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Pronti a morire (1995): sii veloce o sei morto

Un compleanno a cui tengo moltissimo per l’anno in corso è senza ombra di dubbio questo, perché ogni occasione per me è ottima per trattare il cinema di Sam Raimi, figuriamoci i primi trent’anni del suo Western, da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa uscito con il titolo di “Pronti a morire”, bello dritto ma meno efficace dell’originale “The quick and the dead”.

Che altro non è che un’espressione che in lingua inglese fa parte del vocabolario comune, un passo biblico che recita: Gesù Cristo verrà a giudicare i vivi e i morti. Anche se sul set di “The quick and the dead” a fare il bello e il cattivo tempo ci ha pensato un’altra forza onnipotente, mi riferisco a Sharon Stone.

Quando mi ricapita di avere Sharon Stone nella posa dell’eroine della Bara Volante?

Nella prima metà degli anni ’90, Sharon Stone era una mammasantissima, non serve nemmeno precisare il perché, grazie alla sua prova nel film più messo in pausa della storia del cinema, la nostra se la sentiva caldissima, anche se avrei potuto fare un’altra scelta di parole. Se vi è capitato di leggere la sua autobiografia – in cui parla di tutto, tranne che di cinema – è chiaro che l’apice della sua megalomania coincideva esattamente con quella volta in cui si è messa in testa di andare a giocare in un campo da gioco vecchio come il cinema stessa, mi riferisco al Western.

Piccolo passo indietro, il Rock and Roll di tutti i generi è sempre esistito, esisterà sempre alla faccia del cliché per cui ad ogni decennio, qualcuno lo vorrebbe morto, mi dispiace dirlo, non si può uccidere un genere cinematografico, al massimo può essere più o meno popolare, negli anni ’90 il Western non solo è tornato ad esserlo, ma abbiamo avuto la fortuna di vederlo interpretato da diversi artisti, ognuno di loro con una formazione e uno spirito differente. Tra questi anche Sam Raimi, che ha potuto portare il suo estro e la sua creatività applicandola al Western, ma per arrivaci, che fatica!

Il più svelto di tutti? Sam Raimi a muovere la macchina da presa.

Come vi dicevo, l’autobiografia di Sharon Stone è un’ottima lettura per perdere stima nei confronti di un’attrice che ho sempre apprezzato moltissimo, dal suo libro è chiara la sua visione, molto di parte, una narrativa che tutt’ora l’attrice porta avanti, in cui essenzialmente attorno a lei erano tutti stronzi, nemmeno fosse stata Lord Casco Nero di Balle Spaziali.

Sharon e il cast che ha messo su, anzi, se chiedete a lei li ha proprio generati, vestiti e calzati.

Stando al delirio di onnipotenza di Sharon Stone (vi rimando a Lucius per maggiori dettagli) sembra che l’attrice abbia inventato tutto, anche il genere stesso, sminuendo così il lavoro di chiunque, nel suo continuare a parlare di “loro”, questi famigerati produttori ignoranti che non capivano nulla. Sarebbe carino far notare a Sharon Stone che era lei stessa tra i produttori, ma andiamo avanti.

La sceneggiatura di Simon Moore ricalca il mito del pistolero senza nome, trasformando questo archetipo al femminile, occasione persa per Sharon Stone per smontare il cliché per cui un’eroina non possa salvare il proprio uomo, perché altrimenti questo ne uscirebbe sminuito nella virilità, fateci caso, quelle da salvare sono sempre le damigelle in pericolo, ma il contrario. Ecco perché anche qui la nostra pistolera che un nome lo ha solo nei flashback (salvo nel finale, quando Cort la chiama per nome, vabbè) deve vendicare il padre, qui impersonato da Gary Sinise in una scena che è chiaramente di ispirazione Leoniana, perché la nostra Sharon Stone dovrebbe essere una sorta di Armonica, ma decisamente più bionda.

Improvvisamente Forrest Gump non è più così fastidioso da sopportare.

Sul perché la nostra protagonista attenda proprio l’annuale torneo per la pistola più veloce della cittadina di Redemption, non è dato sapersi, anche perché alla sua uscita “The Quick and the Dead” è stato sbertucciato per via della sua sceneggiatura, con un secondo posto nel fine settimana di apertura (l’unico che conta) e un incasso di poco meno di cinquanta milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti spirati, al netto di una spesa di circa trentacinque milioni della stessa valuta, il film non è stato certo un successo, quindi la colpa è stata scaricata quasi tutta sull’incolpevole Simon Moore, che si è visto modificare il suo copione in corsa da tutti, da Sharon Stone che tuonava a destra e a manca ma anche da Gene Hackman, che ha usato Moore come scrivano per modificarsi tutti i dialoghi del suo personaggio (storia vera).

A proposito di Gene Hackman, ancora stanco dalle riprese di Geronimo, non ne voleva sapere di altra sabbia del deserto, ma considerando che Sharon Stone mise le corna a terra pur di avere un attore di peso nel cast (con nome in locandina prima del suo), Eugenio deve essere stato coperto di così tanti soldi da non poter dire di no, lo dico? Meglio per tutti, perché un personaggio diabolico, che altrove sarebbe stato una macchietta, il Principe Giovanni di Redemption, qui diventa un personaggio che funziona perché Hackman si mangia tutto e tutti di traverso, a partire dal resto del cast fino ad arrivare al film stesso.

«Mi mangio il film e dopo, mi fumo anche un sigaro, per digerire»

Leonardo DiCaprio arrivava da prove drammatiche notevoli, di lì a poco ne avrebbe firmate altre prima di imbarcarsi verso la fama totale, qui è un pischelletto con il cappello troppo grande, insomma perfetto per la parte, malgrado sia imbarazzante il fatto che Sharon Stone se lo orizzontalizzi (fuori campo) visto che è uno sbarbatello, proprio per questo dalla Nuova Zelanda, l’attrice si è scelta uno molto più “mascuolo” come lo sconosciuto Russell Crowe, che arrivava da una parte da Skinhead in patria e la produzione ha dovuto attenderlo un mese, per permettergli di finire “Tutto ciò che siamo” dove impersonava un idraulico omosessuale. Capite da soli che ORA è facile per Sharon Stone vantarsi di aver scelto il futuro Massimo Decimo Meridio, allora sembrava solo un’idea balorda e basta, un modo per assecondare una diva scapricciante.

Spara sì, ma soprattutto si spara le pose (il mirino sulle pistole, lo mettono per un motivo Leo)

Se la pistolera di Sharon Stone è una sorta di Armonica al femminile, Cort, il recalcitrante pistolero di Russell Crowe è un personaggio in odore de “La pistola sepolta” (1956), solo cento volte più abbozzato e perseguitato per aver deciso di mettere già la pistola per sempre a Redemption. Dove però la sua vera natura emerge non è tanto nella “torrida” scena di sesso con la protagonista, quando nel negozio di armi (non si sa perché, gestito da Kid, forse per dare spazio a DiCaprio), in cui sotto il naso gli passa tutta la gamma di revolver, dai più costosi ad un ferro arrugginito da cinque dollari, ma grazie alla regia di Raimi è chiaro che quei tamburi ruotino al ritmo del vero cuore di Cort. Si, questo era un modo per arrivare al punto, parliamo dell’uomo che ha fatto davvero la differenza per “Pronti a morire”, parliamo di Sam Raimi.

Keith David sacrificato per regalarci una grande inquadratura di Sam Raimi.

Sharon Stone si è prodigata a far notare il suo manifesto amore per La Casa, il suo seguito e per L’armata delle tenebre, quindi ottimo gusto Sharon, bravissima. Se le hanno preso un “masculo” di suo gusto come protagonista maschile, secondo voi la produzione, pur di assecondare la diva, poteva lasciare al palo Sam Raimi, che ha avuto la possibilità di fare il salto in serie A? Passato dai film nei boschi con gli amici ad una grossa produzione della TriStar Pictures con grossi nomi in cartellone, per Raimi il primo scontro (frontale) con le limitazioni che una grossa produzione si porta dietro, tanti soldi ma poca libertà creativa.

Russell predica con una sei colpi.

Troppi cinefili (o presunti tali) si sono divertiti a lanciare spazzatura addosso a Raimi, colpevole secondo questi signori, si essersi “venduto”, bah, contenti voi, io preferisco sottolineare il modo in cui Raimi sia sempre riuscito a non perdere il suo estro, nemmeno lavorando per le major o nei lavori su commissione, collezionando nomi illustri, tutti pronti a dichiarare, anche a distanza di anni, di come tornerebbero a lavorare con un professionista sempre in giacca e cravatta (unico regista americano che NON dirige con il berretto da baseball in testa), gentilissimo e brillante, tutti, tranne Sharon Stone. Leggetevi questo e capirete il rosicare di un’attrice che nel 1995 ha fatto la diavolessa scapricciante sul set e poi, cattivo Sam, non mi hai più chiamata a recitare nei tuoi film, cattivo!

Ok, qui ha un cappello a tema, ma come vedete ha anche la cravatta.

Ora che vi ho dato un po’ di contesto dovrebbe essere più chiaro tutto, ma senza girarci attorno, de panza, “The Quick and the Dead” è un filmetto stupidino, che vive e muore sui cliché del genere (il cattivo cattivissimo, i duelli a centro strada a mezzogiorno e un’eroina senza nome che non fa un passo verso l’emancipazione dei personaggi femminili) che però è dannatamente divertente da guardare perché ha tutte le facce giuste e il regista migliore del mondo.

A proposito di facce giuste, è quasi uno scandalo che Lance Henriksen ricopra una parte così piccola, il suo Ace Hanlon è un gradasso estremamente spavaldo che spara anche a testa in giù, giustissimo perché fatto a forma di Henriksen ma sprecatissimo perché Sharon Stone non aveva piani per lui.

Con Lance o Bruce come protagonisti, che film sarebbe stato? “La vendetta di Brisco County, Jr.

Sono proprio le facce a dare spessore a “Pronti a morire”, abbiamo un barista che arriva da Gotham City, un becchino che ha aiutato Kevin, e se guardate bene, ci sono apparizioni per gli amici di Raimi, da Scott Spiegel (l’uomo dal dente d’oro) al re del Cameo Mick Garris (uno degli uomini di Herod) fino ad arrivare all’uomo al matrimonio, mi riferisco a Bruce “The King” Campbell, purtroppo tagliato al montaggio, probabilmente per via del gran delirio dovuto all’assecondare la diva del film.

Ne volete sapere un’altra? Sembrava difficile infilare una Oldsmobile Delta 88 colore beige in un film ambientato nel 1878, ma Sam Raimi è riuscito a mimetizzare “The Classic” sotto un carro sullo sfondo, quindi tecnicamente l’auto presente in tutti i film del regista, compare anche qui.

Dimmi che sei un film di Sam Raimi senza dirmi che sei un film di Sam Raimi.

Ma la verità è molto semplice, nell’ondata di Western memorabili usciti negli anni ’90, “Pronti a morire” ha saputo diventare un piccolo culto (per me di sicuro) grazie alla regia di Sam Raimi, che ha saputo valorizzare al meglio le scenografie di Patrizia von Brandenstein e la fotografia di Dante Spinotti, tutti collaboratori che un regista sbarcato dagli Horror come Raimi non ha potuto scegliersi, ma da grande professionista, ha saputo far lavorare al loro meglio, un esempio? La colonna sonora firmata da Alan Silvestri è bellissima, diversa dalle altre sue composizioni, eppure perfetta abbinata alle immagini, come se Silvestri avesse capito che malgrado il gran casino produttivo, questo film fosse Raimi al 100% e gli abbia dato la migliore delle colonne sonore possibili.

Quei dettagli sulle pistole, il trionfo di zoom in avanti e carrelli indietro, il montaggio rigoroso su primissimi piani e lancette dell’orologio che puntano alle dodici in punto, “Pronti a morire” è una gioia per gli occhi che fa tuonare ogni pallottola come se fosse sparata da un bastone di tuono più che da un semplice revolver a sei colpi e non mancano nemmeno le trovate slapstick, esagerate, come il nativo Cavallo Pezzato che come un Deadite non muore mai nemmeno se colpito più volte a morte.

Per caso ho già detto puro Sam Raimi? Ecco ora l’ho detto.

Guardatevi Cort che chiede una seconda pallottola, oppure la fine riservata al cattivo di turno, con i fori di pallottole passanti, puro Raimi al 100%, reso ancora più bello dal fatto che senza di lui, “The Quick and the Dead” sarebbe stato ricordato solo come il film in cui Sharon Stone a colpi di scapricciamenti ha ottenuto un modesto incasso al botteghino su cui ancora rosica, mentre per nostra fortuna, il film resta un gioiellino visivo, divertentissimo da guardare, in cui montaggio e regia nobilitano tutto, uno dei più fulgidi esempi di quel periodo in cui il Western, a metà degli anni ’90, è stato reinterpretato secondo la sensibilità e il talento di tanti ottimi registi, uno di questi, senza ombra di dubbio, il nostro Sam.

Quindi auguri a questo gioiellino, da trent’anni uno spasso oltre che l’ennesima prova dell’enorme talento del suo regista, quello svelto di Sam Raimi.

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