Devo prenderla alla lontana questa premessa, un po’ perché ormai mi conoscete, è un mio vizio, un po’ perché credo che davanti a film di questa portata, sviscerati nel corso degli anni da chiunque, tra i maggiori esperti e i peggiori “fanboy”, sono convinto che si debba iniziare dalla parte aneddotica, anche quella più personale.
La prima volta che sono stato a casa della Wing-woman le ho chiesto: «Ma perché vivi nel palazzo di Profondo rosso? L’ascensore è lo stesso» (storia vera). Questo vi offre la dimensione di due fattori, il primo, l’infinita pazienza di quella donna, il secondo, cosa voglia dire “Profondo rosso” per qualcuno che vive a Torino, con la bellissima Villa Scott, tutta in stile liberty nel pre collina e piazza C.L.N. con le sue statue, che fanno da cornice al primo omicidio.
Per il resto lo sapete, quando si tratta di Argento bisogna fornire le generalità come ad un controllo di polizia, malgrado io sia un fanatico di Horror torinese, non sono argentiano, lo ribadisco ogni volta che mi ritrovo a scrivere del regista, ma è resta innegabile che il Darione nazionale abbia firmato alcuni titoli fondamentali, tra cui proprio “Profondo rosso”, i suoi primi cinquant’anni sono l’occasione perfetta per portare questo titolo sulla Bara e in onore al suo colore principale, spargo a mia volta il rosso dei Classidy.
La discussione infuria da tempo, alcuni considerano Argento sopravvalutato ignorando quanto sia cambiato nella nostrana industria e di conseguenza nel suo cinema, eppure io credo che “Profondo rosso”, che non è nemmeno il suo film che preferisco (quello resta Suspiria e ancora di più, il prossimo compleanno argentiano in arrivo qui sulla Bara la settimana prossima), sia un film spartiacque, uno di quelli che può farti smettere per sempre con gli Horror oppure, capace di avvolgerti nel caldo abbraccio di questo genere per sempre.
Personalmente fin dalle mie prime visioni da ragazzino del film, sono dovuto venire a patti con il prologo, potentissimo, efficacissimo anche grazie a quella cantilena infantile che fa a cazzotti (o a coltellate) con le immagini violente. Il mio cervello andava in dissonanza cognitiva con il fatto che la stessa scena, spiegata nel momento della rivelazione e della soluzione del giallo, mostrasse momenti non coerenti che risultano essere voragini di continuità logica (magari su questo ci torneremo più avanti), ci ho messo fin troppo a comprendere la semplice nozione per cui il prologo, fosse il trionfo del narratore non affidabile, perché ovviamente traumatizzato dai fatti. Ancora oggi ho dei seri problemi di gradimento nei confronti del film (anche su questo, più avanti ci torniamo), ma il mio parere soggettivo è una cosa, il valore oggettivo di “Profondo rosso” invece è ben altro paio di maniche.
Argento aveva in testa alcune idee entrare poi a far parte della storia (come la medium che prevede gli omicidi), fin dai tempi dei suoi primi gialli dal titolo animale, la voglia di ritornare al genere che lo ha messo sulla mappa geografica, con ancora più furia di prima se fosse possibile, perché arrivava dal clamoroso tonfo ottenuto con “Le cinque giornate” (1973), il titolo con cui argento voleva fortemente dimostrare di non essere solo un regista di genere. Volete da me solo i Thriller gialli con i morti ammazzati? Vi accontento! Non è un caso se da questo momento in poi, la carriera di Argento si è tinta di rosso (ah-ah) perché “La tigre dai denti a sciabola”, titolo di lavorazione poi modificato nel più adatto “Profondo rosso”, pensato per portare avanti la tradizione “animale” dei primi film del regista, sia il titolo che ha infranto la diga, il passaggio naturale dal genere giallo largamente ispirato a Mario Bava per arrivare all’Horror migliore della produzione di Argento, quello più folle e onirico, non per forza cartesiano, alla faccia della mia dissonanza cognitiva.
Scritto a quattro mani con Bernardino Zapponi, che negli anni si è preso la responsabilità degli elementi più realistici della trama, lasciando la paternità di tutto il resto (la medium, i trascorsi della villa, il disegno sulla parete, le stanze murate e soprattutto la dinamica degli omicidi) al regista, “Profondo rosso” è stata la solita produzione in famiglia, un classico prodotto da Salvatore e Claudio Argento reso iconico da beh, tutto, ma da un dettaglio in particolare: le musiche.
Ci sono due o tre brani legati a filo doppio al cinema Horror, così celebri da essere noti anche a chi non ha visto i film di cui fanno parte, il cinque quarti di Halloween, le capane tubulari di Friedkin e la colonna sonora di “Profondo rosso”, per cui Argento sognava qualcuno di molto Rock come i Pink Floyd o i Deep Purple, ma venne portato verso più miti consigli dal produttore che si occupava di colonne sonore Carlo Bixio: «Dario, ho ‘sti ragazzi per le mani, secondo me per quello che vuoi tu potrebbero andare bene, vai a sentirli, si chiamano Goblin» (storia vera).
Il gruppo di rock progressivo formato da Claudio Simonetti erano ovviamente la scelta giusta, un successo clamoroso non solo per la potenza che hanno le musiche nel film, ma per la velocità con cui sono diventate parte della cultura popolare, un disco capace di arrivare al platino (grazie ad Argento, ah-ah) in tempi record rimasto tra i più venduti d’Italia per decenni, ancora oggi un tema principale in grado di far accapponare la pelle alle persone dopo un paio di note.
Ad analizzare il film francamente, mi trovo anche in difficoltà, non perché non lo faccia con piacere ma perché ci troviamo davanti ad un titolo così famoso che aggiungere qualcosa di nuovo su un classi(d)o che compie cinquant’anni è anche complicato. Il prologo ad esempio colpisce con una violenza belluina, la cantilena sinistra infantile, l’albero di Natale sullo sfondo e l’ombra delle coltellate (più d’una, proiettare da destra verso sinistra), il coltello insanguinato che entra nell’inquadratura lanciato dall’alto e il passo verso l’arma, fatto dal bimbo con i calzettini non si dimentica, anche se come detto, sono passi di danza non coerenti con la stessa scena, che tornerà più avanti nel momento della rivelazione, nell’ultima pagina del giallo (all’italiana), mettendo in chiaro che quello che abbiamo visto è un ricordo. D’altra parte lo dice anche l’amico del protagonista, Carlo (il mitico Gabriele Lavia) che sostiene che la verità e i ricordi si mescolano, come un Cocktail, lui che in questo film deve averne mandati giù parecchi vista la condizione del suo personaggio.
Tutta la parte relativa alla medium Helga Ulmann (Macha Méril) non solo introduce le tende che determineranno il colore principe del film, ma anche tutto l’uso che fa Argento della soggettiva, sembra sempre che i personaggi nel film siano osservati, minacciati, e qui veniamo al punto, “Profondo rosso” è un classico giallo all’italiana con elementi Horror molto marcati, ha la struttura dell’indagine, va seguito per capire gli indizi chiave ma ha una caratteristica di fondo, tipica del cinema di Argento più o meno fino ad boh, “Opera” (1987) o giù di lì.
Mi riferisco al modo in cui il regista romano sapeva creare l’atmosfera di un mondo dove ogni elemento che lo compone risulta essere maligno, anche se non supportato da elementi della trama, nei film della fase migliore della carriera di Argento, i personaggi si muovevano attraverso atmosfere quasi oniriche, se non proprio da incubo, in cui tutto può ucciderti o risultare sinistro, anche il modo di trattare gli animale (povera lucertola!) di Nicoletta Elmi, giusto per fare un esempio.
A questo contribuisce molto aver saputo utilizzare la cornice offerta da Torino, anche se il film è stato girato anche a Roma e Perugia, “Profondo rosso” riesce a creare come perfetto sfondo per la storia, una non-città o meglio, una generica e ultra cesellata città immaginaria che sembra italiana, somiglia parecchio a Torino ma non lo è completamente. Lo dico fuori dai denti, quando qualche appassionato di cinema arriva in piazza C.L.N. di solito guarda la fontana verso sinistra dicendo qualcosa tipo: «Lì ci stava un bar!», no, non c’è mai stato un bar lì, il Blue Bar non è mai esistito, è stato creato apposta per il film con uno stile che è un aperto omaggio al quadro “I nottambuli” (Nighthawks) di Edward Hopper.
Veniamo ai lati negativi? Come detto davanti ad un film così posso giocarmi davvero solo il parere personale e argomentarlo: la struttura del film è quella di un’indagine, un giallo, e Argento riesce a tenere la tensione altissima per tutto il tempo, anche grazie a sequenze molto lunghe, ottime per creare l’angoscia lavorando in coppia con le musiche dei Goblin, in certi passaggi, alcuni anche piuttosto lunghi, il film cala il ritmo e fa calare le difese agli spettatori.
Lo dico con tutta l’enorme stima che ho per l’incolpevole Daria Nicolodi, qui assolutamente splendida in una prova incredibile, ma tutte le parti tra la sua giornalista Gianna Brezzi e il protagonista Marcus Daly (la seconda prova più mitica di David Hemmings, ancora alle prese con immagini, sguardi e suoni) sono momenti da Rom-Com, ottima, scritta bene, con dialoghi che filano alla grande, ma sempre di commedia romantica si tratta, i due opposti che si attraggono e battibeccano. Anzi la dico ancora meglio, se questa lunghe porzioni di film funzionano è proprio grazie alla prova frizzantina di Daria Nicolodi che rende davvero tridimensionale e realistico il suo personaggio, ad ogni visione mi affeziono più a lei che al protagonista, ma visto che Argento, grazie ai dialoghi, cerca di instillare il dubbio anche su Gianna (senza riuscirci) ma allo stesso tempo quel costante senso di minaccio, che trasuda dal mondo maligno che fa da sfondo a “Profondo rosso”, quando Daria Nicolodi è in scena, scompare, di conseguenza come spettatori ci rilassiamo, per questo, e solo per questo, “Profondo rosso” lo trovo meno riuscito di altri lavori di Argento, e malgrado tutto, resta una pietra miliare.
Tutto il modo in cui Marcus si cala nell’immagine, per sfidare la sua stessa memoria è un gioco di specchi (ah-ah) perfettamente orchestrato da Argento, che semina tutti gli indizi, spesso in bella mostra, ed ogni volta che aggiunge un elemento (il disegno sotto l’intonaco, il contenuto delle stanze segrete e via dicendo), lo fa in perfetta armonia con l’indagine, in un crescendo cadenzato da omicidi uno più spaventoso e iconico dell’altro.
Il primo, con la finestra sfondata dal mamozzo di da Helga apre le danze, in un crescendo di violenza sempre più stilosa ma non per questo meno spaventosa, l’omicidio della vasca da bagno traghetta definitivamente la filmografia di Argento dal giallo all’Horror più puro, ma la scena più iconica resta quel maledetto pupazzo meccanico, che non ha nessun senso di esistere (è inutilmente complicato come elemento di distrazione), ma resta una scena magistrale, la musica si ferma, quei due o tre secondi di silenzio che sembrano eterni, inquadratura fissa e anche se lo sai che è la porta quella da tenere d’occhio, non sai mai quando si aprirà e veder spuntare fuori quell’affare a molla, che in futuro sarebbe stato cannibalizzato da James Wan, mette in chiaro che nel mondo di “Profondo rosso”, tutto può ucciderti, anche l’ascensore di casa della Wing-woman nel finale.
Ancora oggi è una moda fin troppo in voga quella di sparare a zero su Argento, pochi altri registi più di lui tirano fuori la bile dal fegato degli appassionati, eppure da cinquant’anni “Profondo rosso” resta un classico capace di scolpirsi nella memoria collettiva come pochi altri film hanno saputo fare, se sono sceso a patti anche io, che amo le trame cartesiane, con il suo prologo che è il trionfo del narratore inaffidabile, sarebbe ben ora di mettere da parte le chiacchiere, quando si parla di “Profondo rosso”, stanno decisamente a zero.
Prossima settimana invece, altra tornata di Argento qui sulla Bara, tra sette giorni qui, con un altro film del regista, quello sì il mio preferito di sempre, non mancate!
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