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Providence vol. 3: Il richiamo di Cthulhu

Quando un grande
scrittore come Alan Moore, decide di mettersi sulle tracce di un altro mostro
sacro come H.P. Lovecraft, le aspettative non possono che essere molto alte,
l’ultimo volume di “Providence” non solo ignora la pressione, ma conclude in
maniera coerente una ricerca iniziata parecchio tempo fa.


Per la precisione
nel 2003, con la pubblicazione del primo racconto di Alan Moore di piena
ispirazione Lovecraftiana, ovvero Il cortile, in cui facevamo la conoscenza della sbirro razzista Aldo Sax e
dello spaventoso Johnny Carcosa. La storia incredibilmente riuscita
nell’azzeccare le atmosfere malate e il finale oscuro delle storie di Lovecraft
funzionava ancora meglio della ben più famosa Neonomicon, spaventosa il giusto, ma a mio avviso esageratamente
esplicita, in certi momenti al limite del tragicomico, in cui il destino della
povera agente Brears veniva lasciata in sospeso, anche se non era proprio
impossibile intuirlo, ecco.
Se “Il cortile”
era un primo approccio filologicamente preciso, Neonomicon era un atto di
ribellione, quasi un tentativo di Moore di demolire il lavoro di Lovecraft, ma
fin dal primo volume di Providence è
stato chiaro che il Mago di Northampton avesse in quel suo testone barbuto
delle idee precise, una volontà precisa di raggiungere Lovecraft, andare
letteralmente a giocarsela sul suo campo da gioco, nella cittadina di
Providence. Il malcapitato di turno è lo scrittore omosessuale Robert Black
(che suona volutamente come Robert Bloch), la sua ricerca dei luoghi misteriosi
del New England, sulle piste del vecchio H.P è quella di Moore e insieme di
tutti noi lettori, che come protagonisti delle storie di Lovecraft, finiamo
divorati dai suoi racconti.



Ah! L’aria fresca del New England!

Certo, bisogna
dire che l’elemento horror, i momenti di angoscia che hanno visto il loro apice
nel secondo volume della serie, qui sono sacrificati sull’altare di una
narrazione più ampia, che riassume la volontà precisa di Moore di concludere il
suo percorso personale di avvicinamento a Lovecraft.

Come al solito,
ogni capitolo è intervallato dallo “Zibaldone” personale, scritto fitto fitto
da Robert Black, una scelta narrativa di Moore che dimostra il suo talento non
solo a gestire una sceneggiatura a fumetti, ma anche a reinterpretare la
struttura spesso epistolare o sotto forma di diario, dei protagonisti delle
storie di Lovecraft. Trovo sempre fantastico come questo espediente narrativo,
serva a mostrarci i due volti del personaggio di Robert Black, uno che,
ammettiamolo, non è proprio un simpaticone e che nella pagine del suo diario
presenti in questo volume, risulta spesso più spavaldo che mai, come se
l’arrivo a Providence e il suo incontro con Lovecraft in persona lo avesse
galvanizzato. Se avete esperienza con i racconti di H.P. sapete già che appena
uno dei suoi personaggi alza la testa, di solito poi precipita tra la follia
nel peggiore dei modi possibili.



H.P. Lovecraft personaggio in una storia ispirata ad H.P. Lovecraft (tranquilli poi diventa più incasinato)

Non appena Moore
decide di inserire Howard Phillips Lovecraft come personaggio all’interno della
storia, automaticamente trasforma il tutto in un’operazione meta-fumettistica,
anche se è davvero bravissimo a farlo, all’inizio questa scelta pare quasi
obbligata, ma senza farci insospettire, Moore inclina sempre di più il
pavimento sotto i piedi di noi lettori, facendoci scivolare sempre più
all’interno della storia, in un luogo dove la parete che separa la finzione del
fumetto e il nostro mondo è sottilissima, spessa quanto le pagine che abbiamo
tra le mani e sfogliamo per leggere e, senza rovinarvi la lettura, non credo
sia un caso che le ultime vignette conclusive prevedano proprio delle pagine,
diavolo di un Alan Moore!

Una menzione
speciale la meritano i dialoghi, fate attenzione al modo ricercato di utilizzare
le parole che Moore fa con il personaggio di Lovecraft, che non chiama
mai il protagonista Robert, ma Robertus (giusto per fare un esempio) e come al
solito, giù il cappello di fronte alla cultura letteraria di Moore, in
pochissime vignette, quasi tutte lasciate sullo sfondo della storia, utilizza
il complesso (e posso dire anche morboso?) rapporto tra il solitario di
Providence e sua madre, come parte integrante della trama, contribuendo a far
diventare più sottile quella parete che divide realtà e finzione.
Lo ammetto
candidamente, la prima cosa che ho letto di Lovecraft in vita mia, sono state
larghe porzioni della sua biografia, inserite in testa alla mia prima raccolta
di sue storie che mi è capitato di leggere (per la nuda cronaca era “I racconti
del Necronomicon”), rimasi estremamente colpito dal tormentato rapporto di
Lovecraft con la madre, che tra le altre cose, costringeva lo scrittore a stare
in casa, convincendolo che il suo aspetto esteriore fosse orribile (la madre
dell’anno!). Ho sempre pensato che ci verrebbe fuori un film fantastico, una
roba degna di “Psycho”, per fortuna Alan Moore ha quasi assecondato il mio
strambo desiderio.



Un vignetta che mi ha fatto pensare a questo.

Tutti i
personaggi della storia hanno il loro caratteristico modo di parlare, infatti
in coda al volume, il traduttore dell’edizione italiana conferma in un breve
articolo, quanto sia stato complicato adattare per bene tutti gli accenti
utilizzati da Moore per i personaggi, in un’opera in cui la parola scritta è
anche più fondamentale del solito, perché è il vero virus con cui diffondere
l’infezione iniziata a Providence.

L’arco narrativo
di Robert Black si conclude con un colpo di scena improvviso che riporta in
scena l’inquietante Johnny Carcosa de “Il cortile”, lasciatemelo dire qui più
spaventoso che mai. L’ultima storia di Black piazzata a circa metà volume vi
farà venire il mal di testa, perché è la prova di quanto Moore possa davvero
fare ciò che vuole utilizzando il media fumetto, una storia spezzettata, tre
vignette per pagina ed ogni vignetta una sottotrama differente, il più delle
volte presentata in maniera non lineare, perché come abbiamo visto nel finale
di Neonomicon, il tempo quando si parla di storia di Lovecraft non procede per
forza in linea retta.



L’entrata in scena di un nuovo vecchio amico.

L’unico barometro
per cercare di non perdere completamente la via che Moore ci concede, è il
vinile sul grammofono, “You made me love you” di Al Jolson, cantata
successivamente anche da Dean Martin e Judy Garland, volete un’esperienza
davvero capace di entrarvi sotto pelle? Leggetevi questa porzione di volume con
il pezzo originale di Jolson e la sua cantata a tratti sghemba come
sottofondo, un esempio di musica fuori contesto che in contrasto con i disegni
di Jacen Burrows, vi darà davvero impressione di essere precipitati in un mondo
simile al nostro, ma molto più spaventoso.

Un po’ di musica e partiamo! (Brrrr…)

Nell’alternanza
di vignette apparentemente senza soluzione di continuità, Moore riporta in
scena l’evaso Aldo Sax, ormai completamente folle e la povera Brears con il
suo pancione, mentre i suoi colleghi cercando di ritrovarla, il disco “You
made me love you” continua a ruotare sul piatto e in un attimo ci
ritroviamo tutti ad Arkham, l’ultima città di Lovecraft che Moore non aveva
ancora inserito in questo suo viaggio verso Providence.

In queste sparse
vignette, Moore ne aggiunge anche qualcuna che disegnata sempre da Burrows, ma
che pare presa dalla nostra realtà e che mette in chiaro quanto l’influenza
dello scrittore di Providence abbia colpito la cultura popolare a tutti i
livelli, ho acquistato questo fumetto in fumetteria, come faccio spesso e se
ne frequentate, probabilmente anche la vostra ha una parete dedicata ai Funk
Pop. Ecco, dopo aver letto questo volume, penso che non potrò mai più guardare
quelli dedicati a Lovecraft e, in generale, il merchandising ispirato allo
scrittore con gli stessi occhi.



Ecco un buon modo per farmi smettere di spendere soldi.

Ho trovato
geniale il modo in cui Moore abbia saputo riflettere sul fatto che l’archetipo
narrativo della cittadina americana che nasconde dei misteri, creata da Lovecraft
con Arkam sia diventato un modello nella narrazione americana, in un unico filo
rosso che passa da Payton Place per arrivare giù fino a Twin Peaks.

La narrativa
scritta e l’uso della parola servono a diffondere l’infezione, noi stessi
leggendo senza accorgercene, come Black, Sax e la Brears diventiamo parte della
storia, continuando a leggere, facciamo sì che la storia/infezione proceda,
scivolando sempre di più tra le fauci della follia ed è significativo che sia Moore che un altro Maestro di mia
conoscenza, abbiano utilizzato l’espediente della pagine (strappate) per
sottolineare la minima distanza tra finzione e realtà.
Non voglio
rivelarvi più di quanto non abbia già fatto, voltando le pagine e leggendo,
rendiamo inevitabile quello che è l’evento principale del volume, l’entrata a
gamba tesa definitiva di Moore nell’immaginario di Lovecraft, che qui si
permettere di scrivere la storia delle origini di un personaggio Lovecraftiano
piuttosto famoso, potreste a ver già intuito quale, ma quando uno dei personaggi
arriva a dire una frase del tipo “Ecco perché è quello con la fisionomia più
umanoide di tutti”, volevo mettere già il volume per applaudire, ma temevo che
dietro le pagine, mi sarei ritrovato anche io su di un pontile da qualche parte
ad Arkam.



Siete libero di pensare ad un famoso film di Roman Polanski, solo molto più grosso (e verdastro).

Ammettiamolo,
quella scena lì non era imprevedibile, fin dal finale di Neonomicon, ma è talmente riuscita e la scelta delle inquadrature
fatta da Jacen Burrows talmente azzeccata da risultare potentissima, inoltre
non è la prima volta che Alan Moore utilizza un espediente meta-narrativo nelle sue storie, ma fino ad ora si era
sempre limitato al mondo dei fumetti, qui invece ha osato di più, ovvero
utilizzare la sua enorme conoscenza del lavoro di Lovecraft, per entrare a
Providence da conquistatore, eppure con manifesto rispetto per il materiale
originale.

Quindi, Moore non
ha solo reso millimetrico il muro che separa la nostra realtà dal mondo di
H.P. Lovecraft, ma anche quello tra i fumetti e la letteratura, d’altra parte
soltanto il mago di Northampton poteva trovare una strada per arrivare fino a
Providence.



Qui trovate il resto dei volumi commentati:
Neonomicon
Providence Vol. 1
Providence Vol. 2
Providence Vol. 3
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