La scorsa settimana abbiamo festeggiamo l’illustre compleanno del più famoso film di Dario Argento, oggi invece ci occuperemo dell’altro grande compleanno argentiamo dell’anno, il titolo che per stessa ammissione del suo regista è il suo preferito, e per quello che vale, anche il mio.
Non è difficile intuire come mai Argento abbia identificato proprio in “Phenomena” il preferito tra i suoi lavori, per quanto il successivo “Opera” avesse il suo fascino e Due occhi diabolici fosse un bel omaggio a Poe fatto tra amici. “Phenomena” è stato il primo film scritto, diretto e prodotto dallo stesso Argento, una specie di grande canto del cigno (o della mosca, anche se le mosche ronzano, non cantano) per tutto il nostro cinema di genere. Oltre al trucco di Stivaletti e le musiche dei Goblin, in questo film era ancora normale avere Michele Soavi come aiuto regista e in un piccolo ruolo, insomma il massimo possibile, il meglio di quel modo di fare cinema ormai naufragato per sempre, a tutto questo, devo aggiungere una nota di (dis)gusto personale che comunque influisce sul mio giudizio.
Se mi chiedete, pistola alla testa, di scegliere tra i Gialli di Argento o i suoi Horror, non ho un dubbi, l’arma da fuoco non è necessaria, per me la parte migliore della sua produzione restano i titoli della seconda categoria. Bellissima la sua trilogia animale, ma fa a cazzotti con l’Argento sceneggiatore, che per me vale meno dell’Argento regista, che fino al suo decadimento (e a quello di tutta la nostra produzione di genere uccisa dal Berlusconesimo che a ridotto tutto al piccolo schermo nel senso peggiore del termine), aveva davvero qualcosa di brillante nel creare l’orrore, nell’imprimere le atmosfere di male puro, non di certo nello scrivere trame cartesiane, questo proprio no.
Non è un caso che i miei film di Argento preferiti siano quelli che vivono più sulle atmosfere, sulla messa in scena e le morti emblematiche, di tutte le fiabe nere dirette da Argento, “Phenomena” resta la più favola di tutte, perché ha il passo di un sogno, anzi di un incubo, anzi ha proprio il passo della notte travagliata passata a sognare mosche, scimmie, vermi, vasche piene di cadaveri e omicidi surreali, tipici della cena post peperonata. Per tutti questi motivi (e Jennifer Connelly) non ho nessuno dubbio… Classido!
A differenza di Suspiria, per “Phenomena” Dario Argento ha potuto davvero avere attrici molto giovani senza doversi inventare una scenografia con maniglie delle porte più alte, tra le attrici, la prima morte, quella del prologo sempre così importante negli horror, è quella di sua figlia Fiore Argento, fatta fuori con un gran uso del montaggio in una sequenza che serve a far entrare in scena l’entomologo scozzese John McGregor, impersonato da un grande nome del cinema horror come Donald Pleasence, ma soprattutto la vera protagonista del film, la SIMMIA Inga, che assisteva i disabili al cinema prima che il compare di Argento arrivasse alla stessa soluzione nel 1988, per tacere del fatto che “Phenomena” potrebbe essere visto tutto dal punto di vista di Inga, risultando drammaticissimo, o per lo meno, per uno scimmiologo D.O.C. come me.
Ma resta innegabile che l’inizio ufficiale di “Phenomena” coincida con l’arrivo in scena di uno dei miglior esempi viventi di evoluzione dalle scimmie, mi riferisco a Jennifer Connelly nella sua digi-trasformazione dalla bimba che faceva innamorare Noodles e Sara persa nel labirinto, che faceva innamorare beh, tutti. Qui JCon interpreta Jennifer Corvino, la ragazza amata anche dagli insetti, che altro non è che un misto tra l’arrivo in Germania della protagonista di Suspiria mescolata alle teorie sulla telepatia degli insetti snocciolata in Profondo Rosso, ma a ben guardarla JCon (qui JCor) rappresenta anche molto altro, tra cui un elemento che beh, robetta, mi ha sempre fatto amare il cinema Horror.
La nostra Jennifer è talmente sola che l’unico legame che ha, lo ha con gli insetti, figlia di un padre idolatrato ma assente, di cui lei ha giusto i poster. Tanto che la spassosa compagna di camera Sophie (Federica Mastroianni) dopo essersi fatta una gaffe su papà Paul, finisce per beccarsi l’unica storia famigliare di Jennifer, il tipo di pettegolezzo che non finisce sui rotocalchi.
Spogliato di tutto “Phenomena” è la storia di una ragazzina che cerca inutilmente di parlare con suo padre, il massimo che ottiene e nessun aiuto dall’inutile Morris, assistente del padre. Apparentemente dovrebbe essere la signorina più felice del mondo, di fatto è un po’ come tutti quanti noi appassionati veri di Horror, disadattati, considerati strambi da tutti gli altri e proprio per questo capaci di trovare la poesia in questa crudele favola nera. Non che Argento sia mai stato tenero con i suoi protagonisti, qui per ogni omicidio anche doloroso (quello dello sciame di insetti è un martirio), abbiamo almeno un punto di vista quasi amorevole per Jennifer, che per Argento vuol dire renderla sonnambula, farla rotolare nella tana del bianconiglio seguendo il filo del telefono e a seguire, un bel bagnetto tra teschi e vermi, ottimo per la pelle.
“Phenomena” è un film pieno di fantastici disadattati, qualcuno buono anche nella sua stranezza, altri orribili e malvagi fino al midollo, non è un caso che l’unico normale (l’investigatore) sia quasi un personaggio di contorno meno interessante, quando sarebbe quello che porta avanti il caso. Dario Argento dirige un’oscura favola su una ragazzina dolorosamente sola, ascoltata solo dagli insetti, che, sonnambula, cade nel reame del sogno che più che altro è il reame dell’incubo, per altro un incubo che come tutti i brutti sogni, risulta non cartesiano e composto da scene una più spaventosa dell’altra, legate insieme quasi in modo casuale ma sicuramente angosciante.
Ci sono momenti giustificabili solo come una favola nera, come ad esempio la caccia al (non proprio) tesoro usando una mosca sarcofaga come bussola, lungo il percorso poi, Argento fa tante piccole deviazioni che contribuiscono a caratterizzare il mondo in cui è ambientata la storia come grondante di puro male, un tipo di malvagità a cui si oppongono i protagonisti, tutti a loro modo spezzati ma speciali («A me quell’auto ha tolto qualcosa, a te è stato dato»), uno scontro spesso frontale che Argento sceglie di raccontare in un modo chiaro: alzando il volume. Nel prossimo paragrafo spiego come e cosa.
Ci sono almeno un paio di scene tutto sommato molto statiche (Jennifer che deve uscire da una stanza chiusa ad esempio) che lascuano campo libero alla notevole colonna sonora dei Goblin, oppure a pezzi Metal di livello, con tutto il rispetto per Locomotive dei Motörhead, per quanto mi riguarda non riesco più ad ascoltare “Flash of the blade” degli Iron Maiden senza pensare a ragazzine in fuga da assassini nei boschi (storia vera). Provate a riguardarvi la scena, prima senza audio e poi con i Maiden a palla, capirete cosa intendo per alzare il volume sulle scene, anche le più statiche.
L’altro modo in cui Dario Argento alza il volume è nel finale, “Phenomena” ha questa impronta da favola nera, con un orfana protagonista, mostri orribili e personaggi che rappresentano l’autorità che sono adulti minacciosi, come nelle favole, dalla direttrice Dalila Di Lazzaro fino ad arrivare al personaggio per cui è impossibile non pensare a Mel Brooks, tranne per il fatto che mette così tanta strizza da ricacciare la risata in gola, mi riferisco a Frau Brückner impersonata spaventosamente (nel senso migliore del termine) da Daria Nicolodi, tanto amorevole nel 1975, quando uscita dritta da un favola (dei Grimm) qui, un’ideale matrigna che per prendersi cura di te, ti avvelena.
Ma dove “Phenomena” mena il suo colpo più duro è nel finale, se con il sonnambulismo della protagonista Argento ci porta nel reame del sogno, con gli ultimi quindici minuti, con quel telefono che rotola nella buca nel terreno, il film diventa “Jennifer nel Paese non per forza delle meraviglie” e Darione nazionale ci mostra quando può essere profonda la tana del bianconiglio, che nel suo caso però è psicopatico. Ho perso la testa per questo film fin dalla prima volta in cui lo vidi da ragazzino, quei quindici minuti finali sono il DELIRIO vero, un tipo di follia che fa leva su ogni genere di paura atavica, quel tipo di fobie che ti fa svegliare di colpo per le tue stesse urla nel cuore della notte.
La prima istintiva, lo schifo, la pozza piena di teschi e vermi seguita dalle dita spezzate dalle manette, si passa poi all’essere inseguiti in corridoi infiniti che sembrano tutti uguali, anche da una creatura che è il secondo più grosso spavento della storia del cinema, ottenuto con un bambino di spalle. Basta? Tutto finito? Col cavolo!
In un crescendo di orrore senza fine, abbiamo anche l’attacco dello sciame (paura egli insetti), le fiamme (paura del fuoco), la nuotata con la creatura che ti afferra (la paura dell’acqua e quella di affogare) per poi finire con quel colpo di scena lì, quell’ultimo omicidio talmente assurdo, talmente folle e grottesco che potrebbe funzionare e risultare efficace e ad effetto solo in due condizioni: in un incubo oppure guardando un film di Dario Argento al suo meglio.
Quei quindici minuti sono il grandioso finale di un film che ha il passo di un incubo, che vive di singole scene grandiose, ognuna in grado di tirarti giù dal tuo letto, facendoti svegliare urlando, con la differenza che qui, non sono frutto del tuo inconscio ma di un regista (per la prima volta anche produttore delle sue storie) al suo meglio, prima che IL NULLA si portasse via il nostro cinema di genere, questa si che fa paura, anche più di “Phenomena”.
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing