Il bello di questo periodo dell’anno è che c’è un sacco di zucca da mangiare, la puoi usare nella minestra, ci puoi fare i tortelli, oppure puoi ricordarti che la Bara Volante non è un blog di cucina ma di cinema e festeggiare i primi trent’anni di Pumpkinhead!
Ora, mi ero messo d’accordo con Lucius per festeggiare questo compleanno in maniera congiunta, ma per colpa del mio palinsesto ho dovuto saltare, quindi per prima cosa vi suggerisco di fare un salto sul Zinefilo per tutti i film dedicati al nostro amico Zuccotto! Ed ora facciamo le personcine serie, se festa di compleanno dev’essere, ci vuole un po’ di musica quindi… Sigla!
Pumpkinhead tra tutti i mostri degli Horror degli anni ’80 è sempre stato uno dei più sfortunati, basta dire che in uno strambo Paese a forma di scarpa di mia e vostra conoscenza, questo film non è mai uscito e per essere proprio sicuri che a nessuno venisse in testa di evocare il demone per sguinzagliarlo contro i propri nemici, nemmeno il suo seguito “Pumpkinhead II: Blood Wings” (1993) è mai arrivato. Per uno di quei casi più unici che rari, “Zuccotto” ha fatto il suo esordio partendo direttamente dal terzo capitolo e soltanto nel 2006 con “Ceneri alle ceneri – Pumpkinhead 3” (Pumpkinhead: Ashes to Ashes) o con il suo seguito “Faida di sangue – Pumpkinhead 4” (Pumpkinhead: Blood Feud) del 2007. Trent’anni da illustre sconosciuto in un Paese dove le zucche di Halloween sono diventate normalità da una manciata di anni o poco più.
Anche se, a ben guardare, “Zuccotto” qualcosa di italiano lo ha anche nelle vene, infatti si tratta di uno degli ultimi film prodotto da Dino De Laurentiis poco prima del crollo verticale della sua casa di produzione, un disastro annunciato anche dall’arrivo di questo film che è il classico titolo che sulla carta nasce perfetto, purtroppo per noi e per Dinone De Laurentiis i film non si fanno solo sulla carta.
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«Tieni, questo è tutto il budget che abbiamo per il film, non ho altro dannazione!» |
“Pumpkinhead” nasce come poema scritto da Ed Justin che si rifà al folklore della tradizione, anche se il nome molto probabilmente lo dobbiamo a L. Frank Baum che lo citava già ne “Il meraviglioso mago di Oz” (1990) ed in effetti, ora che ci penso, anche nel film del 1985 di Walter Murch Nel fantastico mondo di Oz, uno dei personaggi era l’antesignano del nostro Zuccotto.
Che, però, non ha niente a che vedere, almeno nell’aspetto, al mitico Merv Pumpkinhead di Sandman, verrebbe da pensare che questa versione del personaggio sia farina del sacco (o dell’orto, trattandosi di una zucca) del regista del film, non proprio l’ultimo della pista, sua Maestà Stan Winston!
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Un genio alle prese con la sua creatura più sfortunata. |
Già, perché se hai curato gli effetti speciali di cosette come Terminator, Aliens – Scontro finale, Predator e Jurassic Park (scusate se è poco!) e la regia di questo film, è automatico fare due più due (che grazie ad una conta fatta sulle dita, mi pare faccia quattro) immaginare che gli effetti speciali siano un’altra magia del grande Winston… Ciccia! Non è andata esattamente così.
La sceneggiatura del film affascina il grande Stan contattato per occuparsi degli effetti speciali e del design del demone, ma Winston accetta di occuparsene solo ad una condizione: sarà lui stesso a dirigere il film (storia vera). Il che, sempre sulla carta, è una buona idea, un soggetto semplice per dare la possibilità ad un grande tecnico degli effetti speciali che è stato su parecchi set illustri, di esordire anche alla regia peccato che il grande salto per Stan non è stato così semplice, non potendo seguire il reparto effetti speciali come si deve, dopo aver realizzato il design del mostro, pensò di passare la realizzazione vera e propria ma soprattutto l’animazione del Demone durante le scene da girare, ai suoi fidati collaboratori per concentrarsi solo sulla regia e qui iniziano ai casini!
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Ridete, ridete… Ma che cacchio ridete, qui sta per consumarsi una tragedia. |
Nelle intenzioni di tutti, specialmente di Dino De Laurentiis, “Pumpkinhead” non è il solito horror con un mostrino che va in giro ad ammazzare adolescenti, è un dramma pieno di pathos, dove la creatura si vede pochissimo, una roba quasi alla Alien per capirci. Ecco, nelle intenzioni, perché di fatto, poi, il film è diviso in due netti tronconi: una prima metà sostenuta quasi interamente da quel mito di Lance Henriksen che si carica letteralmente la pellicola sulla spalle, la seconda è quella dove finalmente “Zuccotto” si scatena e non appassiona nemmeno se Henriksen le prova davvero tutte per tenere alto l’interesse del pubblico, ma andiamo per gradi.
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“Vieni Lancino mio, stiamo vicini vicini” , “Ripley dove sei?”. |
Come cantano i Misfits, nel loro pezzo dedicato al film in testa al post: “Questa è la storia di un brav’uomo di nome Ed (Lance Henriksen) che lascia il figlio solo per poco e torna per trovarlo morto”. Anche se l’inizio vero e proprio di “Pumpkinhead” è un flashback ambientato nella campagna rurale americana, quando nel 1957, il giovane Ed barricato nella fattoria di famiglia, ha sentito parlare per la prima volta del demone noto come Pumpkinhead, anzi lo ha proprio visto portarsi via un povero cristo che grattava la porta di casa in cerca di aiuto.
Cresciuto, immagino con qualche trauma, Ed Harley è il proprietario di un negozietto, ma anche il padre del piccolo Billy, classico ragazzino dei film, tutto occhiali e buone maniere, uno di quei personaggi che ti fan quasi venire voglia di paternità, almeno fino al momento in cui non vedi arrivare un gruppo di adolescemi, pardon, adolescenti con le loro moto a scureggetta, che ti ricordano che dopo l’infanzia arriva l’adolescenza e che forse è meglio prendersi un cane. Cosa che Ed tecnicamente ha anche già fatto, visto che oltre al figlio Billy, ha un cane di nome Gypsy che non è mica un cane qualunque, è lo stesso cane attore (da non confondere con gli attori cani che, comunque, in questo film non mancano) che aveva già interpretato Barney, il cane del protagonista di Gremlins (storia vera), insomma non proprio un cagnetto destinato a starsene comodamente a ronfare sul divano, ecco.
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«Umani, qualunque cosa decidiate di fare, non bagnatelo con l’acqua, io ve lo dico, finisce male!» |
Ma passiamo dal cane attore, ai già annunciati attori cani: la banda di adolescenti che recitano uno peggio dell’altro, il più rappresentativo di loro, è tipo il campione del mondo delle sberle che ti darei (presto specialità Olimpica) che con la sua moto a scurreggetta sgomma, inchioda e va a manetta e fa cagare addosso i Matusa (e i governi), fino al momento in cui la moto non becca in pieno, oddio in pieno, abbastanza in pieno, il piccolo Billy ferendolo a morte. Le dinamiche non sono molto chiare, evidentemente Stan Winston stava ancora cercando di capire i rudimenti del montaggio.
Supergiovane per via di alcuni trascorsi simili, convince tutti al gesto eroico: «Curagi fioi scapuma!» che per chi non lo sapesse è una tipica espressione dell’Oregon, dell’Oklahoma, dell’Ohio o di dove cacchio è ambientato questo film, non lo so non è chiaro. Comunque se la danno a gambe tutti, tranne Steve che si ferma per fare la brutta notizia al padre del ragazzo che, in tutta risposta, si becca uno sguardo di brace da parte di papà Lance Henriksen, sotto con il capitolo Lance!
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«Se gli sguardi uccidessero, tu saresti morto mercoledì scorso» |
Il mitico Bishop qui se la comanda vivendo di prepotenze, un’intensità che nemmeno tutti i ragazzini (e pure il cane!) messi insieme riescono a raggiungere anche ad impegnarsi, quello che funziona del primo tempo di “Pumpkinhead” lo dobbiamo quasi esclusivamente a Lance Henriksen costretto, purtroppo, a recitare una trama che è abbastanza banalotta e ben poco memorabile.
Anche perché dopo aver corrotto il figlio del fattore, Ed si fa dare l’indirizzo di casa di una vecchia strega incartapecorita che sembra la sorella del guardiano del ponte di Monty Python e il Sacro Graal interpretato da Terry Gilliam. La vegliarda è il ponte (ah-ah!) tra Ed e il suo ricordo di quel demone visto da bambino (e ad inizio film), non potrà riportare in vita sua figlio, ma almeno potrà vendicarsi di quelli che lo hanno ucciso. Per farlo la vecchia dice ad Ed di andare nel vecchio cimitero e portarle un vecchio corpo che insieme al sangue di Ed e di suo figlio, improvvisamente apre gli occhi e inizia la sua opera di morte: Pumpkinhead è di nuovo tra noi!
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Sembrano fratello e sorella separati alla nascita. |
Ora io vorrei dirvi che da qui inizia il bello, purtroppo tra momenti illustrativi in cui ci viene spiegato per filo e per segno quello che abbiamo già capito sulla natura del demone, “Pumpkinhead” s’impantana in un ritmo non proprio brioso. Avete presente quei film in cui ti ritrovi a guardare lo schermo pensando a quanto pane devi compr… No, il film, mi sto distraendo. Servirà comprare anche il latt… Il film! Ecco, con “Pumpkinhead”, purtroppo, va così. Hai Lance Henriksen in versione “Papà incacchiato”, un mostro realizzato piuttosto bene con effetti speciali orgogliosamente vecchia scuola e una serie di odiosi adolescenti a fare da carne da cannone, come fa tutto questo a non intrattenere come si deve? Eh, purtroppo, ci riesce.
Il design di Pumpkinhead, anche se il suo grosso testone lo fa sembrare più uno degli Xenomorfi di Alien che un mostro con la testa di zucca, mentre guardavo il film mi sono ritrovato a pensare, oltre al pane e al latte da comprare, anche al fatto che la trama sembra pensata a tavolino per sfornare dai dodici a ventisei seguiti fotocopia. Pensateci: basta prendere un personaggio che subisce un torto e alcuni bulli odiosi di turno, interpretati da attori di volta in volta meno famosi, per tenere basso il budget di un’ideale millesimo seguito, molto probabilmente destinato solo al mercato dell’home video e lasciare che “Zuccotto” spunti fuori a massacrare tutti. Sul serio, perché questa saga non è arrivata a sfornare “Pumpkinhead 26 – Massacro alla svendita di Natale”.
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Oppure anche “Pumpkinhead 27 – Scontro finale”. |
Questo non è accaduto, non di certo per una mancanza d’intensità da parte di Lance Henriksen, quando più che altro alla poca esperienza come regista di un semidio degli effetti speciali come Stan Winston. Alla fine il vecchio Stan fa un errore comprensibile, nelle intenzioni “Pumpkinhead” doveva essere una specie di Alien, ma la tensione latita è tutto si riduce ad un cattivo fatto alla grande, ma pur sempre di gomma, che uccide alcuni personaggi di cui non ci importa nulla, traduzione: Coinvolgimento zero.
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Questa vita è una catena (della moto) qualche volta fa un po’ male (Quasi-cit.) |
Da bravo creatore di mostri Stan Winston, pecca di troppo amore, ci mostra il mostro (non potevo resistere alla ripetizione) con buona pace della tensione, dell’escono dalle fottute pareti di Aliens – Scontro finale che poteva contare su solo sei costumi di gomma da Xenomorfo, ma sembravano comunque un milione perché James Cameron sapeva come centellinarli. Però non facciamone una colpa a Stan, mito degli animatronici a cui dobbiamo tanti bellissimi ricordi che, in compenso, si è rifatto con il suo secondo film da regist… No, meglio dimenticarci di “Lo gnomo e il poliziotto”, (1990) anche se per la mia rubrica Strambi Sbirri potrebbe essere un buon candidato!
Peccato perché si perdono momenti anche molto buoni, tutti legati proprio agli effetti speciali, ad esempio, quando Ed scopre di essere legato a “Zuccotto” quasi come durante un rito Voodoo, ogni ferita riportata dal mostro, ha ripercussioni anche sul suo corpo e viceversa, fatto che diventa fondamentale per la risoluzione finale e che viene sottolineato in un momento in cui la faccia di “Pumpkinhead” diventa sinistramente somigliante a quella di Lance Henriksen l’uomo che lo ha evocato, considerando quando sia già inquietante lo sguardo di Lance, vi lascio immaginare l’effetto finale!
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“No è vero che coltivo Marijuana! Giusto un po’ ad uso terapeutico!”. |
Malgrado i difetti e il dettaglio (da niente!) che da 30 anni questo film è inedito in uno strambo Paese a forma di scarpa, il nostro amico Zuccotto è diventato un’icona della cultura popolare lo stesso, su di lui esistono fumetti della Dark Horse Comics, un videogioco intitolato “Bloodwings: Pumpkinhead’s Revenge” del 1995 e appunto la canzone dei Misfits che ho messo all’inizio del post. Insomma, niente male per uno che è stato così maltrattato, dal suo regista, al botteghino e dalla nostra distribuzione, forse alla fine aveva ragione Ed Justin nel suo poema, non si può sfuggire dalla vendetta di Pumpkinhead. Auguri testa di zucca!