Essere figlio d’arte è un gran casino, lo cantava anche
Caparezza. Oddio sarebbe ben peggio nascere figlio d’altro, però anche avere
tutti che ti urlano: «Figlio d’arte!» non è una passeggiata.
Ad esempio Brandon ha un papà a cui io voglio molto bene. Con il suo film
d’esordio, il valido “Antiviral” (2012), Brandon Cronenberg aveva già dimostrato di
avere un certo occhio per la regia (d’altra parte la mela non cade mai troppo
lontano dall’albero), ma non la stessa capacità di andare dritto al sodo con le
metafore. In questi otto anni Brandon non è stato fermo, giusto l’anno scorso
ho visto il suo cortometraggio, breve nel minutaggio ma non nel titolo [Cassidy inspira forte] Please speak continuously and describe your experiences as they come to you [Cassidy espira forte], una sorta di “Allucinazione perversa”
(1990) in piccolo, con un certo gusto per le trovate artistiche.
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Cronenberg 2.0 insieme ai suoi due attori principali. |
Se mai la carriera di Brandon proseguirò, forse un giorno scopriremo
che il suo corto dal titolo lungo, era una sorta di prequel del suo secondo
film, arrivato otto anni dopo il suo film d’esordio e intitolato “Possessor”,
come facilmente intuibile dal titolo, una storia di possessioni, ma come
potrebbero venire intese a casa Cronenberg, quindi per certi versi più vicini a
Ghost in the shell che a
“L’esorcista” (1973).
La storia è quella di Tasya Vos (Giorgia Meloni
Andrea Riseborough ormai sempre più di casa con il genere horror), un’assassina al soldo del governo con la
propensione a fare lavori ben poco puliti, la nostra Vos quando colpisce lo fa in modo eclatante, con ettolitri di emoglobina sparsa, ma oltre al suo modus operandi ad essere particolare è
anche la tecnica che utilizza: attraverso una futuristica tecnologia legata agli impianti cerebrali, Vos può letteralmente prendere il controllo dei corpi
delle persone, utilizzandoli come marionette per i suoi omicidi, della
possessioni di origini tecnologica invece che demoniaca. Infatti pronti via, vediamo subito la donna in azione nella prima scena del film, ogni pellicola
comincia meglio quando si apre con una sparatoria.
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Il primo che dice “Io sono Giorgia” lo sbatto dentro la Bara Volante e chiudo il coperchio. |
Dopo ogni missione Vos ha parecchi effetti collaterali,
legati all’intimo livello di immedesimazione con il personaggio che si ritrova
ad impersonare per alcune ore, per questo dopo ogni azione da killer “pilota”,
Vos ha bisogno di un tempo per depressurizzare, ricostruendo le parti della sua
personalità attraverso una serie di oggetti provenienti dal suo passato. Sembra
molto più complicata a doverla descrivere (e sicuramente anche leggere), ma
Brandon Cronenberg non è Nolan e non
cerca di rendere più intricata del necessario la sua trama, solo per fare bella
figura.
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Nolan per molto meno, ti tira su un pippone di tre ore, quindi bravo Brandon. |
Dicevo lassù che essere figlio d’arte è difficile, devi
sempre mostrare rispetto per il cognome che porti, ma anche sfoggiare così
tanta personalità da non sembrare pilotato – come i corpi ospiti di Vos – dal tuo
celebre papà. Insomma è un vero casino e Brandon Cronenberg al momento sembra
ancora a metà del guado, perché comunque il capo di Vos, Girder è interpretata da Jennifer Jason Leigh, quindi i
rimandi anche solo ideali alla filmografia di papà, diventano proprio difficili da non notare.
Il nuovo incarico di Vos la vede impiantata nel corpo di
Colin Tate (Christopher Abbott), un uomo che sta per sposare l’ereditiera Ava
Parse (Tuppence Middleton), figlia del bersaglio della nostra assassina ovvero
il padre di Ava, l’odioso John interpretato da Sean Bean, e qui mi rendo conto che la scelta di Sean Bean per la parte, è una sorta di “auto-Spoiler” che
Brandon Cronenberg si è inferto da solo, se avete dimestichezza con la carriera
di Sean Bean non vi sarà impossibile intuirlo.
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Nessuna pistola è stata tirata fuori dalle budella durante la realizzazione di questo film. |
Ma i corpi ospiti diventano davvero solo strumenti, oppure
hanno ancora una voce in capitolo? Colin ad esempio non ha troppa voglia di
farsi manovrare come un burattino ed è qui che comincia la battaglia mentale
tra l’uomo e la donna, un METAFORONE piuttosto chiaro sullo scontro dei sessi, reso più gustoso da gli echi Cyberpunk sullo sfondo della storia e dalle
litrate di sangue, perché comunque Brandon non tira mai via la mano e anzi, porta
sullo schermo anche un paio di omicidi piuttosto truculenti. Non mi piace
utilizzare l’espressione “esplosioni di violenza”, perché sembra una di quelle
frasi preimpostate da cinefilo, però considerando il ritmo del film, e quanto
“Possessor” cambi di passo ad ogni omicidio, per lo meno mi serve a darvi l’idea
della velocità che Brandon Cronenberg ha voluto imporre alla sua storia.
Quello che però il cognome Cronenberg si porta dietro è il
problema che avevo già descritto, quando quelle due adorabili matte di Jen e
Sylvia Soska hanno provato a rifare un film del loro connazionale più famoso. Tu puoi anche inserire elementi che
per il pubblico sarà facile definire “Cronenberghiani”, ma solo Cronenberg
(inteso come David) riesce ad esserlo in pieno, infatti l’unica critica che
posso muovere ad un film girato, montato e fotografato (da Karim Hussain) in
maniera veramente impeccabile, è anche un attestato di stima per Brandon, se a
due genietti come Jeremy Gillespie e Steven Kostanski critico di non essere
ancora usciti dall’ombra dei loro modelli di influenza, devo tentare di giocarmi uno straccio di onestà intellettuale
e fare lo stesso con Cronenberg, che ha anche la difficoltà aggiuntiva di
portare lo stesso cognome del suo modello.
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“Ok, mi legga la prima linea partendo da sinistra” |
Però devo anche essere completamente onesto (ho un blog
intero per esserlo), come opera seconda Brandon Cronenberg è riuscito per lo
meno a dimostrare di aver fatto suo quello che per i Cronenberg è l’equivalente
dell’azienda di famiglia, il “Body Horror” di Brandon a tratti sembra doveroso,
perché da uno con il suo cognome tutti se lo aspettano, ma sarebbe una
valutazione frettolosa.
Il secondo film di papà era Body Horror con una metafora bella dritta, a confronto con l’opera
seconda del figliolo, è papà a sembrare quello “ruspante” dei due, e parliamo
comunque di uno dei cineasti più colti e raffinati mai visti sul grande
schermo. Per certi versi Brandon Cronenberg riesce a dirigere film che sono
ancora più distaccati e asettici di quelli di suo padre, quello sguardo
glaciale da anatomopatologo che in “Antiviral” (2012) sembrava semplice
distacco, qui è sempre più una cifra stilistica.
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Il Body Horror, quello che ti smonta la faccia. |
Ecco forse è la parte più spudoratamente “artistica” che
Brandon ancora non controlla a pieno, tutta la parte sulla preparazione dei
killer, e il loro modo di prepararsi ad emulare schemi linguistici e
atteggiamenti, ammazza un po’ il ritmo del film, nel senso che risulta quasi
accessoria, quasi un’altra occasione per Brandon di sfoggiare il suo talento di
regia con soluzione visive molto belle, ma un po’ fini a loro stesse.
Insomma “Possessor” è un titolo bello tosto che si lascia
guardare e ci restituisce un autore in divenire, in un mondo dove qualunque
cosa tu faccia, di sicuro finirai per offendere qualcuno che dall’alto di una tastiera penserà di poterti spiegare come devi vivere, ci vogliono due palle monumentali per
giocare nello stesso campo da gioco di tuo padre, per altro uno degli autori
più caratteristici della scena Horror in circolazione, quindi sono sicuro che
Brandon Cronenberg continuando a perseverare troverà la sua strada, bello avere
ancora qualcuno che considera il Body Horror un affare di famiglia. Come in un pezzo dei BTO, Brandon “Taking care of business” e neanche a farlo apposta,
guarda caso ho citato un gruppo Rock Canadese, tanto per stare in tema.