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Pollice da scasso (1978): l’uomo che sussurrava alle casseforti

Spero abbiate portato l’attrezzatura perché abbiamo una
cassaforte piuttosto resistente da scassinare, benvenuti al nuovo capitolo
della rubrica… Hurricane Billy!

Di ritorno dalla sua gitarella in Ecuador, quando i primi risultati al botteghino di uno dei suoi
migliori film erano tutto tranne che incoraggianti, William Friedkin cominciò a
soffrire di continui mal di testa e febbri ignote, il nostro Billy aveva fatto
tutte le vaccinazioni del caso per andare a girare Il salario della paura, ma gli insetti che lo hanno punto non lo
sapevano e il regista di Chicago si beccò la malaria lo stesso (storia
vera), tra la salute ballerina e il botteghino che remava contro di lui, il
nostro ha deciso di prendersi un periodo di pausa da Hollywood trasferendosi a
Parigi per la convalescenza.

Fu proprio in quel periodo che uno degli attori più roventi
di Hollywood manifestò il suo interesse di lavorare proprio con Friedkin, anche
perché, parliamoci chiaro, se verso la fine degli anni ’70 Al Pacino voleva fare
un film con te, qualsiasi casa di produzione era disposta a sganciare soldoni
per produrre qualunque cosa, anche un film sui reduci del Vietnam, come quella
di Ron Kovic, il protagonista del romanzo “Nato il quattro luglio”, adattato in
un sceneggiatura da un ragazzone che nel ‘Nam a combattere ci era stato e
laggiù si era guadagnato una ferita, due medaglie (una Bronze Star e un Purple
Heart), ma anche parecchio materiale da romanzo, come avrebbe detto monsieur
Honoré de Balzac, avrete capito che sto parlando di Oliver Stone.

Oggi la rubrica su Billy Friedkin si gioca un ospite di tutto rispetto.

Friedkin incontrò Stone presso l’elegante Plaza Athénée, la
base preferita dei registi americani a Parigi. Nella sua bellissima
autobiografia (“Cercando la luce” del 2020 edita da la nave di Teseo) Stone
descrive il nostro Billy come uno dall’aspetto di un giocatore adolescente di
basket, molto americano con il suo accento di Chicago, determinato e
concentrato, quella stessa concentrazione che Stone riconosceva nei suoi film e
che gli è valsa il soprannome di Hurricane Billy. Il libro di Kovic era pieno
di salti temporali, ma confermando la sua reputazione di fine analista,
Friedkin colse il nocciolo drammatico della storia.

«Oliver, lascia perdere tutti questi andirivieni temporali.
Racconta la storia in ordine cronologico. Fanne un buon film americano senza
tanti fronzoli.», questo il contributo del nostro Billy alla causa, perché
mentre il produttore di Stone cercava i finanziamenti e Al Pacino si preparava
per calarsi nei panni del reduce Ron Kovic, Friedkin ricevette la classica
offerta che non si può rifiutare, ovviamente da parte di un italiano: Dino De
Laurentiis.

Il regista e il protagonista di “Nato il 4 luglio” in un universo parallelo.

Il Dinone nazionale aveva messo le mani sui diritti di un
libro intitolato “Big stick-up at Brink’s” (la grande rapina alla Brink’s), la
storia vera di una rapina avvenuta a Boston nel 1950 ai danni di una celebre
compagnia portavalori. Il film che inizialmente avrebbe dovuto essere diretto
da uno degli eroi di Friedkin ovvero John Frankenheimer (eterni corsi e ricorsi storici tra questi due
Maestri) era rimasto senza regista, ma a differenza di “Nato il quattro
luglio”, De Laurentiis era pronto a partire subito, quindi il nostro Billy
accettò poco prima di venire chiamato da Marty Bregman, il produttore che aveva
messo insieme i soldi per il film scritto da Oliver Stone, che fare?

Friedkin lasciò la regia del film di guerra a Daniel Petrie
e si dedicò alla rapina in banca, ottenne da De Laurentiis che la debole
sceneggiatura potesse essere riscritta da Walon Green e il suo progetto ottenne
il semaforo verde molto presto, a differenza di “Nato il quattro luglio” che
terminò i fondi dopo una settimana e una sola scena girata con Al Pacino che
si sfilò agilmente dal pantano. Solo dopo l’enorme successo di “Platoon” nel
1986 Oliver Stone completò il film, dirigendolo di suo pugno, ma questa, oltre
ad essere un’altra storia è anche il lieto fine, perché come ammette Friedkin
nella sua autobiografia (“Il buio e la luce”) Stone realizzò il film meglio di
quanto avrebbe mai potuto fare lui.

Billy, invece, ha preferito di dedicarsi a furti e rapine (al cinema)

Con la nuova sceneggiatura e il titolo semplificato in “The
Brink’s Job” (da noi “Pollice da scasso” fino a qualche tempo fa lo replicavano
ancora abbastanza spesso in televisione), il film procedeva spedito con un cast
di tutto rispetto, problema: ancora una volta questo non era il film che il
pubblico si aspettava da Friedkin, proprio come per Il salario della paura anche se la domanda è lecita, cosa voleva
esattamente il pubblico dal nostro Billy? Forse dieci seguiti di L’esorcista, chi lo sa.

“Pollice da scasso” può contare su tante belle (brutte)
facce, come quella del tenente Colombo, Peter Falk nei panni dello scapestrato
protagonista Tony Pino, l’uomo che sussurra alle casseforti sempre alle prese
con rapine di poco conto, ma nel cast compare anche nei panni della signora
Mary Pani la bravissima Gena Rowlands, oppure l’esperto di riciclaggio Joe
McGinnis che ha il faccione e il corpaccione di Peter Boyle. Ad aumentare la quota “Italo-americana” dei
protagonisti ci pensa il Jazz Maffie interpretato da Paul Sorvino anche se il
mio preferito resta quella faccia da schiaffi di Warren Oates, alle prese con un reduce del genio militare, un
Irlandese mezzo matto (insomma, come tutti gli Irlandesi) che non è chiaro se
sia un brillante esperto di esplosivi, oppure un “cuntabale” megalomane in
fissa con l’uso smodato del tritolo.

“Quel sorriso, quel maledetto sorriso” (cit.)

Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Sono
quelli che ne determinano tutto l’andamento, infatti “Pollice da scasso”
comincia con una tesissima rapina per i nostri ladri di polli, che termina in
un macello, ma nel vero senso della parola perché vediamo Tony Pino e la sua
banda forzare serratura per poi finire in un mattatoio, scivolando tra la carne
tritata e le piume di pennuti spiumati, in un attimo Billy Friedkin passa dall’heist movie alla commedia che, poi, è il
vero registro di questo film.

Ellisse narrativo e arriviamo al 1944, Tony Pino euforico
canta della sua libertà ritrovata con la voce di Ferruccio Amendola (se
guardare il film doppiato, altrimenti con quella originale di Peter Falk),
mentre il suo compare gli porta i fumetti arretrati di Capitan Meraviglia
(perché allora non si chiamava ancora Shazam) regalandoci una frase valida
ancora oggi per molti appassionati di fumetti della domenica: «Il problema è
che tu i fumetti non li leggi, guardi solo le figure.»

“Ah, dimenticavo… un’ultima cosa…” (questa è per pochi)

William Friedkin ci porta nella vita di questi
Italo-americani di Boston, questi soliti ignori (citazione non casuale) ai quali
alla fine ci si affeziona presto perché da abitanti di uno strambo Paese a
forma di scarpa, questo film possiamo capirlo molto più di quanto non potevano
fare gli Americani nel 1978 (o oggi). Basta guardare le dissolvenze che
Hurricane Billy utilizza per passare da una scena all’altra, sono quelle
tipiche delle commedie, non certo di un serissimo e compassato film di rapina,
anche se l’irruzione con maschere sul volto quello si è un piccolo manuale
degli Heist movie, ennesima conferma
che se esiste un genere che a Friedkin viene meglio degli altri, tra tutti
quelli che ha esplorato, di sicuro è quello poliziesco, di furti, rapine e
soprattutto inseguimenti.

L’eroe del giorno, il mitico Peter Falk.

Eppure, “Pollice da scasso” resta più che altro una commedia,
anzi proprio una commedia all’italiana, lassù ho citato il titolo di un
capolavoro di Mario Monicelli proprio perché è tra i film di riferimenti a cui
Hurricane Billy si è ispirato, quella “furberia” tutta italiana, lo zen e
l’arte di arrangiarsi tipica della filosofia di vita, una mano lava l’altra e
tutte e due fregano l’asciugamano la ritroverete nei protagonisti di “The
Brink’s Job”, evidentemente crescendo lungo le strade di Chicago, Friedkin di
Italo-americani deve averne conosciuti parecchi e qui la sua esperienza torna
utile.

“Pollice da scasso” è un film dal ritmo impeccabile, non ha
mai degli acuti, nella sua autobiografia Friedkin lo descrive come un film che
non grida e non canta: bisbligia e a fatica. Di sicuro questo i critici
cinematografici lo notarono alla sua uscita, ma credo che sia proprio il
registro giusto per una storia così grottesca, perché è uno di quei film che
inizia a guardare, magari distrattamente in televisione, senza riuscire a
togliere gli occhi dallo schermo, anche solo per capire dove andrà a parare
questa folle storia.

Friedkin per le maschere della rapina, si è ispirato alle maschere dei dipinti di James Ensor (storia vera)

Già, perché questa commedia dell’assurdo prevede una banda di
rapinatori pasticcioni, impegnati a studiare colpi difficilissimi per potersi
sistemare, che fruttano loro la bellezza di 18 dollari nascosti in cassaforte,
infatti una delle mie scene preferite è quando dopo l’ennesimo colpo “a burro e
alici” finito a zampe all’aria, il compare di Tony scappando dalla polizia gli
urla: «A burro e alici eh?».

Sull’altro piatto della bilancia, in questa storia dove la
credibilità e il nome che ti fai per le strade contano, metteteci la Brink’s
Company, prestigiosissima società portavalori talmente grande da non poter
fallire… Chi è il pazzo che tenterebbe un colpo in un posto che si sa essere
super protetto? Ci vorrebbe qualcuno di disperato, un vero morto di fame come
il nostro Tony Pino che, infatti, prepara il colpo della vita, solo per scoprire
che alla Brink’s, non esiste neppure il minimo sistema di sicurezza, ma neanche
quello più elementare, questa roccaforte basa tutta la sua impenetrabilità
sulla fama costruita negli anni, infatti Tony e la sua banda finirà per fare il
colpo della vita, una rapina per milioni di dollari che lo storico capo
dell’FBI J. Edgar Hoover in persona, arriverà a definire la rapina del secolo,
alla faccia di John Dillinger.

“Ma secondo te quel tizio in maschera lassù è Cassidy?”

Il set è stato un posticino piuttosto tranquillo per William
Friedkin, a distanza di vent’otto anni dagli eventi, tutti i protagonisti e le
persone coinvolte erano più pronte a scherzare e a offrire la loro
collaborazione perché questa storia americana, diventata mitica, fosse
raccontata al meglio, infatti Billy potè girare parecchie scene negli uffici
della Brink’s Company e colto da realismo estremo, decise di avvalersi delle
consulenze di tale “Spanish Eddie”, un ragazzo che lo aveva aiutato in passato
a far sparire alcune pellicole pirata del film L’esorcista che venivano proiettate in alcuni cinema di Chicago,
non era tanto il guadagno mancato a disturbare Billy, il suo film stava andando
benone, era più che altro l’idea che il pubblico guardasse il suo film nel modo
“sbagliato”, un problema risolto da Eddie bussando con la sua faccia brutta
alle porte del cinema incriminato (storia vera). Ve lo avevo detto che crescere
lungo le strade di Chicago aiuta, no?

Un po’ meno quando “Spanish Eddie” e i suoi compari ti
prendono troppo in simpatia… Pare che durante un sopralluogo nella periferia di
Boston, alla ricerca di location, il proprietario della fabbrica che aveva
concesso al regista la sua approvazione per girare alcune scene, avesse sopra
la scrivania un bellissimo quadro che attirò molto l’attenzione dell’estimatore
dell’arte Billy Friedkin, anche troppo perché al suo ritorno in albergo, Eddie
gli fece trovare quello stesso quadro sul letto della sua camera, diciamo
sconto cinque dita come si dice in questi casi (storia vera). Per evitare
incidenti diplomatici con il proprietario della fabbrica (e con la giustizia) Friedkin
su tutte le furie tuonò di riportare il quadro sul muro da dove era stato
preso, cosa che venne fatta dagli uomini di Eddie la notte stessa.

Il piano per riportare il quadro al suo legittimo proprietario.

Ma a proposito di ladri di polli, il problema più grosso
durante le riprese del film fu la scomparsa della pellicola, sottratta
nottetempo al montatore Bud Smith e al suo assistente Ned Humphreys, sotto
minacci armata. Dopo regolare denuncia alla polizia di Boston, gli agenti
suggerirono a Billy di tagliare i rapporti con tale “Spanish Eddie” che poteva
essere coinvolto nella faccenda, Friedkin lo fece immediatamente, ma prima
dovette rispondere ad una telefonata farsa, con richiesta di riscatto di un
milione di dollari, altrimenti la pellicola sarebbe stata bruciata. Peccato che
i rapinatori da strapazzo, poco avvezzi alle pratiche cinematografiche, avevano
rubato le bobine della copia lavoro, i negativi originali erano al sicuro in un
laboratorio di sviluppo in California, bastava ordinare una nuova copia per
poter continuare il montaggio, infatti il tentativo di estorsione da parte di
questi “soliti ignoti” (in questo caso molto noti) cadde miseramente nel vuoto
(storia vera).

Purtroppo a precipitare furono anche gli incassi al
botteghino di “Pollice da scasso”, un film che per assurdo ha davvero tutto per
piacere al pubblico di uno strambo Paese a forma di scarpa, ma che lasciò
freddini gli Yankee. Dopo aver toccato il cielo con un dito, William Friedkin
aveva riaperto la sua striscia negativa di flop al botteghino, due in fila
contando anche l’immeritato tondo di Il salario della paura, una percentuale di realizzazione negativa, per
utilizzare un termine cestistico che Billy provò a dimenticare proprio così,
dedicandosi al Basket.

I soldi al botteghino che Friedkin avrebbe voluto portare a casa ma che non ha mai visto.

Il leggendario ex allenatore e general manager dei Boston
Celtics, il titanico Red Auerbach doveva aver visto qualche film di Friedkin e
conoscendo la sua passione per il gioco con la palla a spicchi e l’amore di
Billy per i bianco-verdi, si fece due conti pensando che poteva essere l’uomo
giusto per rilanciare una delle più storiche e vincenti franchigie della NBA,
reduce dalla disastrosa gestione di Irv Levin, capo della National General
Films che aveva lasciato la squadra a secco di vittorie e con le casse… Beh, più
al verde del logo dei Celtics.

William Friedkin ci fece su più di un pensierino, diciamo
che dedicò più attenzioni all’idea di entrare a far parte della dirigenza della
sua squadra del cuore, di quanto non calcolò lo sviluppo di “Nato il
quattro luglio”, poi quando capì che il basket lo avrebbe assorbito
completamente, proprio dalla prima bozza del futuro film di Oliver Stone,
riemerse Al Pacino che, nel frattempo, non aveva ancora cambiato idea, voleva
lavorare con Friedkin e così sarebbe stato, ma di questo parliamo la prossima
settimana, per il prossimo capitolo della rubrica dedicata ad Hurricane Billy.

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