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Piramide di paura (1985): una casa con le finestre a sud

Inutile girarci attorno care Bariste e Baristi, tra i tanti compleanni che festeggeremo nel corso del 2025, questo è speciale perché è un pezzettino di cuore per tutti quelli della mia leva, “Piramide di paura” spegne le sue prime quaranta candeline e per molti è stato un rito di passaggio.

Per me di sicuro, che ho avuto la gran fortuna di essere nato in una famiglia di lettori, mi sono appassionato presto a quegli oggetti rettangolari con le pagine piene di parole, quelle che sapeva mettere in fila Sir Arthur Conan Doyle, che ad esempio sono sempre stati tra i miei preferiti, ho passato una bella fetta della mia infanzia leggendo le indagini del suo personaggio più famoso, il detective Sherlock Holmes se a questo poi aggiungiamo il dettaglio, del tutto non secondario, di un mio amore per il macabro galoppante (su gli occhi al nome del sito per conferma) e l’essere cresciuto nell’unica città di uno strambo Paese a forma di scarpa, veramente legata agli antichi Egizi causa museo, potete immaginare facilmente che “Piramide di paura” fosse uno dei miei prediletti, anche grazie ai nomi coinvolti, a ben guardare, i responsabili dell’infanzia di molti di noi.

Il film inizia così, poi spiegalo ad una generazione di bambini di mangiare tutto e non giocare con il cibo.

Basterebbero i nomi dei produttori a spiegare tutto, il trio delle meraviglie Frank Marshall, Kathleen Kennedy e Steven Spielberg, a finanziare un copione scritto con parti uguali di cuore e cervello da Chris Columbus, che arrivava da cosine leggermente formative per quelli della mia leva (e non solo) come Goonies e il coevo Gremlins, non proprio la pizza con i fichi.

Alla regia il mai abbastanza citato Barry Levinson, uno capace di snocciolare classici e piccoli (o grandi) film di culto con cadenza abbastanza puntuale, tutti disseminati come tracce da seguire lungo la sua filmografia, “Young Sherlock Holmes” è sicuramente uno di questi, un film che gioca a carte scoperte, onestissimo nei confronti del pubblico perché Columbus, quando lo ha scritto, temeva di trovarsi sotto casa i fanatici di Sir Arthur Conan Doyle con torce e forconi pronto a fargli la pelle (storia vera), e nel 1985 non esisteva ancora Infernet caro Chris!

1985, era importante fare queste distinzioni. 2025, tanto si lamentano su “Infernet” comunque.

Una bella scritta iniziale mette in chiaro l’omaggio, “Piramide di paura” è un’opera di fantasia (non lo sono tutti i film? Vallo a spiegare ai fanboy pronti a mettere mano ai forconi) liberamente ispirata alle opere dello scrittore, quindi fuori canone, che sposta il primo incontro tra Holmes e il sodale Watson indietro nel tempo, a quando erano entrambi ragazzini. Il Brompton College di Londra diventa una sorta di Hogwarts ante litteram e non credo sia un caso se Columbus si sia trovato sempre nella zona delle operazioni, sia qui che per i primi due film del maghetto occhialuto, diciamo che non serve essere Holmes per trovare il colpevole in questo caso.

Voi Hogwarts, io la London’s Brompton Academy.

Bariste e Bariste più addentri di me all’iconografia del maghetto, potrebbe ritrovare nel rivale scolastico di Holmes, quello che lo sfida alla caccia al tesoro in trenta minuti, i segni dei Draco Malfoy che verranno, ma questo gioco lo lascio a voi, io preferisco concentrarmi sul fatto che a quarant’anni esatti dalla sua uscita, “Piramide di paura” sia ancora fresco come una birra appena tirata fuori dal frigo in pieno agosto, grazie anche ad un ottima scelta di casting, Nicholas Rowe e Alan Cox sono due perfetti Holmes e Watson giovani, in una scuola tutta al maschile, l’unico elemento femminile è la bella Elizabeth Hardy (Sophie Ward), figlia del più eccentrico dei professori, quello che con la sua strampalata macchina volante, ispirata ai disegni di Leonardo, porta in scena nel primo atto il più classico degli elementi anticipatori, o pistola di Čechov se preferite, quello che finirà per forza per sparare (o in questo caso volare) nell’ultimo atto.

«Siamo già al terzo atto, il post è appena iniziato!», «Su questa Bara vola tutto, il tempo e anche noi»

Ma la bontà del lavoro fatto da Chris Columbus e Barry Levinson è sparsa lungo tutta la trama, basta il primo incontro tra Holmes e Watson a delineare i tratti distintivi dei due personaggi, il primo suona (male) il violino, il secondo è appena sbarcato nella grande città e ho sempre adorato il modo in cui, solo osservandolo (panna sul bavero del cappotto compresa), Columbus abbia trovato il modo di dirci tutto del passato di Watson, ma anche del talento di Holmes di comprendere tutto in maniera analitica, solo sulla base dell’osservazione.

La tradizione imposta da Arthur Conan Doyle richiede che sia sempre Watson la voce narrante, e a proposito di quelle pistole di Čechov disseminate lungo il primo atto del film, il suo «Ho visto Holmes piangere solo due volte, questa era la prima», non solo serve a rendere alla perfezione il percorso che porterà questo ragazzo con il volto di Nicholas Rowe a diventare il detective apparentemente gelido e perennemente distaccato da tutto e tutti che per anni abbiamo letto nei romanzi, il lavoro di scrittura fatto da Columbus è tanto valido, che quando poi quella seconda volta arriva, non ha nemmeno bisogno di ribadirla o peggio, far pronunciare una versione riveduta e corretta alla voce narrante di Watson, quarant’anni fa anche i film per ragazzi erano meno didascalici o per lo meno, questo non lo è mai stato, persino nel suo modo di dare un origine a tutti i simboli tipici del personaggio, il cappotto, il celebre berretto e anche la pipa, parte della vestizione dell’eroe.

Ragazzini che fumano, nel 1985 nessuno che strepita e si lamenta.

Che poi voglio dire, “Piramide di paura” ha il primato di essere figlio del suo anno di nascita, rispetto ad opere più contemporanee che hanno tentato di aggiornare e portare al pubblico più giovane il mito di Sherlock Holmes fallendo miseramente (COFF! Coff! Enola Holmes! Coff! CoFF!) “Young Sherlock Holmes” mangia ancora gli spaghetti in testa a chiunque e il suo titolo italiano, per una volta non è solo una nostrana invenzione.

Per alcuni mercati anglofoni il film è anche noto nome “Young Sherlock Holmes and the Pyramid of Fear”, da noi quindi semplificato, forse per farlo passare per troppo culturale o forse, per andare dritto alla giugulare del film: il prologo di “Piramide di paura” inizia con un omicidio moooolto lisergico, un uomo in preda alle visioni fugge dal ristorante e viene “ucciso” dall’appendiabiti di casa trasformato in un mostro tentacolare, ma fosse solo questo! Le visioni indotte a colpi di cerbottana vedono lotte contro piccoli Gargoyle animati a passo uno, ma se il titolo del film ha dato rilevanza a questa cazzarola di piramide, ci sarà un motivo no?

Il modo migliore per convincersi ad iniziare la dieta.

Un mio amico di cui non farò il nome, con cui guardavamo insieme il film da bambini, era talmente spaventato dalla scena della mummificazione, da far preoccupare anche me, tanto che nel rivedermi il film con gran gusto qualche giorno fa, mi ricordavo ancora la sua fifa e devo dire, no, rivisto oggi non ha fatto lo stesso effetto, è chiaro che sia una scena debitrice dei cuori asportati a mani nude de Il tempio maledetto, leggermente meno spaventosa anche se il punto di osservazione sopraelevato dei protagonisti è lo stesso di Indy e compagni, anche se va detto, la musica selezionata per la scena è perfetta, la rende inquietante il giusto, anche se in generale va detto che tutta la colonna sonora composta da Bruce Broughton non sbaglia un colpo.

Il vostro normale film per ragazzi degli anni ’80.

“Piramide di paura” tratta il suo pubblico in modo intelligente e non ha paura di spaventarlo un po’, se la scena della (doppia) mummificazione è la più intensa, nemmeno le visioni lisergiche nel cimitero scherzano, anche se stemperate dallo scontro tra Watson e i dolcetti animati che sembrano la versione dessert dei vecchi Food Fighters, anche se una delle apparizioni più memorabili di tutto il film resta uno dei primi casi di animazione in CGI, mi riferisco al fighissimo cavaliere in armatura che salta letteralmente fuori dalla vetrata della chiesa, che porta la firma solo lui a differenza del resto, della IL&M della “Pixar Computer Animation Group a Division of Lucasfilm Ltd.”, in cui la parola chiave è ovviamente Pixar, visto che tra gli animatori della scena, nei titoli di coda si legge il nome di John Lasseter, dimostrazione che questo film sapeva guardare al futuro, anche per un altro dettaglio non da poco.

Un giorno, avrai un amico in me, per ora, lame sporche di sangue.

Dopo quasi vent’anni di MCU, ci sono ancora spettatori in sala che si alzano e se ne vanno appena partono i titoli di coda, altri invece restano lì anche se è chiaro che non ci sarà MAI una scena dopo i titoli di coda, nel 1985 si saranno alzati tutti, io stesso per vedere quella di “Piramide di paura”, che fa quadrare il cerchio sul nome del cattivo in un amorevole omaggio, ho dovuto attendere formati migliori, perché quando lo guardavo su Italia 1 durante la mia infanzia, veniva puntualmente tagliata per dar spazio alla pubblicità (storia vera), per darvi un metro di paragone, per vedere un’altra scena dopo i titoli di coda in un film di punta, abbiamo dovuto attendere un altro eroe delle nostre infanzie come Richard Donner e il suo Arma Letale 2.

«MCU? Tzè… Dilettanti!»

“Piramide di paura” è un gioiellino invecchiato piuttosto bene, che sapeva parlare ai ragazzi con grande intelligenza e non è un caso se oggi sia ancora amatissimo, tanto che in un riuscitissimo gioco di specchi con Ian McKellen, in qualche modo Nicholas Rowe è tornato a vestire i panni del personaggio nel film “Mr. Holmes – Il mistero del caso irrisolto” (2015).

Sono convinto che questo film per molti sia stato il primo incontro con l’investigatore più famoso della storia, per me da sempre impallinato con il personaggio, uno dei titoli più amati della mia infanzia, anche per questo ci tenevo molto a festeggiare i suoi primi quarant’anni ed ora ricordate, una casa ha tutte le finestre che danno a sud, un orso passa davanti a una finestra. Di che colore è l’orso?

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