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Per favore, non toccate le vecchiette (1968): primavera per Hitler, la storia di un imbianchino che cambiò il mondo

“Reign over me” (2007), non un grandissimo film, ma uno a cui voglio abbastanza bene e di sicuro, uno di quelli che non si cita quasi mai quando si parla di titoli dove Adam Sandler sa fare il serio, anche quando interpreta un adulto bloccato per via di un lutto, ad una fase adolescenziale.
In una scena Sandler porta Don Cheadle ad una maratona di film di Mel Brooks, all’uscita del cinema Cheadle riceve una telefonata e una pessima notizia, Sandler risponde con una frase che mi è rimasta in testa, cito a memoria quindi potrei sbagliare qualche parola, ma il succo è questo: «Non possiamo sprecare tutto quel Mel»
Se non lo avete visto, “Reign over me” merita anche solo per avermi regalato una frase di uso comune nel mio vocabolario.

2020, una certa pandemia globale, magari ne avete sentito parlare, perché un po’ ne hanno parlato, ferma il pianeta e trasforma tutti i famosi in scrittori, figuriamoci chi già batteva sui tasti come il Maestro Mel Brooks, che pubblica la sua autobiografia intitolata “Tutto su di me!” (da noi edita per la nave di Teseo), lo divoro e grazie a Lucius per avermelo fatto scoprire.

Nella settimana in cui scrivo questo post, in sala è tornato Frankenstein jr. mentre per aprile e per Hulu, il Maestro, alla sua verdissima età (è un ragazzo del 1926) arriverà con una serie intitolata “History of the World, Part II”, seguito del suo film del 1981. Quindi lo capite anche voi, era nella mia testa da tanto tempo, per me è ora o mai più, non posso sprecare… Tutto quel Mel!

Sapete cosa mi piace dell’idea di una rubrica sul Maestro Brooks? Tutto. Per prima cosa avrò la scusa per rivedermi tutti i suoi film, cosa che faccio sempre con estremo piacere, inoltre avendo già trattato i suoi due titoli più famosi e citati, sono libero di concentrarmi su tutti gli altri, che sono altrettanto grandi ma a mio parere, dati fin troppo per scontati oppure peggio, del tutto ignorati proprio perché all’ombra di quei due colossi.

Si dice sempre che la comicità di Mel Brooks è umorismo ebreo, il Maestro è il primo a scherzarci su ma la verità è che il suo è puro umorismo di New York, carico di cinismo e pronto a reagire alle assurdità che la Grande Mela può lanciarti addosso, che poi sia estremamente ebreo beh, se nasci Melvin Kaminsky a Brooklyn il 28 giugno 1926 e sei l’ultimo di quattro fratelli è normale che qualcosa della tua formazione ti resti appiccicato addosso, ma sapete qual è la cosa più importante nella vita? La grande lezione che Mel ha imparato crescendo a New York? Prima di tutto bisogna mangiare.

A stomaco pieno diventa tutto più facile.

Non puoi far ridere se non hai la pancia piena, anzi, non puoi far niente se sei morto di fame. Questo il Maestro Mel lo ha capito bene anche quando è stato spedito in Europa, in quel grosso pasticcio chiamato seconda guerra mondiale – potreste averne sentito parlare, anche di questo hanno parlato un pochino – una faccenda che affrontata da ebreo ha doppiamente il suo peso, anche se sotto le armi Brooks si è concentrato sugli spettacoli per tenere alto il morale delle truppe e sul rancio, per il discorso di cui sopra, a pancia vuota non puoi fare niente, nemmeno sconfiggere il Terzo Reich. Anche se è il caso di dirlo, ridendo, scherzando e facendo valere la sua lunga tradizione, che parte da Mosè e arriva fino a Barbra Streisand, Brooks quando ha lasciato il 1104º battaglione genieri della 78ª divisione di fanteria, aveva raggiunto il grado di caporale (storia vera).

Ma la fame è una faccenda con cui avere a che fare circa tre volte al giorno, più o meno, tornato alla vita da civile, Brooks è entrato nel gruppo di autori di battute e barzellette per Sid Caesar e il suo “Your show of shows”, un gruppetto di cui ha fatto parte per un paio d’anni anche Woody Allen, a proposito di comici ebrei e “knickerbocker” fino al midollo. Con questo lavoro Brooks si portò a casa il suo primo Grammy e la possibilità di lavorare al radiofonico “The 2000 Year Old Man” insieme al mitico Carl Reiner, uno dei sodalizi artistici più solidi della storia dell’intrattenimento, non è durato duemila anni, ma poco meno. Ma il successo presso il grande pubblico del piccolo schermo il Maestro lo ha portato a casa con “Get Smart” (1965), una parodia delle serie di spionaggio che gli ha aperto le porte del cinema e del suo secondo matrimonio, con un’attrice, guarda caso italiana perché la sua “Pasta e fasul” era imbattibile, anche se forse era più famosa per il successo sul grande schermo, visto che Anna Maria Louisa Italiano è più ricordata con il suo pseudonimo, Anne Bancroft (storia vera).

Brooks e il suo fondamentasle socio, il mitico Carl Riner ai tempi di “The 2000 Year Old Man”
Con “Get Smart” che è un successo per la NBC e Anne Bancroft a preparargli pasta e fagioli (se state pensando ad una certa scena di un certo film di Brooks, alzate la mano che arrivo con il cinque alto volante per voi), il Maestro non deve più pensare a non morire di fame e può dedicarsi a realizzare un suo sogno: scrivere una commedia per Broadway, insomma pura New York. A ben guardare la sua “Springtime for Hitler – A gay romp with Adolf and Eva at Berchtesgaden” di fatto è già una parodia degli spettacoli di Broadway, oltre che una critica al vetriolo sul fatto che serpeggi un certo antisemitismo nel mondo dell’intrattenimento, malgrado l’abbondante presenza di ebrei nel settore, ma vabbè robetta no? D’altra parte solo chi scherza dice sempre la verità, come il pazzo shakespeariano. Anche se lui credo fosse più del New Jersey, ma dovrei controllare.
Il produttore e il contabile, la prima di tante improbabili coppie comiche nel cinema di Mel Brooks.
La storia è quella di Max Bialystock, ex grandissimo produttore di Broadway, caduto in disgrazia e con una cintura di cartone a reggergli i calzoni, costretto ad ottenere l’assegnino dal suo giro di vecchiette infoiate, giocando con loro a la contessa e l’autista, il falso eunuco e il becchino innamorato. Una gag iniziale che ha molto colpito i distributori nostrani, che hanno pensato di spararla dritta nel titolo.

Grazie al contabile Leo Bloom, Bialystock scopre che investire in un flop assicurato, potrebbe valergli molti più soldi che tentare invano di inseguire un successo, quindi assolda il peggior sceneggiatore possibile, Franz Liebkind un crucco con la malinconia per il Terzo Reich e affida il suo soggetto su Hitler, pronto ad offendere tutti, al peggior regista su piazza, ovvero Roger De Bris, un personaggio con cui Brooks scherza, appena appena, in maniera velata, quasi suggerita, sul fatto che nel mondo dell’intrattenimento, tutti coloro che non sono ebrei, molto probabilmente hanno il “vizietto”, per citare un’altra nota commedia.

Il politicamente corretto? Mel Brooks lo prende con la grappa, grazie.

L’unico a mostrare interesse per il soggetto tutto matto di Brooks è il noto produttore di Broadway di nome Kermit Bloomgarden, che aveva già prodotto “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, entusiasta della trama rivelò al Maestro una grande verità: nella tua storia ci sono troppi personaggi per diventare uno spettacolo a teatro, prova a riscriverla sotto forma di sceneggiatura cinematografica, sarà un successo. Aveva ragione da vendere l’uomo con il nome da rana dei Muppet.

Un altro “producer” entra in scena, si tratta di Sidney Glazier, a cui Brooks propose il suo copione senza nemmeno crederci molto. Glazier lo convocò in ufficio pensate un po’? Durante la sua pausa pranzo e non avendo tempo di leggere il copione, ma consapevole del talento di Brooks dai tempi di “Your show of shows”, gli chiese semplicemente di raccontarglielo. Ora, a me capita di mangiare in pausa pranzo alla scrivania, ma non ho mai avuto Mel Brooks a recitarmi tutti i personaggi di un suo film, quindi ci credo che Glazier si sia convinto, trovando un accordo sul budget e la distribuzione con la Universal ad un patto: non puoi chiamarlo “Springtime for Hitler”, nessuno vuole quel cognome in locandina, chiamalo “The Producers” e potrai fare quello che vorrai. Che poi è proprio quello che ha fatto il Maestro, comprese canzoni e musiche, composte da lui chiudendosi in casa a picchiare sui tasti, d’altra parte non ha mai studiato al conservatorio, anche se un certo orecchio per i pezzi che ti si piantano in testa a vita lo ha sempre sfoggiato in carriera.

I veri “The Procuders”, Sidney Glazier e Joseph E. Levine insieme al Maestro Brooks.

Mettere insieme il cast è stato abbastanza facile, Zero Mostel è stata la sua prima e più sicura scelta per il ruolo esagerato e sudaticcio di Max Bialystock, per il ruolo di Leo Bloom (nome scippato all’Ulisse di Joyce, perché era un personaggio che doveva “to bloom”, sbocciare nel corso della storia) Brooks voleva una sua vecchia conoscenza, uno che in linea di massima due ruoli iconici in carriera proprio per il Maestro, sarebbe anche finito a recitarli, anche se il primo in cui Gene Wilder recitò colpendo l’amico Mel, fu una piccola parte da cappellano dall’aria innocente in un dramma di Bertolt Brecht. Wilder non credeva che una satira nazista avrebbe mai trovato una produzione, ma si tenne libero nel caso Brooks fosse riuscito a mandarla a segno, in linea di massima ha fatto più che bene. Wilder in questo film è impeccabile, basta guardare come ha recitato la scena della crisi isterica, quando viene separato dalla sua amata sciarpetta azzurra (anzi, celestino), Wilder caccia fuori gli occhi dalla testa e si fa esplodere il volto paonazzo, in una scena che per altro è stata girata buona la prima, a fine giornata, perché il set dell’ufficio di Bialystock doveva essere smontato, quindi il buon Gene ridotto ad uno straccio dopo una giornata di riprese, ha chiesto al suo regista di correre a prendergli due barrette energetiche (ma senza noccioline), le ha ingollate entrambe con un sorso d’acqua, il risultato di quella botta calorica di energia è finito dritto nel film (storia vera).

Buona la prima, nel senso che ancora oggi è dannatamente buona questa scena!

Per il ruolo del simpatizzante neonazista Franz Liebkind, Brooks aveva trovato un attore che funzionava alla grande, un ragazzo di nome Hoffman, Dustin Hoffman, anche lui due cosine in linea di massima in carriera le avrebbe fatte. Sfiga! Una sera Brooks sentì qualcuno intento a lanciare sassolini alla sua finestra, era proprio Hoffman, che aveva ricevuto una chiamata da Los Angeles e stava per partire, il regista Mike Nichols voleva fargli un provino per “Il laureato”: «Beh ragazzo, diciamolo, non sei proprio un adone, non ti prenderanno mai, vai pure così poi potrai tornare a fare il mio film. Oh! Fai il bravo, mia moglie recita in quel film!», in linea di massima il finale lo conoscete, per fortuna Brooks ha ripiegato su un attore anche lui destinato ad entrare nella “factory” del Maestro, Kenneth Mars al provino, con l’elmetto da Sturmtruppen, impegnato nella sua tirata su Winston Churchill ha fatto cadere tutti dalla sedia, più o meno come quando, in una pausa durante le riprese, insieme a Brooks entrò in un ristorante ebreo di New York, con ancora la svastica del costume sul braccio (storia vera). Proprio vero che la gola uccide, poi con Brooks di mezzo, i pranzi e le cene sono sempre fondamentali, anche come potenziali cause di morte.

Tipo a a Natale, quando vi ritrovate a tavola con il vecchio zio nostalgico, stesso imbarazzo.

“The Producers” è un film incredibile, dura 88 minuti ed è un fuoco di fila di battute e momenti micidiali («Gli attori sono esseri umani come noi, mica animali», «Tu credi? Li hai mai visti mangiare?»), una commedia pura che può essere seguita da tutti, anche se di fatto a suo modo è una parodia di tutto quello che sta dietro a Broadway e al mondo dell’intrattenimento, con un cast in gran forma e momenti di culto, parliamoci chiaro, qualunque maschietto sognerebbe una segretaria automatica come Ulla (Lee Meredith).

Grandi transistor svedesi!

Allo stesso modo le canzoni sono micidiali, vogliamo parlare di quella con cui si presenta l’attore fricchetotne Lorenzo St. Dubois detto “L.S.D.” (Dick Shawn) e con cui si guadagna il ruolo del Führer? La sua folle “Love Power” non si dimentica, perché questo film è un crescendo di trovate grottesche e quindi incredibilmente comiche, che culmina con la messa in scena del delirante musical, tanto che nel 2001 lo stesso Brooks lo ha trasformato in un vero spettacolo per Broadway, con oltre 2500 repliche e vincendo un numero record di Tony Award, dodici per l’esattezza senza contare il Grammy portato a casa dal Maestro proprio per le canzoni di questo film.

Satira, niente la definisce meglio di questa immagine.

Nel 2005, la regista della versione teatrale scritta da Brooks, ha riportato la storia al cinema con  “The Producers – Una gaia commedia neonazista”, che vi consiglio se siete amanti dei musical, visto che il minutaggio (e il numero di canzoni) lievita, fino ad arrivare a 134 minuti. Il cast è impeccabile, specialmente la scelta di Uma Thurman per il ruolo di Ulla, però mi dispiace, voglio bene a Matthew Broderick, ma la sua crisi isterica separato dalla sciarpetta, non allaccia nemmeno le scarpe a quella portata in scena da Gene Wilder, uno dei motivi per cui “Per favore, non toccate le vecchiette” si merita un posto tra i Classidy! I colori sono simili, quindi considerate il logo qui sotto un altro sfottò alla fascetta al braccio con un saluto a Kenneth Mars!

“Per favore, non toccate le vecchiette” funziona perché il genio di Mel Brooks si esprime nella grandiosità dei pezzi da musical, ma anche in momenti molto più piccoli e umani, Bialystock e Bloom lo sanno di stare portando in scena una porcata, ma lo fanno senza perdere l’umanità che comunque ha sempre caratterizzato i personaggi di Brooks. Come Mars si scordano la svastica indossata al braccio destro camminando per strada e vergognandosi giustamente come due ladri, la tolgono, la gettano nella spazzatura e poi ci sputano anche sopra. Sono questi i piccoli tocchi che rendono grandi i film di Brooks, lo vedremo anche nel corso della rubrica, spesso i suoi personaggi sono capaci di piccoli gesti in grado di farti fare pace con il mondo, capite perché non potevo proprio sprecare tutto quel Mel? Anche se ai tempi, rischiarono di farlo.

Per assurdo questo film una volta finito e girato da Brooks rispettando tempi e budget, anzi avanzando anche qualche spicciolo (per lui diventerà un abitudine), venne considerato non abbastanza divertente dal produttore Joseph E. Levine, ironico per un film che si intitola “The Producers”, ma che ci volete fare, con Brooks di mezzo diventa tutto un po’ matto, anche il fatto che a salvare il film sia stato un alto geniale comico. Peter Sellers, bloccato ad Hollywood durante una lunga pausa della riprese di “Lasciami baciare la farfalla” (1968) si fece passare da Brooks la “pizza” con la pellicola del suo film, organizzando un cineforum privato in albergo. Alle quattro del mattino Levine venne tirato giù dal letto da un entusiasta Sellers, che essendo un mammasantissima a Hollywood in linea di massima spostava, il suo apprezzamento al film ha fatto sbarcare “The Producers” in sala, risultato? Persone che facevano la fila fuori dai cinema per vederlo e per Mel Brooks, una nomination all’Oscar, diventata presto una statuetta alla migliore sceneggiatura originale, facendo entrare il Maestro in quel club estremamente ristretto di artistici, sedici in totale, che hanno completato un EGOT in carriera, l’acronimo che indica aver vinto Emmy, Grammy, Oscar e Tony Awards.

Il premio Oscar, chiaramente in estasi per aver incontrato Mel Brooks.
Sembrerebbe il finale perfetto di una rubrica, con il protagonista che vince l’Oscar, invece è solo il primo film per il grande schermo del Maestro Brooks, che con “The Producers” ha fatto davvero di tutto, anche togliersi lo sfizio di mettere il famigerato cognome di Hitler in locandina, solo non negli Stati Uniti, sapete dove? Nel Paese di Ulla ovvero la Svezia, dove è uscito mantenendo l’originale “Springtime for Hitler”, in svedese “Det våras för Hitler”, inaugurando una tradizione che lassù, hanno portato avanti per tutta la filmografia del regista, infatti in Svezia tutti i film di Brooks portano la primavera, ache il suo più famoso che da quelle parti è noto come Det våras för Frankenstein (storia vera).

Insomma, buona primavera anticipata a tutti, il maestro Mel tornerà come ospite la settimana prossima, ma vi avviso, se non volete restare in piedi, la sedia ve la dovrete portare da casa, in ogni caso, non mancate!

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