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Predators (2010): a volte non basta aggiungere una “S” alla fine

Vi ricordate quando dicevo che aggiungendo una “S” (e il talento di James Cameron) il divertimento raddoppia? Anche la saga di Predator prova a fare come i loro cugini alieni, il risultato? E’ l’argomento di oggi nel nuovo capitolo della rubrica dedicata a Predator!

La genesi di questo film con la “S” finale come chi fa finta di saper parlare spagnolo, è stata molto lunga, il primo candidato alla regia è stato Paul W.S. Anderson, la sua idea era quella di proseguire sul filone urbano inaugurato con Predator 2 e ambientare il film in un’innevata New York, ma il progetto è finito zampe all’aria quando Arnold Schwarzenegger ha dichiarato di non essere interessato a tornare nei panni di Dutch. Ma il più (ingiustamente) bistrattato dei registi di cognome Anderson ha ancora un ruolo nella saga di Predator… A breve su questi schermi.

A metà degli anni ’90, un altro regista aveva bussato alle porte degli uffici della Fox con in tasca una bozza di sceneggiatura, l’idea era quella di un torneo, organizzato dagli alieni Yautja sul loro pianeta natale, in cui a combattere venivano richiamati (volenti o nolenti) tutti quelli che si erano dimostrati avversari capaci di tenere testa ai letali predatori, quindi, oltre a una selva di guerrieri Yautja, il film prevedeva combattimenti tra gladiatori come se piovesse, ma anche il ritorno di Dutch e dell’agente di polizia Mike Harrigan. La Fox archivia tutto perché troppo costoso, pagalo un film con Schwarzenegger e Danny Glover insieme, i nostri sogni di appassionati s’infrangono sul braccino corto di qualche produttore.

Chi era (l’allora) sconosciuto, armato di idee bellicose che ai tempi propose questa gustosa idea? Un ragazzone con cappello da Cowboy di nome Robert Rodriguez che, solo tempo dopo, nel 2010, poté finalmente mettersi a giocare con i Predator(s).

La faccia di chi sta realizzando il suo sogno di bambino.

Non è certo un segreto che Rodriguez vada giù di testa per i film di genere, nelle sue pellicole cita John Carpenter ad ogni piè sospinto e il ragazzo non ha mai nascosto il suo amore per un altro John, McTiernan. Intervistato Rodriguez ha raccontato di come nel 1987 andò al cinema con il fratello (fanatico di body building) per vedere il nuovo film di Arnold intitolato Predator, rimanendo folgorato dal modo in cui McTiernan abbia saputo cambiare completamente genere in corso, da film di guerra, a fantascienza con punte da survival horror. Alla prima occasione utile, Rodriguez ha fatto la stessa identica cosa, “Dal tramonto all’alba” da questo punto di vista è un figlio illegittimo del Predator di McTiernan e, a ben guardare, in “C’era una volta in Messico”, l’attore Rubén Blades interpreta un personaggio di nome Archuleta, che è lo stesso nome del personaggio che interpretava anche in Predator 2.

Sfiga! La Fox decide che il film deve uscire nel 2010, proprio mentre Rodriguez è impegnatissimo con il suo “Machete”, quindi gli tocca cercare un sostituto, purtroppo Neil Marshall e Bill Duke (si proprio LUI!) rifiutano, così come quel cagnaccio ridicolo di Marcus Nispel (fiuuu! Botta di culo) e la scelta ricade su Nimród Antal.

«Lassù invece ricopriamo tutti di sangue verde cha fa subito Predator»

Il cast si assembla da solo, siccome dove va Rodriguez state sicuri che a poca distanza trovate Danny Trejo (anche alla mostra del cinema di Venezia, posso assicurarvelo, dal vivo sono uno spasso!), il messicano più famoso del mondo è della partita, anche se nel film dura pochissimo e il suo Cuchillo (che in spagnolo vuol dire coltello, per stare in tema di armi da taglio) schioppa frettolosamente, perché Rodriguez aveva bisogno di lui per girare “Machete”.

Danny Trejo don’t text. Danny Trejo Kills.

Laurence Fishburne è l’attore famoso che porta carisma e che recitava già nel precedente film di Nimród Antal, “Blindato” (Armored, 2009), gli altri, tutte facce giuste: Oleg Taktarov visto nel Rollerball sbagliato, Alice Braga, la mora “Latina” che pare non poter mancare nei film di Predator e quel fenomeno di Walton Goggins, che già si mangiava tutti i ruoli in cui compariva, prima che Tarantino gli regalasse finalmente personaggi adatti al suo talento.

Resta IL problema di tutti i film della saga, chii sostituisce Schwarzenegger? Qui decidono una mossa sensata, che poi è la stessa di Predator 2: prendere un attore di estrazione completamente diversa in modo da non rischiare confronti, Danny Glover si è guadagnano punti stima (e simpatia) con “Arma Letale”, per questo vedere Adrien Brody nelle giungla con il mitra in braccio risulta una scelta ancora più shockante.

La reazione dei fan della saga alla nomina di Brody.

“Predators” con quella famigerata “S” finale, non solo strizza l’occhio ad Aliens, ma promette che tutto sia più grosso, in effetti, ci sono più Yautja, la giungla in cui si muovo è grande come un pianeta (letteralmente!) il problema è l’assenza di coraggio che rende quello che avrebbe dovuto essere un terzo capitolo, una specie di Reboot-sequel del film originale.

L’inizio è ottimo, si parte subito con Adrien Brody che si risveglia armato di tutto punto, nel mezzo di una caduta libera dal cielo, da cui si salva tirando la leva del paracadute, lo stesso tipo di trauma che ho io ogni mattina quando suona la sveglia. Ma senza paracadute.

Qui il protagonista fa la conoscenza di una serie di loschi figuri che somigliano anche un po’ troppo ai soldati del film di McTiernan, c’è il tipo grosso con il minigun (Oleg Taktarov), ma anche quello inutile, fuori luogo e che per necessità della trama, deve stare sul cazzo al pubblico, infatti lo interpreta Topher Grace, che da questo punto di vista è perfetto, è dai tempi di “That ’70s Show”, che non prende un canale quel ragazzo.

Walton Goggins in: Orange is the new camo.

Al film basta mezzo dialogo, in cui Alice Braga ci racconta che tempo fa un soldato è riuscito a tener testa agli alieni ricoprendosi di fango per coprire la traccia del calore del suo corpo, ma beccami gallina se si fa riferimento al povero Danny Glover, come se la volontà fosse quello di spazzare il secondo capitolo via dalla memoria collettiva. Per il resto, Nimród Antal fa tutto giusto, dimostra di aver capito davvero cosa funzionava del film di McTiernan, dirige tutto in puro vecchio stile, forse il grande pregio del suo lavoro è quello di non far notare per nulla la presenza di Rodriguez, uno che in linea di massima fa cosine appena appena riconoscibili (a volte in senso buone, altre molto meno), il gruppo di tipi tosti che fanno squadra contro le ostilità risultano comunque abbastanza credibili, da questo punto di vista l’esperienza fatta con il cast di “Blindato” è stata una bella palestra.

Clooney in “Dal tramonto all’alba”,  El Mariachi Banderas e ora il pianista nella giungla.

Nimród Antal ha anche il buon gusto di utilizzare pochissimi CGI, abbiamo giusto il drone da ricognizione e i famigerati cani da caccia alieni, che nel 2010 quando vidi il film al cinema, mi sembrarono brutti, ma non bruttissimi e rivedendolo qualche giorno fa ho confermato la mia idea. La CGI è invecchiata così così, ma per fortuna le bestie, si vedono poco e spariscono in fretta, peccato che siano anche l’unica aggiunta all’iconografia dei Predator che questo film è in grado di offrire.

«Ma cos’è quella roba!?» , «Che ti frega, è morto e poi nel film non si vede più»

Sì, perché la pellicola è stata girata in 53 giorni, cosa che si nota visto che gli attori non hanno la minima preparazione e ad ogni inquadratura impugnano le armi in modo diverso, ci sono anche dei passaggi poco logici: l’armatura che ha protetto Laurence Fishburne permettendogli di sopravvivere per dieci stagioni (di caccia), improvvisamente sparisce dalla storia, anche se il mio momento MACCOSA preferito è quando Royce (Adrien Brody), sfruttando la tecnica “il nemico del mio nemico è mio amico”, libera lo Yautja legato al palo, per convincerlo ad aiutarli, guidando l’astronave che li porterà via dal pianeta, solo che per comunicare il suo piano alla creatura, cosa fa? Come l’Italiano medio che si trova in un Paese straniero senza (ovviamente) conoscere la lingua, a gesti! Il tutto scandendo le parole, A-S-T-R-O-N-A-V-E, la cosa pazzesca è che l’alieno pare pure comprenderlo, si vede che in passato era stato spedito a cacciare trofei in uno strambo Paese terreste a forma di scarpa.

“Predators” pecca di timidezza, è troppo assoggettato al film del 1987 per tentare davvero di cacciare fuori una personalità sua, il che è un problema, visto che il film originale aveva una trama lineare, ma sapeva solleticare lo spettatore, lasciandolo con la voglia di sapere di più di questi cacciatori alieni con i rasta. Di fatto, questo film sembra “Gara 2” dello scontro del primo film, però a campi invertiti, questa volta gli umani sono ospiti su un pianeta che è una grossa riserva di caccia, quasi del tutto identico alla giungla di ValVerde, se non per alcune piante estinte da secoli, che quello intellettuale del gruppo (Topher Grace, lo riconoscete perché è l’unico con la felpa con cappuccio, in mezzo a gente in mimetica) riconosce subito, ma ignorando del tutto il dettaglio.

«Totò, ho l’impressione che non siamo più nel Kansas» (Cit.)

Non c’è mai una singola scena in cui Antal dimostra di saper davvero tirare le redini, azzecca in pieno il tono dell’operazione, non sporca il foglio, dirige il suo azzeccato cast e mostra quanto siano figo il makeup delle creature firmato da Greg Nicotero. Ma vigliacca se riesca mai a metterci qualcosa di suo, ha due occasioni clamorose per farlo: lo Yakuza che combatte con il Predator a colpi di Katana, ma anche lo scontro tra i due Yautja, quelli più grossi, il fighissimo Berserker Predator (interpretato dallo specialista Brian Steele) che dovrebbe essere uno scontro memorabile, invece scivola via.

Avvincente come una partita di volano.

Non sto dicendo che “Predators” sia brutto, ma non aggiunge davvero nulla all’iconografia dei predatori alieni, personalmente, quando penso a questo film ricordo appunto l’atmosfera, Adrien Brody che si aggira nella giungla e poco altro, il che è una grossa occasione sprecata, visto che per la prima (ed anche unica) volta possiamo vedere gli Yautja in azione lontano dalla Terra. Quando mi capita mi riguardo il film anche con piacere, non lo si odia, ma nemmeno lo si adora, in generale mi è sembrata un’opera di mimetismo degna di un vero Predator.

Foto a caso di Alice Braga per consolarci.

Adrien Brody, poi, anche se ha provato a mettere su dei muscoli sul suo corpo ossuto (e nasuto), funziona proprio quando prova a fare l’anti eroe che pensa solo a salvarsi la pelle (cosa che la trama gli concede di fare per circa due minuti), risulta credibile quando in una pausa della caccia cita Ernest Hemingway, ma il film da un calcio al secchio del latte: a cosa serve cercare qualcuno di diametralmente opposto a Schwarzenegger per evitare paragoni, se poi nel finale del film, costringi Brody ad affrontare a spogliarsi, ricoprirsi di fango e affrontare l’alieno a petto nudo, insomma a fare l’Arnold versione da discount? Persino lo Yautja capisce la fregatura, a Schwarzenegger ai tempi concedette l’onore delle armi, affrontandolo a mani nude, Adrien Brody è talmente poco minaccioso che non fa altro che stare fermo a guardarlo correre in tondo (storia vera!).

Emblematico il Predator, che si rotola dal ridere a terra.

L’ombra di Schwarzenegger si allunga su tutto il film, il personaggio di Laurence Fishburne, nelle idee originali della sceneggiatura, avrebbe dovuto essere Dutch, ma è stato modificato e sostituito con il primo attore dotato di un minimo di carisma disponibile, per assurdo, risulta più interessante la storia del toccato Roland Noland, reso pazzo dalla solitudine e dalla paranoia, che parla con le voci nella sua testa, gli manca solo un pallone di nome “Wilson” e poi il gioco è fatto.

Anche le musiche sottolineano quando questo film sia tanto, troppo assoggettato a quello di McTiernan, sui titoli di coda parte l’immancabile Long Tall Sally, mentre la colonna sonora, ascoltandola uno direbbe che è proprio quella originale composta da Alan Silvestri, invece i titoli di coda confermano che è firmata da John Debney, peccato che sia quasi totalmente identica!

«Adrien, io sono tuo padre!» , «Quello è un casco da Predator, non da Darth Vader»

Insomma, “Predators” non è brutto, è un buon film che soffermandosi a guardarlo nasconde qualche magagna di troppo, ma in generale pur rischiando davvero poco, porta a casa il risultato e si lascia guardare.

Il problema è che quasi nessuno ha provato davvero ad esplorare il mondo dei Predator, Cameron con il suo Aliens – Scontro finale non ha soltanto aggiunto una “S”, ma espanso il mondo degli Xenomorfi creando la regina madre, qui, invece, non succede nulla di paragonabile, siamo ancora fermi ad un gruppo di Yautja alle prime armi impegnati ad allenarsi migliorando le loro tecniche di caccia.

Visto? Sono due Yautja, così possiamo giustificare la “S” del titolo.

C’era l’occasione di vedere come vanno le cose sul pianeta natale di questi alieni che, da secoli, si allenano combattendo contro i peggiori elementi della galassia, ma si allenano per quale ragione? Hanno pareti di casa così grandi da addobbare di teschi portati via alle prede o c’è qualche altra ragione, è dal 1987 che me lo chiedo, non ho ancora avuto una risposta.

Se volete curiosità, memorabilia, articoli, informazioni e valanghe di passione su Predator e gli alieni della Fox, tutti i giorni trovate il blog curato da Lucius Etruscus, 30 anni di Aliens (Viaggi nel mondo degli alieni Fox), imperdibile per gli appassionati di questa saga!

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