PULP 〈pḁlp〉1. Tipo di film e di cinematografia che tratta temi come il sesso e la violenza, affrontandoli con uno stile aggressivo ma spiritoso, e dando quindi l’impressione di non partecipare del tutto a quel che si rappresenta. 2. Romanzo popolare ricco di colpi di scena e di esibizioni esagerate di violenza e di sangue, spec. con riferimento a una specifica linea della letteratura statunitense della fine del sec. 20°.
Ve lo ricordate quando ad un certo punto è diventato tutto Pulp? Se eravate in circolazione non potrete certo dimenticarlo, l’aggettivo più in voga per una grossa fetta degli anni ’90 anche se la verità è più concreta: se non proprio la vita, almeno la carriera è stato Tony Scott a salvarla a Quentin Tarantino, tornato indietro armato di Katana come Butch.
Se Tarantino avesse esordito alla regia con Una vita al massimo, un film personalissimo che conteneva già tutte le sue passioni e le sue ossessioni, avrebbe raccontato la trama a capitoli non lineari, mescolati tra di loro e si sarebbe bruciato una delle (tante) caratteristiche che hanno reso grande il suo “Pulp Fiction” nel 1994. Tony, lo Scott giusto ha diretto True Romance nel modo migliore possibile, evitando ad un regista ancora inesperto di bruciare le tappe, in modo che potesse farsi le ossa e colpire il mondo del cinema con un montante al mento con tutta la forza del suo film d’esordio, Le Iene.
A quel punto, dopo essersi messo sulla mappa geografica del cinema che conta, il regista di Knoxville nel Tennessee, anche grazie a Tony Scott, al suo amico e collaboratore Roger Avary (un giorno capiremo che è successo tra quei due, ma forse solo loro due lo sanno… Comincio a parlare come Mia Wallace) e al produttore Lawrence Bender, Tarantino ha potuto dirigere il suo film della vita, di nuovo, nelle condizioni migliori possibili perché il mondo capisse la forza del suo cinema, e in linea di massima, così è stato.
Difficile trovare qualcosa di innovativo da dire su “Pulp Fiction” a trent’anni esatti dalla sua uscita, una bomba H sganciata sulla cultura popolare che ancora oggi, non ha avuto nessun eguale nel cinema occidentale. Non solo di colpo l’aggettivo più in voga era “Pulp”, persino l’insalata che ordinavi dopo il 1994 era “Pulp”, ma nel bene o nel male, con questo film lo stile di Tarantino si è imposto, diventando nuovo idolo, da amare, odiare o imitare, anche da una selva di debosciati che di “Pulp Fiction” hanno capitolo solo: fai parlare i personaggi a ruota libera di robe relative alla cultura Pop, e poi falli morire male tra un «Fuck» e una revolverata e sarai Tarantino. Eh no gente, non funziona proprio così, è la capacità di quelli bravi per davvero di far sembrare facile qualcosa che non lo è, ci vuole uno bravo per rimescolare, reinventare e creare un Classido fondamentale come questo.
Analizzato centimetro per centimetro, “Pulp Fiction” potrebbe essere uno dei film che ho visto più volte nella mia vita, in adolescenza tutti i miei amici sapevano della mia fissa per Tarantino e a loro volta ne sono rimasti invischiati, scusate ragazzi, colpa mia lo so. Il film me lo sono rivisto in occasione di questo compleanno, non perché ne avessi davvero bisogno, ma come sempre per puro piacere, mi ha colpito come un macigno ricordarmi di quante volte, nella mia vita e nell’arco degli ultimi trent’anni, io abbia risposto a qualcuno usando una frase pescata da qui, come le chiamo io “Citazioni involontarie”, quelle che entrano a far parte della tua parlata quotidiana. Ho risposto «Vado a momenti» quelle volte (non tante) in cui si sono complimentati, oppure un po’ da fanatico, ho fatto il Fonzie (e com’è Fonzie? Quieto) dicendo «Un “per favore” sarebbe carino», potrei raccontarvi anche di quella volta in cui ho vinto una scommessa grazie al «Ho detto che botta cazzo! Cazzo che botta!» di Mia Wallace, ma la Bara va in onda la mattina presto e questa è una storia per la seconda serata, ma il film è tutto così, a salire, fino a quei passaggi dei dialoghi che ormai sono memoria condivisa, tessuto stesso della cultura Pop.
Non c’è una canzone recuperata da Tarantino nella colonna sonora che non sia diventata spesso, jingle per la pubblicità o ritornata in auge un po’ come la carriera di John Travolta, sempre enormemente stimato da Tarantino per i suoi ruoli diretto da De Palma, ma di tutto questo, sapete tutto, perché non credo esista un singolo film più analizzato, sviscerato o citato di “Pulp Fiction” nei primi trent’anni del suo onorato servizio come pietra miliare della storia del cinema, inutile girarci attorno, di questo stiamo parlando.
Con Tony Scott e tutti i suoi compari a fargli da scudo, Tarantino ha avuto modo di rivedere e migliorare una sceneggiatura che si è alimentata di tutto quello che il ragazzo di Knoxville ha mangiato (Royal con formaggio), fumato (nel periodo in cui ha vissuto ad Amsterdam come Vincent Vega, girava con il suo plico di fogli in divenire sotto il braccio, storia vera), scopato e visto nella videoteca in cui lavorava. Tanti lo strangolerebbero Tarantino, e va detto, molti dei suoi fan(atici) che lo idolatrano per partito preso, ripetendo a pappagallo quello che dice lui senza avere la curiosità di approfondire, non depongono certo a sua favore, ma per me è stato un’illuminazione, per la prima volta e in maniera spudorata, avevo trovato qualcuno che condivideva la mia passione per il cinema tutto, senza distinzione da snob tra “alto” e “basso” all’interno della cultura, i generi o il contenuto stesso dei film.
Ho sempre cercato su questa Bara di trattare tutti i film in uguale misura, che fossero B-Movie o classici conclamati amati anche dai cinefili con la pipa e gli occhiali. Tarantino da parte sua ha continuato una tradizione iniziata da Spielberg e François Truffaut, tra New Hollywood e Nouvelle Vague (la scena del Twist è un omaggio al ballo di “Bande à part” del 1964 di Jean-Luc Godard, il non riuscire a pronunciarlo giusto di Tarantino ha determinato il nome della sua compagnia di produzione, A Band Apart, storia vera) però calando il tutto in quella dimensione di «Cazzo ‘fanculo Jack!» BANG BANG BANG! In grado di arrivare a tutti, perché percepita come popolare, come i romanzacci Pulp finiti nel calderone citazionista di Tarantino.
Ecco le citazioni, ormai siamo conciati proprio male, con opere che non rielaborano nulla, ma vivono e muoiono sull’effetto malinconia, butta dentro una scena che ricorda qualcosa amato dal pubblico e sarai a cavallo. Un impoverimento di cui Tarantino non è diretto responsabile, ma fa tutto parte di quello che il grande pubblico ha capito del suo cinema (in buona sostanza, gente che dice le parolacce e si ammazza), ma che parte da uno spunto nobilissimo, che in una parola da cinefili potremmo definire post-modernismo, ma che se fatto con il cuore dal lato giusto da persone con grande cultura cinematografica, di solito crea icone. “Pulp Fiction” ha fatto per gangster e criminali dei romanzi Pulp, quello che Spielberg e Lucas avevano fatto con i serial della Republic Pictures, il risultato è senza girarci attorno, fantastico.
Quando sembrava che tutte le storie fossero già state raccontate e che “nessuno inventasse più nulla”, proprio senza inventare, Tarantino nel 1994 ha fatto qualcosa di difficilissimo, ha reinventato la ruota o forse, ha semplicemente ricominciato a farla girare. Prendendo elementi noti li ha ristrutturati come un artigiano avrebbe fatto con un mobile d’epoca rendendoli modernariato, di nuovo alla moda e pronti per un altro paio di generazioni. Lo stesso Tarantino ciurla nel manico quando sostiene che i film meno “realistici” della sua produzione, i vari Kill Bill e Django Unchained, sono i film che i suoi personaggi di “Pulp Fiction” o Le Iene, andrebbero a vedere al cinema, un modo molto “pop” di guardare all’universo di storie da lui stesso create, ma anche la frase di un uomo molto intelligente che sapeva di stare giocando a carte scoperte.
Dopo il 1994 si sono concentrati tutti sul “Pulp” dando per scontata la “Fiction” che è altrettanto importante, fin dal titolo Tarantino ci ricorda che è tutta finzione, infatti le mai davvero sopite polemiche sulla violenza hanno cittadinanza solo perché nel frattempo, arrivavamo da un’infornata di titoli “Praticamente innocui” (cit.) e avvolti nel pluriball per non urtare la sensibilità del pubblico. Ogni volta che vado a rivedermi “Pulp Fiction”, e come avrete immaginato in trent’anni mi è capitato spesso, mi colpisce il fatto che le pistole di Jules e Jim, no scusate, Jules e Vin quando falciano “Frangettone” Brad, non abbiano nemmeno il classico lampo dei colpi a salve, ma “sparino” solo grazie al montaggio sonoro, dei Bang per finta, anche se tutti sono stati colpiti in faccia più dalle sirigante di adrenalina nel cuore, dai retrobottega dove si va a svegliare lo “storpio”, o beh, da Marvin, lui si colpito in piena faccia sul serio.
“Pulp Fiction” è un grosso gioco, in cui ogni scena rimanda ad altro, in cui il “Pulp” ha lo stesso peso della “Fiction”, perché il pubblico si è tanto concentrato sulla struttura a capitoli, quella che in un montaggio lineare, avrebbe avuto in «Chi è Zed?», «Zed è morto piccola… Zed è morto» la sua frase finale, cavalcata verso il tramonto (su una moto, anzi no un Chopper) prima dei titoli di coda. Che a ben pensarsi, è un po’ il padre nobile di quei vari “Mindfuck” (per utilizzare un giovanilismo che mi si addice poco) che piacciono tanto al pubblico, avremmo mai avuto “Memento” senza che il pubblico fosse prima passato da “Pulp Fiction”?
Tarantino muove la mano, e in quell’agitare di dita (per altro tipico del suo frenetico gesticolare quando parla, ed è uno che parla tanto) il pubblico vede cose, che in realtà, sono puro e semplice cinema, un esempio che semplicizza una frase iniziata in salita, eccolo: quanti amici conoscente che hanno fantasticato sul contenuto della valigetta? Su quella luce quasi divina che emana? Io tanti, qualcuno sosteneva fosse droga, altri l’anima di Marsellus Wallace (Eh!?), chi i film li guarda per davvero saprebbe dirvi che è un omaggio alla valigetta luminescente di “Un bacio e una pistola” (1955) di Robert Aldrich, ma più in generale si tratta del trucco più vecchio del mondo, anzi, del trucco Hitchcockiano più vecchio del mondo, il MacGuffin. Una mossa abile di sceneggiatura cinematografica, non importa davvero cosa contenga il MacGuffin, quello che conta è che faccia cominciare la storia, in questo caso quella di “Pulp Fiction”.
Un film che è puro cinema ad ogni scena, trovata, acconciatura o pezzo selezionato per la colonna sonora, dentro ci trovi senza soluzione di continuità Godard e Sonny Chiba trattati con lo stesso livello di amore e rispetto che entrambi meritano, in un trionfo della “Fiction” a servizio del “Pulp”. Se cerchi “Ezechiele 25:17” sulla Bibbia, non ci trovi: il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colu… Basta altrimenti ve la recito tutta (potrei farlo, lo sapete), se volete trovare quella citazione, dovrete cercarla in “Karate Kiba” (1976) perché un cinefilo in fissa con il Maestro Chiba, cita una Bibbia tutta sua che non può che essere basata sul cinema. Sacrilego? No, solo un’altra forma di passione religiosa.
In trent’anni tutte le “valigetta” di “Pulp Fiction” sono state aperte e svelate (tranne una), mi colpisce ogni volta il modo scientifico con cui Tarantino abbia saputo fare leva sui ricordi condivisi che solo la settima arte sa creare, riuscendo a crearne altri. Fa sorridere, di un umorismo nero, il modo in cui per sottolineare l’importanza dell’orologio d’oro di Butch, di colpo sul film venga sganciato un prologo che sa di intermezzo, con la sua scomoda storiella di tradizioni padre-figlio, il colpetto di genio consiste nell’affidare quel monologo a Christopher Walken, che tutti sappiamo, secondo il canone cinematografico, esserci stato per davvero in Vietnam, capito il giochino no?
Da qui vale tutto, soprattutto creare nuova iconografia partendo da quella vecchia, ora tutti ricordano, e probabilmente ricorderanno per sempre la prima uscita a cena tra Vincent e Mia, le regole del gioco prevedono che il cappotto, il cui contenuto della tasca determinerà la fine della serata, sia un omaggio a quello che indossava identico Gastone Moschin in Milano calibro 9, che poi è il punto di origine della lunga sequenza dell’uscita tra i due, solo con Uma Thurman al posto di Barbara Bouchet.
Allo stesso modo l’improvvisto e del tutto inaspettato cambio di scenario, dettato dalla scena del retrobottega rievoca lo sconvolgimento della scena di stupro di Un tranquillo weekend di paura, colpendo in maniera inattesa proprio come fece il pubblico nel 1972 il film di John Boorman, con la differenza che qui di colpo, veniamo trascinati da un film di gangster che fanno le loro cose da gangster, in una sorta di “Rape & Revenge” del tutto inatteso. Ma potrei andare avanti per ore, perché i 154 minuti di “Pulp Fiction” sono questo, un modo sincero e onesto di restituire al pubblico quella “Fiction” che era rimasta a prendere polvere, inutilizzata, e che aspettava solo un fanatico di tutta quella bella robina “Pulp” come Tarantino per tornare a giocarci.
Quello che critico sempre a molti fan(atici) di Tarantino è proprio questo, la totale mancanza di curiosità davanti a tanti, tantissimi spunti forniti da un regista che non cita e basta, ma rielabora. Trovo tedioso come molti che idolatrano Tarantino, si limitino a citare lui senza approfondire, ecco perché siamo scivolati con tutte le scarpe in una produzione generalizzata che vive e muore sulla citazione fine a se stessa. La verità è che dopo trent’anni, lo stiamo ancora spettando qualcuno che come Tarantino, sia capace di dare un bello scossone all’albero, giocando con il cinema come è riuscito a fare il regista di Knoxville, che con un manifesto amore per la settima arte a tutti i livelli, senza classismo o divisione tra cultura “Alta” e “Bassa”, ha messo in chiaro che tra la Bibbia, e la Bibbia citata dal Maestro Sonny Chiba, lui ama molto di più la secondo e come Carradine in “Kung-Fu” è in missione per essa, anche da prima del 1994.
Tanto vale che io la chiuda qui, perché il rischio mettendo “Pulp Fiction” e il vostro amichevole Cassidy di quartiere nella stessa Bara, consiste nel trasformare il tutto in una gara di citazioni, una caccia all’omaggio o a chi ricorda più parole del copione, non sfidatemi, vi sto soltanto dicendo che è pericolosissimo spingere al massimo una macchina da corsa, tutto qua. Quello che mi preme sottolineare è come, preso e analizzato centimetro per centimetro, non credo esista un altro film, di sicuro non uno uscito negli ultimi trent’anni, che abbia sfornato così tanta nuova cultura “Pop” tutta insieme e nello stesso momento.
“Pulp Fiction” ha sfornato modi di dire, personaggi, modi di ballare, di fare i massaggi ai piedi, gadget, materiale per cosplayer, cinefili, detrattori, appassionati, insomma un enorme calderone che non è ancora stato minimamente eguagliato, come avrebbe detto il profeta: pulp, molto pulp, pure troppo.
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