Home » Recensioni » Pet Sematary (2019): Cimitero carente (come una cover fighetta dei Ramones)

Pet Sematary (2019): Cimitero carente (come una cover fighetta dei Ramones)

Lo ammetto non lo aspettavo molto questo film, non tanto
perché “Il cuore di un uomo è più duro di una pietra”, semplicemente per il
fatto che ormai sono un po’ rassegnato all’aria che tira, e quando annunciano
un film così, ormai la parte migliore per me è (quasi) sempre andarsi a
rivedere l’originale.

Anche se le cose bisogna dirle bene, è stata una corsa a chi
bollava più velocemente il film diretto da Kevin Kölsch e Dennis Widmyer come
un remake di Cimitero vivente di Mary
Lambert, non è affatto così, alla pari di IT,
si tratta di un nuovo adattamento del romanzo originale di zio Stephen King del
1983, come avevo già scritto, uno dei miei preferiti, anche per il semplice
fatto di avere la cattiveria giusta nel finale, quella che a molto romanzi
dello zio spesso manca, per via del suo congenito ottimismo, sant’uomo, che
mondo sarebbe senza zio Stevie dai?
Io invece ormai sono affetto da cinismo, e credo che se un
remake ha dietro un libro, chiunque userà quello come scudo, lo hanno fatto i
fratelli Coen per la loro versione di “Il grinta” (2010), ma anche Tim Burton per
“La fabbrica di cioccolato” (2005), così in una frase sola ho citato un esempio
positivo e uno negativo. Penso faccia parte del gioco, invece ricevere una
recensione in anteprima entusiasta da Stephen King se adatti un suo lavoro al
cinema, è parte del carattere di zio Stevie, a meno che voi non siate Stanley
Kubrick.

Sono passati trentasei anni dal libro, e trenta dal primo adattamento, ma la scritta è ancora sbagliata!

Ma a parte le battute sulla faida tra Kubrick e King, “Pet
Sematary” resta una storia che richiede molto coinvolgimento, chi decide di
raccontarla deve essere così bravo da farti accettare il fatto, che i
protagonisti, pur di tenersi stretti le persone che amano, siano pronti anche a
fare degli errori, qualche volta tragici. Da spettatore, devi comprendere che
una speranza, anche minuscola di poter riabbracciare una persona amata, persa
drammaticamente prima del tempo, per i protagonisti di questa storia vale molto
di più che lasciarsi andare al lutto, arrendendosi al dolore
della perdita.

Dopo tanti adattamenti Kinghiani ormai, riesco a distinguere
bene tra romanzo originale e film che ne è stato tratto, e vi giuro che ho
fatto come Neo in Matrix prima di affrontare la versione di Kevin Kölsch e
Dennis Widmyer, mi sono preparato al salto ripetendomi: «Svuota la mente,
svuota la mente» una cosa che per altro mi riesce facilissima, mi basta mettere
a nanna il mio mono neurone, che ci vuole?

“Quanto è orribile”, “Il cimitero degli animali?”, “No quello che scrive Cassidy”

I cambiamenti che sono stati apportati alla storia non mi
hanno disturbato, anzi considerando che un personaggio in particolare ha un
minutaggio che lo rende poco più di una comparsa, il cambiamento mi è sembrato
molto più sensato, proprio perché dovrebbe aumentare il livello di
coinvolgimento. Ma il problema è davvero tutto qui: puoi cercare di smuovere
gli spettatori con forzati “Salti paura” (meglio noti come “Jump scare”), puoi
avere buonissimi effetti speciali e un attore fenomenale come John Lithgow, puoi
anche fare delle modifiche alla trama del libro nel tentativo di
differenziarti, ma se manca il coinvolgimento, questa storia semplicemente non
funziona. Ci sono tanti libri di King che avresti potuto scegliere, questo è
quello sbagliato se non sai come tirare dentro il pubblico.

Peccato, perché Kevin Kölsch e Dennis Widmyer con “Starry
Eyes” (2014) avevano fatto un film cattivello che faceva ben sperare, invece
qui non ho capito cosa gli è successo, ansia da prestazione? Non ho avuto modo
di leggere la sceneggiatura scritta da Jeff Buhler e David Kajganich (che ha
lavorato al Suspiria di Guadagnino e
alla serie tv The Terror) ma per
quanto ho visto sul grande schermo, la trama segue il romanzo al netto di quel
cambiamento di cui vi parlavo, quindi davvero mi viene da dare la colpa ai due
registi, pesci fuor d’acqua al loro primo film di una certa visibilità. No, l’antologico
“Holidays” (2016) non conta, lo abbiamo visto in pochi.

“No, ma hai visto quanto ci pagano per fare questa roba?”, “Potrò mandare i figli all’università anche se mi sono fatto la vasectomia”

La storia è sempre la stessa, inizia tutto con un trasloco
come da tradizione degli horror, mamma Creed (Amy Seimetz), i due figli il
piccolo Gage ed Ellie un po’ più grandicella (una Jeté Laurence davvero brava) si
trasferiscono nella loro nuova casa di campagna, e per iniziare con il passo
giusto, papà Louis Creed, pensa bene di presentarsi con una maglietta di Cape
cod posto del Maine a breve distanza da Cabot Cove nel Massachusetts. Cioè se il protagonista di
un Horror e vai in giro con una maglietta che ricorda la cittadina di “La
signora in giallo”? Non facevi prima a dipingerti un bersaglio in mezzo alla fronte
caro ragazzo? Vabbè ma di che cosa stia parlando, il personaggio è interpretato
dall’eterno indeciso Jason Clarke, nel senso che non ho capito se ha talento
oppure è un tonno insuperabile, nemmeno uno di quelli che si tagliano con il
grissino.

“Ho sentito un rumore, cosa è successo?”, “Si è rotto il grissino”.

Attorno alla cittadina, ma soprattutto davanti a casa Creed sfrecciano
i camion della “RINCO”, lo so che non è un’informazione così sostanziale il
nome della compagnia, ma mi sembrava giusto sottolinearlo lo stesso visto l’andazzo
del film. Oddio sfrecciano, diciamo che in tre scene distinte e separate
compaiono, la loro pericolosità è nota solo a chi già conosce la storia, perché
il film non fa nulla per sottolineare quanto possano essere pericolosi, anzi
spesso i camion entrano in scena silenti, se questo serve a generare un “Salto paura”.
Può sembrare un’informazione da poco al pari del nome della compagnia (che a
me, fa ancora ridere ve lo dico) però sono tutti indizi del fatto che questo
adattamento di “Pet Sematary” non cammina sulle sue gambe, ma campa parecchio
di reddita sul lavoro fatto da Mary Lambert nel 1989.

“La morte ti ha molto infeltrito Church, l’aldilà deve essere un posto umido”

Mi sono ripromesso di non fare paragoni con il precedente
adattamento del film, quindi giudicando solo su quello che mi sono trovato
davanti, posso dire che spezzettare i flashback della signora Creed, dedicati a
sua sorella Zelda, ammazza molto il coinvolgimento. Tutto il dramma del
personaggio di Amy Seimetz resta quasi sullo sfondo, e se il film ne valesse lo
sforzo, potrei mettermi qui a descrivervi quanto il comportamento del vicino di
casa Jud Crandall, non abbia nessuna logica, nemmeno in una storia dove
personaggi che fanno degli errori dovrebbe essere la normalità.

Preferisco spendere invece parole per chi davvero le merita,
ormai lo sapete che sono vice
presidente del fan club di John Lithgow (anzi ne approfitto per ricordarvi che
il tesseramento è sempre in corso!) ma qui il grande attore è incastrato in un
ruolo ingratissimo, da cui esce a testa alta solo perché è bravissimo, se Jud
non sembra il solito vecchio da film Horror che fa profezie è davvero solo
grazie alla capacità di Lithgow di cavare sangue dalle rape. Era uno dei miei
motivi d’interesse per il film e almeno lui mi ha mandato a casa contento,
anche se lo ammetto, speravo che dai boschi uscisse Harry e che lo portasse via
da questo film.

Iscrivetevi numerosi al fan club, regaliamo una gioia al povero John dopo questo film!

La verità è che dopo 45 minuti, mi sono messo a guardare l’orologio
perché tanto il coinvolgimento era sotto le scarpe, di brividi nemmeno l’ombra
e sullo schermo tutto procedeva senza la minima enfasi. Un andamento piatto che
sarebbe tedioso per una film drammatico, figuriamoci per un horror con gatti
morti e resuscitati e una storia che dovrebbe farti pensare ai tuoi cari, e a
cosa faresti tu nella stessa situazione. Da qui in poi facciamo che se non volete
SPOILER sulla trama, non leggete? Perfetto così nessuno si offende.

“Attraversate la barriera delle anticipazioni a vostri rischio e pericolo. MIAO!”

Il ruolo di Victor, il ragazzo morto con la testa spappolata,
che fa un po’ da “Coro greco” al protagonista, ma risulta più sminuito di quello di Zelda. In compenso nel tentativo di dare una scossa a questo “Cimitero carente” (di
coinvolgimento), la scelta è quella di far morire la piccola Ellie invece che
Cage, peccato che qui Kevin Kölsch e Dennis Widmyer facciano un disastro e gli
unici a morire davvero siamo noi spettatori. Di noia però.

La scena del camion che punta verso il ragazzino, salvo
cambiare direzione all’ultimo e centrare Ellie è davvero da tracciato piatto, la
grafica computerizzata contribuisce a rendere tutto innocuo, ma quello che
dovrebbe essere l’apice del dramma per i protagonisti, manca proprio del senso
di tragedia necessario.
Anche il lutto dei genitori è gestito senza enfasi, quello
che vediamo sono due genitori tristi che si aspettano di sentire i passi della loro bambina che rientra da scuola. Una scena così potrei capirla se la figlia
fosse che so, stata spedita in colonia estiva, ma è morta cazzarola! Vogliamo
metterci un po’ di dramma?

“Ma io sto scavando in modo molto drammatico!”

“Pet Sematary” è tutto così, che Jason Clarke stia disseppellisce
la figlia dalla sua tomba, per poi seppellirla nel cimitero degli animali, oppure
aprendo gli scatoloni del trasloco è tutto uguale, e i momenti di tensione sono
spesso furbetti. Almeno un paio giocano sulle aspettative del pubblico, dai Kevin
Kölsch e Dennis Widmyer non fate gli alternativi con me! Inutile parlare di
nuovo adattamento del libro, se poi fai una scena in cui chiedi a John Lithgow
in ciabatte di avvicinarsi al letto, solo per spostare di pochi secondi in
avanti, il momento in cui il personaggio verrà ferito al piede, allora lo vedete che
siete voi due a mettervi in competizione diretta con Cimitero vivente dai!

Quando poi ai due registi viene chiesto di creare davvero
qualcosa da aggiungere all’iconografia di “Pet Sematary” loro cosa fanno? La
scena di Ellie che bloccata a terra dal padre, agita le braccia muovendosi come
se avesse la super velocità. Ma perché? È morta e tornata in vita, mica
posseduta da qualche demone, perché farlo? L’unica spiegazione che mi sono dato
è che insieme ai vari “Jump scare”, una scena così convenzionale (e fuori luogo) sia il prezzo da pagare per i due registi,
se vogliono, stare nel giro che conta degli horror che escono per la grande
distribuzione, quelli troppo spesso pensati per un pubblico di giovanissimi, che poi sono anche gli unici che al cinema ci vanno davvero e a cadenza regolare. Cinefili esclusi, quelli sono un caso a parte.
Anche il finale poi, per certi versi lo capisco, è un modo
per ribaltare la prospettiva arrivando comunque a portare in scena il desiderio
del signor Creed, quello di mantenere insieme la sua famiglia e le persone che
ama costi quello che costi. Peccato che come detto, il romanzo era il dramma di
un padre, qui sembra più che altro una convenzione da film horror, la storia
deve finire male? Dirigila così che tanto zio Stevie è contento lo
stesso.

Questa è davvero l’unica novità portata dai due registi, e infatti non la utilizzano, bravi!

“Pet Sematary” (libro) è ancora oggi una delle prove del
cristallino talento di zio Stephen King di trovare l’orrore nelle cose comuni,
quello nascosto sotto la facciata della normalità. Cimitero Vivente un film
invecchiato bene che ti prende a schiaffi per farti capire la storia di King e
le motivazioni dei personaggi. Questo nuovo “Pet Sematary”? Esattamente come
la cover fighetta del pezzo originale dei Ramones che si sente sui titoli di
coda, suonata dagli Starcrawler.

I Ramones erano un gruppo di disadattati dall’aspetto
minaccioso, opposti in tutto – specialmente nelle posizioni politiche dei
singoli membri del gruppo – che sono stati insieme per ventidue anni, anzi sono
stati una vera famiglia, non nel senso Disneiano del termine, sono stati i
Ramones, e proprio per questo erano perfetti applicati al film originale e alla sua storia.
Quattro fighetti che cantano le parole di Dee Dee, sorseggiando il loro latte
di soia come se fossero al Karaoke, sono la perfetta metafora di questo film: voi dei Ramones non avete capito niente, proprio come Kevin Kölsch e Dennis
Widmyer non hanno capito niente di Stephen King, ma anche di Mary Lambert, tiè!
0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

L’uomo che non c’era (2001): il principio di indeterminazione dei fratelli Coen

Capelli. Cadono, crescono, vengono tagliati, imbiancano, continuano a crescere anche dopo la morte ed è solo una delle informazioni che ti restano addosso, come i capelli tagliati, quando arrivi ai [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing