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Phantasm IV – Oblivion (1998): l’uomo alto fuggì nel deserto e il gelataio lo seguì

Ottobre prosegue e con lui questo viaggio nella saga di “Phantasm” di Don Coscarelli, oggi tocca ad uno dei capitoli più interessanti, quello che fa da spartiacque tra i curiosi e i “Phan” di questa serie.

L’oblio, fin dal titolo il quarto capitolo sembra rassegnato a ricordarci dove questa saga ha rischiato (e rischia ancora) di restare. Un oblio produttivo apparentemente infinito come gli incubi del Tall Man, i “Phan” della saga si sono abituati ai tempi d’attesa in stile ritorno a casa di Ulisse, a cui Don Coscarelli ci ha abituati, incredibilmente tra il terzo film e quello successivo sono passati solo quattro anni, un contributo fondamentale è arrivato dalla spintarella creativa ricevuta da Roger Avery, come abbiamo visto la scorsa settimana la sua sceneggiatura (mai realizzata) per un “Phantasm 1999 A.D.” è stata un bello stimolo per il “Don Cosca” che inizialmente questo capitolo voleva intitolarlo “Phantasm Phorever” prima di rinsavire, comprendendo da solo che sarebbe risultato ridicolo, sarebbe sembrato il capitolo diretto da Federico Moccia con un titolo del genere.

«Certo che la qualità delle comparse è molto calata ultimamente», «Che pretendi con il budget di questo film?»

Ormai lontano da case di produzione importanti, Coscarelli per il quarto capitolo torna alle origini, mettendo un po’ da parte gli eccessi splatter e comici che avevano caratterizzato il secondo e il terzo titolo. Esattamente come il film del 1979, Coscarelli torna a dirigere un capitolo minuscolo e girato tra amici e parenti, basta dire che “Phantasm IV – Oblivion” è costato 650 mila fogli verdi con sopra facce di ex presidenti spirati ed è stato realizzato in 23 giorni girando tra la Valle della Morte (molto appropriata con il Tall Man in giro) e Lone Pine in California. Basta dire che uno dei nani, quello a cui Reggie spara in faccia con la sua “Quadroppietta” era interpretato dalla piccola Wendy Coscarelli, figlia del regista (storia vera).

Lo zen e l’arte di arrangiarsi, la canzone che si sente sui titoli di coda “Have you seen it?” è cantata e suonata da Reggie B & The Jizz Wailin’ Ya’ Doggies, ovvero il gruppo di Reggie Bannister, anima e cuore di questa saga, ma quando si tratta di fare arte arrangiandosi, Don Coscarelli è un vero maestro.

Per “Phantasm IV – Oblivion” il Don Cosca recupera moltissimo materiale girato e mai utilizzato nel montaggio definitivo del primo capitolo, il modo in cui qui lo utilizza per integrare le nuove riprese è davvero impeccabile, si ha quasi l’impressione che Coscarelli avesse pianificato tutto già nel 1979, quando non è stato affatto così e proprio per questo, il risultato finale è ancora più apprezzabile, perché il trucco c’è, ma non si vede, come dovrebbe essere sempre al cinema.

Una delle tante scene che “Formichina” Coscarelli aveva messo da parte per l’inverno del DTV.

Il film comincia, infatti, con i giovani Mike (Michael Baldwin) e Reggie (il solito Reggie Bannister) come li abbiamo incontrati nel 1979, uno un ragazzino e l’altro pieno di capell… Ehm no, vabbè Reggie è sempre Reggie, una roccia. Anche se il destino e gli eventi del terzo capitolo hanno separato i due amici, Reggie si libera delle Sentinelle del Tall Man che lo avevano appeso alla parete con un quadro di Teomondo Scrofalo, mentre Mike vaga alla guida di un carro funebre, in compagnia della voce del Tall Man nella sua testa. Ve lo dico subito: la continuità interna nei vari capitolo di “Phantasm” è garantita dagli attori, dalla volontà del regista di proseguire, non di certo da una logica cartesiana, se cercate il classico causa/effetto, in nessuno dei film di “Phantasm” lo troverete. Il primo capitolo cavalcava in maniera riuscita le atmosfere oniriche di un incubo, in cui non tutto deve tornare in modo logico per spaventare, gli altri capitoli, invece, spesso hanno optato per non spiegare, a mio avviso, una scelta sensata perché è molto più facile (e anche divertente) lasciarsi coinvolgere da atmosfera e personaggi, piuttosto che capire tutto di questo lungo incubo incastrato dentro un incubo, racchiuso da un altro ancora più grande.

«Lunga questa spiaggia, sono tre ore che cammino ancora non si vede il mare»

Le strade dei due amici in questo quarto capitolo sembrano procedere lungo le due anime di questa saga: Reggie incarna i passaggi più splatter e caciaroni, mentre Mike si muove in atmosfere da incubo a ritroso, nel tempo, nello spazio e nel suo misterioso legame con il Tall Man. Da un certo punto di vista potrebbe quasi sembrare che i due personaggi siano quasi consapevoli di appartenere ormai all’immaginario e facciano quello che il pubblico si aspetta da loro. La saga di “Phantasm” è unica perché si apre a questo tipo di riflessioni, il multiverso creato da Coscarelli non pone davvero limiti alla fantasia, quindi, lo ribadisco ancora una volta, come dovrebbe sempre fare il cinema.

Reggie viene attaccato per strada da una sorta di sbirro zombie che ormai rappresenta l’abitante medio del pianeta Terra da quando il Tall Man ha imposto il suo dominio sul pianeta. La scena è articolata e spassosa, ci sono spari, esplosioni, Reggie che saluta con il dito medio e lo zombie che in tutta risposta gli vomita addosso liquami arancioni, alla faccia del distanziamento sociale e dello starnutire nell’incavo del braccio.

Reggie Lives Matter.

Insomma, Reggie è come sempre impegnato sul fronte più slapstick e verace della saga, infatti non manca nemmeno il solito inseguimento a bordo della ‘Cuda, la Plymouth Barracuda nera del 1971 presente in tutti i capitoli, così come la bella di turno, questa volta si tratta di Jennifer, una bionda con cui Reggie (solito vecchio marpione) cercherà di andare a segno con una sorpresa che non vi rivelo che vi farà ridere nella misura in cui siete ormai invischiati con questa saga e i suoi personaggi. Vi dico, invece, che ad interpretare Jennifer troviamo Heidi Marnhout, la stessa che abbiamo poi ritrovato in un ruolo simile anche in Bubba Ho-Tep, insomma un’altra entrata a far parte della famiglia di attori di Coscarelli che come Coach Pat Riley alla partita porta dodici giocatori, gioca con cinque, ma si fida di tre.

Greg Nicotero con i suoi effetti speciali era in vena di scherzi (per altro, Nicotero ha partecipato al film perché vecchio amico di Coscarelli, in nome dei vecchi tempi. Storia vera)

Sono le porzioni di film dedicate a Mike quelle che oltre a far muovere “Phantasm IV – Oblivion” in territori da incubo simili a quelli del primo capitolo, aggiungono qualcosa all’iconografia di questa saga. Molto bello vedere Michael Baldwin muoversi sullo sfondo degli scenari offerti dalla Valle della Morte, anche se bisogna dire che alcuni passaggi sembrano presenti nel film solo per arrivare al minutaggio minimo garantito di 90 minuti (durata perfetta per un film, lo dico sempre). Bisogna anche dire che Coscarelli ha così tanto occhio che davvero gli bastano un attore, la Valle della Morte e la fotografia Chris Chomyn per dare lustro anche ad un film uscito dritto per il mercato dell’Home Video degli Stati Uniti e in uno strambo Paese a forma di scarpa… Nisba, nada, zip, zero. Almeno fino all’uscita del cofanetto della Midnight factory con tutti e cinque i film. Giuro che non mi pagano per fare pubblicità, se volessero farlo non mi dispiacerebbe, ma lo dico solo per informare chi di voi volesse affrontare tutti e cinque i capitoli della saga.

La Bara Volante con i suoi comodi interni, è un posto ideale per gli amanti della lettura.

Mike nel suo viaggio cerca prima invano di uccidersi («La morte non è una vita di fuga da me» gli tuona il solito spettrale Angus Scrimm nei panni del Tall Man), ma poi trova il modo di viaggiare tra i mondi come un personaggio uscito dalla saga della Torre Nera di Stephen King, arrivando a scoprire qualcosa delle origini del sinistro becchino che lo perseguita dall’infanzia. In una scena ambientata durante la guerra civile americana (dove tra i soldati, compare anche Roger Avary in costume, il numero uno dei “Phans”. Storia vera), qui facciamo la conoscenza del dottor Jebediah Morningside, sempre interpretato dal solito Angus Scrimm, ma questa volta con modi molto più gentili e bonari. Anche se, bisogna dirlo, dopo quattro film ogni apparizione di Scrimm, anche se sempre più antico (perché ormai siamo l’oltre essere semplicemente anziani) è ancora capace di far saltare lo spettatore sulla poltrona, anche quando sta seduto sul portico di casa, illuminato dal sole e in compagnia della madre, una sorta di sosia della Sora Lella che fa il suo esordio proprio in questo capitolo. Chissà se Don Coscarelli conosceva la Sora Lella? Vabbè, sono ben altri i quesiti sollevati da questa saga!

«Senti st’olive, sò greche» (Cit.)

Jebediah Morningside è un dottore che con i suoi esperimenti ha scoperto un passaggio verso altri mondi, i famigerati portali che hanno fatto spesso capolino nel corso della saga. Coscarelli non spiega molto, ma ci lascia intendere che nei suoi viaggi Morningside potrebbe aver liberato qualcosa, oppure peggio, essere diventato prima il corpo ospite e poi le sembianze umane (da cambiare come i completi neri da becchino) con cui il Tall Man è arrivato nel nostro mondo. Tutto questo ci viene giusto suggerito, perché risposte precise la saga di “Phantasm” non le fornisce, se volete salire a bordo di questo lungo incubo, preparatevi a sacrificare il modo di pensare canonico in favore di un giro in giostra capace di strappare brividi.

«Vieni con me se vuoi vivere», «No grazie, credo che aspetterò un T-800»

“Phantasm IV – Oblivion”, come dicevo, separa i curiosi dai veri “Phans”, ma è anche un film che funziona come una cartina al tornasole per chi ha una certa predisposizione naturale a trovare l’arte (e perché no, anche un tocco di poesia) anche in un DTV costato 650 mila fogli verdi. Le scene mai utilizzate per il primo film sono montate ad arte qui per sottolineare come “Phantasm” sia sempre stata anche una storia di amicizia, Reggie dopo il suo scapestrato viaggio trova il modo di tornare proprio quando Mike ha più bisogno di lui, lo fa indossando il completo bianco e il gilet nero da gelataio con cui lo abbiamo conosciuto, in quella che è a tutti gli effetti la vestizione dell’eroe. Se vedrete l’antieroe fare questo, oppure se vi si smuoverà qualcosa nelle budella quando Mike dirà all’amico «Grazie per essere al mio fianco Reggie» ho una notizia per voi: siete dei Phans. Questo non mi porterà fama e rispetto, ma di sicuro vi ha permesso di perfezionarvi nell’arte della pazienza, fondamentale per affrontare le lunghe attese tra un capitolo e l’altro.

Come avrete intuito, a questo punto, “Phantasm” chiede al pubblico pazienza, ma tratta gli spettatori con rispetto, bisogna essere pronti a cogliere al volo quello che Don Coscarelli getta nel mucchio e se nei primi film il sospetto che tutto fosse un sogno (o un incubo?) di Mike, qui il Tall Man utilizza una frase poco rispettosa, ma importante nei confronti di Reggie, l’umano che lo sfida con coraggio (e “Quadroppietta”): «Uomo dei gelati è tutto nella tua testa». Quasi un passaggio di testimone, oppure un’investitura sul campo di quello che potrebbe essere il vero protagonista della saga di “Phantasm”. Ma di questo parleremo in maniera approfondita la settimana prossima, quando sarà il momento di affrontare l’ultimo capitolo, non mancate tra sette giorni, anzi tra VII giorni, così giusto per restare in tema con i numeri romani che tanto piacciono a Coscarelli.

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