? Sarà per questo che pochi autori affrontano la
sfida e ancora meno sono stati in grado di vincerla alla grande.
delle dita, in realtà, aveva due titoli in mente, per uno inizia anche una lunga
ricerca sul campo, lasciatemi l’icona aperta, più avanti nel corso del commento
ci torneremo. Il film che quello con le maniche tirate su di casa Scott decide
di rifare è un classico come Il colpo della metropolitana, un film per cui Tony aveva già dimostrato una certa
propensione e qui tocca fare un saltello indietro nel tempo, metto un punto e
poi saltiamo.
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Il Conte Tony Scott Mascetti, impegnato a dare indicazioni: Qui, tutto giù. Qui, giù! |
Il primo a nasare il talento di quel ragazzo dalla parlantina
a mitragliatrice di nome Quentin Tarantino è stato proprio lo Scott giusto che
era molto interessato a dirigere quella cosetta con dei rapinatori che portavano
i nomi dei colori che finivano a sbranarsi tra di loro. Solo che Tarantino “Le
Iene” (1992) se lo era scritto tutto in interni, per poterlo anche dirigere un
giorno, sapete com’è andata a finire. Tony e Quentin si sono accordati per Una vita al massimo che è stata la
scelta migliore per tutti, ma mi piace pensare che quello giusto di casa Scott
abbia capito il valore di Tarantino cogliendo al volo quell’omaggio a Il colpo della metropolitana.
rapinatori che prendono ostaggi sul vagone della metro, non si chiamino più tra
di loro Mr. Blue, Mr. Green, Mr. Grey e Mr. Brown, anche perché dopo i “Cani da
rapina” di Tarantino, per assurdo, sarebbe sembrata una scopiazzatura. Non ci
trovate qualcosa di molto ironico anche voi in tutto questo?
viene affidata a David Koepp che s’impegna molto a portare una storia ambienta negli anni ’70 nel nuovo millennio,
tenendo conto di tutte le nuove tecnologie, questo forse spiega un po’ tutta la
parte del ragazzo con il portatile in metro e della sua ragazza che pretende
una dichiarazione d’amore, mentre quello è con la faccia a terra e i mitra puntati (eh vabbè),
serviva qualcuno che trasmettesse in diretta immagini dall’interno del vagone,
la scelta è ben poco elegante, ma raggiunge l’obbiettivo.
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“Mi stai tradendo con un’altra? Cosa vuol dire che hanno i mitra!? Non è una buona scusa per non essere romantici!” |
A Tony Scott la prima bozza non fa impazzire ed ecco, quindi,
salire a bordo del Pelham 123 Brian Helgeland lo stesso che aveva scritto Man on fire. Perché lo Scott giusto è un
po’ come Coach Pat Riley: alla partita porta dodici giocatori, gioca con
cinque, ma si fida di tre. Helgeland dà una sistemata a tutto e rende i due
personaggi un tempo interpretati da Walter Matthau e Robert Shaw due opposti sì, ma anche due con qualcosa in comune,
argomento su cui il capo dei rapitori cercherà più volte di fare leva nel corso
della storia.
tre di cui si fida Tony, mettete sicuramente dentro Denzel Washington al suo
quarto, ma non ultimo film diretto da quello senza le mire da filosofo di casa
Scott. Denzel diventa il nuovo Garber che un tempo si chiamava Zachary, mentre
in questa versione prende il nome di Walter, proprio in onore a Matthau. Metà
film lo abbiamo messo in cassaforte, Denzel è di nuovo dei nostri, soldi in
banca!
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Niente paura, niente paura, niente paura c’è |
Il terzo di cui si fida Tony è un altro suo pretoriano, uno
che nel frattempo è diventato un grandissimo (non è una battuta sul suo peso lo
giuro!), James Gandolfini con il ruolo del sindaco di New York qui, arriva
anche lui a quattro collaborazioni con lo Scott che conta, se vogliamo contare
anche la sua parte (non accreditato) in L’ultimo Boy Scout. Altra grande scelta,
perché anche in Il colpo della metropolitana, il personaggio del sindaco
interpretato da Lee Wallace aveva la sua importanza nel rappresentare gli
ingranaggi (spesso inceppati) della burocrazia, qui Gandolfini risponde alla
grande, con un sindaco che viaggia in metro e così facendo nei sondaggi
appare più alla mano, ma è a fine mandato e si trova con una bella rogna per le
mani, solo che lui non ha nessuna voglia di fare il Rudy Giuliani della
situazione, il fatto che abbia anche un mezzo scandalo sessuale alle spalle,
poi, lo mette quasi sullo stesso piano di Walter, uno con un’accusa di tangenti
da giustificare sul curriculum. In ogni caso, un altro bel pezzo di film lo
abbiamo messo in cassaforte.
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“Madonna quanto sono bravo. M’impressiono da solo per quanto sono bravo” |
Per il ruolo del capo dei rapinatori che prende il nome di
Ryder (come nel romanzo originale), Tony Scott aggiunge un altro grosso nome,
alla già nutrita lista di grandi attori che sgomitavano per lavorare con lui.
Il John Travolta di questo film è parecchio (tanto!) sopra le righe, non come
quando faceva il cattivone nei film di John Woo, però con il suo look da motociclista,
baffoni a manubrio e tatuaggio sul collo, diciamo che si è disegnato un bel
mirino sulla fronte, specialmente perché arrivava da un aspetto ancora più
esagerato in “Hairspray” (2007) film che ai tempi fece scaldare parecchie
tastiere ai giornalisti. Se non altro, qui per il buon John nessuna parrucca, anzi,
via anche il solito parrucchino brutto con cui si ostina ancora oggi troppo
spesso a recitare: rassegnati John, i capelli sono andati!
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… Capelli, capelli. Sono andati via, e non torneranno mai (Cit.) |
A proposito di parrucchini e recitazione con il volume della
radio molto alto, la prova di Travolta è stata criticata (non da me, più avanti
ci torniamo), ma pare che tra i candidati per la parte, fosse stato valutato
anche Nicolas Cage (storia vera). Quindi la volontà era proprio quella di avere
qualcuno che facesse parecchio rumore nel ruolo, il che lo trovo perfettamente
sensato, può sembrare un pugno in un occhio se confronti la prova di Travolta
con quella di Robert Shaw (un animale a sangue freddo, calcolatore e
pericolosissimo), ma in un film ambientato nel 2009, in cui le motivazioni di
Ryder sono state aggiornate e rese al passo con i tempi (tenendo conto anche di
alcuni notevoli film della stessa
tipologia) ci vuole qualcuno che faccia rumore. Ryder fa uno spettacolo
personale, da una parte si gode la sua rivincita restando a carte coperte,
vuole che si sappia che si tratta di una vendetta e quindi gongola (come quanto
racconta di come si spupazzava la “culista” sulle nevi in Islanda), ma allo
stesso tempo fa più casino possibile per mandare in confusione e distrarre
tutti dal suo piano
Washington che, ammettiamolo, è il classico personaggio di Denzel, in cui lui ha
ragione è solo questione di tempo dimostrarlo, di fatto è quasi identico al protagonista
di Déjà Vu, ma con un’aria molto più
dimessa, il look è un po’ eccentrico per ricordare le giacche impossibili di Walter
Matthau, ma il modo di fare è quello di uno che si è beccato un’accusa
infamante ed è stato retrocesso mentre è in attesa di giudizio. Ora gestisce
partenze e arrivi alla consolle della MTA (Metropolitan Transportation
Authority), ma prima era un pezzo grosso, uno che ha fatto tutta la gavetta e
che conosce il sistema, insomma, proletario fino al midollo, malgrado navighi in
brutte acque.
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Un, due, tre… |
Nemmeno il solito ridondante sottotitolo italiano
appesantisce l’inizio di “Pelham 123 – Ostaggi in metropolitana”, Tony Scott
parte a cannone, ci porta nella frenetica New York sulle note di “99 problems”
di Jay-Z e ci presenta personaggi e situazioni in corso d’opera, avremo 106
minuti per appassionarci ai protagonisti e alla vicenda.
alla post produzione digitale Tony scandisce il conto alla rovescia con le
solite scritte che compaiono in sovraimpressione sullo schermo e, come sempre,
moltiplica i punti di vista usando i tanti “occhi” della Grande Mela. Il punto
di vista è quello della console di Denzel, con le sue lucine che mostrano i
treni in partenza, le telecamere di sicurezza delle varie stazioni (a cui
Travolta dà le spalle quando minaccia con la pistola il conducente del Pelham
123) e, ovviamente, anche la webcam del computer del ragazzo. Tony, come al
solito, utilizza il suo cinema muscolare ed estremamente visivo per portarci nel
mezzo dell’azione, rendendo dinamica anche una trattativa con ostaggi che si
svolge via radio e in un vagone fermo sotto terra, non proprio la più briosa
delle situazioni.
stesso di Ryder alzando il volume della radio, ad esempio, l’entrata in scena
del negoziatore professionista, quel “pizzaiolo” di John Turturro come viene
definito nella pellicola (strizzatona d’occhio a “Fa’ la cosa giusta” di Spike
Lee, tanto per stare a New York) rappresenta il momento in cui l’uomo comune
rappresentato da Denzel viene messo in panchina. BANG! Primo morto! Denzel
abbiamo ancora bisogno di te, Turturro, grazie per essere passato.
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Qui si “escherza” con Jesus Turturro. Si fa anche della facile ironia. |
“Pelham 123” mantiene un ritmo costante che poi aumenta
quando la trattativa si fa più complicata e il tempo stringe. La corsa contro
il tempo, il filo rosso che lega tutti i film di Tony Scott qui tiene banco, è
chiaro perché abbiano voluto fare un remake di Il colpo della metropolitana, già solo per questa ragione. Qui, però,
Tony Scott aumenta la posta in gioco, i milioni chiesti da Ryder passano da uno
del film originale a dieci e se nel film del 1974 l’auto della polizia che
portava di corsa il denaro aveva un incidente a rallentare il tutto mettendo in
pericolo gli ostaggi, Tony aumenta il numero degli incidenti (che diventano
tre, uno più grosso dell’altro e tutti diretti a distanza ravvicinata).
Washington deve scendere lui stesso in campo, con tanto di pistola alla mano in un
faccia a faccia finale con John Travolta. Una scelta decisamente meno elegante
rispetto al film originale (ma più vicina al romanzo originale), ma la colpa è imputabile più che altro ad una
sceneggiatura competente, ma senza guizzi, un buon compitino che viene
migliorato dalla regia di Tony Scott che, invece, è sempre una gioia per gli
occhi.
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“Ne ho trovato un altro senza biglietto vidimato, che faccio sparo anche a lui in faccia o gli faccio solo la multa?” |
La sua versione di “The Taking of Pelham 123” ha i muscoli,
ma anche personaggi più sfaccettati, è quasi un peccato che nell’ultimo atto
tutta l’umanità dei personaggi venga un po’ sprecata dalla storia stessa, ma
non cambia il fatto che “Pelham 123” é un film a cui si può criticare poco, ti fa aggrappare ai braccioli quando serve restando in ansia per
i protagonisti e riesce nell’impresa di confrontarsi con un titoli di culto
come quello del 1974, uscendone comunque decentemente.
fogli verdi con sopra facce di altrettanti ex presidenti mancati, il film che
porta a casa più di cento cinquanta, insomma l’ennesimo solido film di Tony e
Denzel, uno di quelli che si andava a vendere sicuri di passare un paio d’ore
al cinema alla grande, ai tempi lo avevo visto in sala con la mia Wing-Woman,
lo abbiamo rivisto sul divano di casa in vista di questa rubrica, non ha perso
un colpo, avercene di remake con dentro questo ritmo e questa cura, non tutti
gli ultimi rifacimenti di classici degli anni ’70 che ho visto avevano proprio lo stesso brio, ecco.
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“C’è da spostare una macchina” (cit.) |
Vi ero debitore di un’icona da chiudere, lo faccio subito.
Per tutta la rubrica ho sottolineato i punti di contatto tematici tra Walter Hill e Tony Scott, “Pelham 123”
li mette sotto gli occhi di tutti essendo ambientato tutto in una metropolitana
come tanti classici di Gualtiero Collina.
intenzione di rifare era proprio IL film che mi ha portato a credere che tutte
le grandi pellicole dovrebbero avere almeno una scena in metropolitana, ovvero
I guerrieri della notte. Può sembrare
una bestialità l’idea di rifare “The Warriors” e forse lo è, anche se temo che
prima o poi a qualcuno questa brillante idea verrà (mi auguro che la capacità
di Hill di passare sempre sotto traccia, per una volta giochi a suo e a nostro
favore), però penso che una versione niente male di “The Warriors” nuova, Tony
Scott avrebbe potuto regalarcela.
era spostare l’azione tra la bande di strada della Los Angeles contemporanea,
il che avrebbe già garantito almeno uno spunto di partenza comune, ma differente
(d’altra parte si chiamano re-make, ri-fare. Non fare-uguale), sono abbastanza
sicuro che Tony ci sarebbe arrivato prima o poi, il destino ha voluto
diversamente, il capolinea anche per questa rubrica dista solo sette giorni, è
l’ultimo treno, quindi non mancate, ma prima, vi lascio con il solito schemino
della “Scottitudine”.
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“Il fratello di chi? Dai vediamo se hai il coraggio di ripeterlo” |
Pelham 123 (2009)
con un classico degli anni ’70? Invece lo ha diretto Tony, quindi è una roba con
dei vagoni, in ritardo come un treno delle FS.
resta comunque molto meglio di:
nella sua carriera? Nessuno? Ma come Ridley? Vabbè, sarebbe stata un’onta per un
regista della sua caratura mettere le mani sul lavoro altrui per rifarlo, con
il rischio di rifarlo anche peggio.
H.R. Giger, Walter Hill e David Giler per sfornare roba come Prometehus e Covenant? Ora venite a dirmi che cento (ventitrè) “Pelham 123” non
sono meglio, dai venite a dirmelo.
dopo il quindicesimo Round:
con quaranta minuti di ritardo, suggeriamo di salire a bordo del vagone di
Tony, lo Scott giusto!