Miei cari burattini satanici, benvenuti al secondo capitolo delle malefatte dei seguaci di Chucky, i vendicatori di Pinocchio, gli incubi di Mastro Geppetto. Quinto Moro prosegue la rubrica su Puppet Master!
Girato con 780.000 verdoni, il film risulta più lineare ma anche più solido nella messa in opera rispetto al primo: un buon campionario di ammazzamenti, qualche scena in esterni, una trama più semplice e meno misteriosa, ma dai risvolti più interessanti e tragici. Il titolo è davvero figo, “His unholy creations” suona tipo “le sue creazioni blasfeme” e punta forte sugli ammazzamenti fantasiosi delle marionette, ma anche sul loro creatore, il redivivo Andre Toulon.
Appena un anno dopo il primo film, ben accolto nel mercato home video, Charles Band e la neonata Full Moon sparano il secondo capitolo delle marionette assassine, rigorosamente direct-to-video. Il budget è quasi raddoppiato, principalmente perché se metti in mano il progetto al tizio della stop-motion, spenderà tutto per quella. Infatti il mastro burattinaio ed effettista del primo film, David Allen, è promosso dietro la macchina da presa, per una specie di esame o di accordo tra gentiluomini. Allen aveva trovato in Charles Band il produttore visionario con cui sperava di realizzare il fantascientifico “The Primevals”, un suo soggetto originale con tonnellate di stop motion. Band propose ad Allen di dirigere anzitutto Puppet Master 2 per vedere come se la cavava a gestire un film intero, oltre a farne il supervisore agli effetti in decine di film della Full Moon. Dopo la scomparsa prematura di Allen nel ’99, Band fece di tutto per realizzare “The Primevals”, distribuendolo solo nel 2023, dopo appena mezzo secolo dalla nascita del progetto. Ma questa è un’altra storia.
Allen vuol bene ai suoi pupazzi, e in Puppet Master 2 riesce a dar loro una personalità sempre più definita, facendoli recitare con movenze e smorfie che per quanto legnose, sono nettamente più espressive di quelle del cast umanoide e vagamente cinofilo (più che un cast di attori qua c’è una muta di cani).
I burattini non sono più il contorno ma diventano motore della storia: delusi dal loro ultimo (o penultimo?) padrone, rivelatosi un vero stronzo, decidono di riportare in vita chi li ha creati. Affidandosi alle forzute braccia del novello scavafosse Pinhead (no, non quel Pinhead), il cadavere di Andre Toulon viene riesumato in una scena che è puro horror di serie b, di quella buona: braccia scarnificate che emergono dalla tomba al chiaro di luna.
Questo sequel introduce la malattia infettiva che resterà appiccicata alla saga per il decennio a venire: i problemi con la continuity della storia. La vicenda cominciava nel 1939? Ritrattiamo, era il 1941. I personaggi del capitolo uno? Non ne sentirete parlare mai più.
Il Bodega Bay Inn è ormai disabitato, ha fama di luogo infestato e il Governo Federale non ha di meglio da fare che finanziare una squadra di studiosi del paranormale, con tutto l’armamentario di videocamere e monitor, per scoprire se all’hotel ci stanno davvero i fantasmi. Paranormal Activity vent’anni prima di Paranormal Activity? Macché, questi non si accorgono di Toulon che passeggia per l’albergo e coglie tutti alla sprovvista. Roba che in un altro horror morivano tutti al minuto 30.
Insieme all’età media del cast, è calato drasticamente anche il Q.I. A metterci una pezza è l’interpretazione del redivivo Toulon, a prima vista ridicolo, ma il costume alla Darkman fa la sua porca figura nonostante gli inguardabili occhialini da saldatore. Il doppiaggio di Fabrizio Pucci poi dà al personaggio una profondità ulteriore, mentre la recitazione di Steve Welles sotto la maschera è parecchio teatrale. Toulon è un po’ alchimista e un po’ scienziato pazzo, carismatico nonostante la ridondanza dei dialoghi.
La trama si infittisce quando il redivivo Toulon rivede nella studiosa del paranormale la reincarnazione della sua defunta moglie, un classico. Salvare le sue creature o rievocare lo spirito della moglie per vivere insieme felici e contenti? Perché nel frattempo scopriamo che i burattini non sono immortali, possono essere uccisi, ed hanno una vita limitata.
Ora, non vorrei scomodare la mitologia greca, ma i burattini sono praticamente il mito di Talos, come l’automa leggendario sono percorsi da una vena in cui scorre il miracoloso fluido che li anima, e da qui in poi il mito della resurrezione e della vita eterna sarà spesso al centro della saga.
Per sopravvivere, i burattini devono procurarsi materia cerebrale e frattaglie varie per gli esperimenti di Toulon, con risultati alterni visto che ogni tanto si lasciano prendere la mano, spappolando con troppa veemenza le vittime.
Nella prima parte ci sono abbondanti momenti da soap-opera soap-orifera, ma l’entrata in scena della mummia Toulon mette un po’ di pepe. Insopportabili i manzi americani da macello che sono puri stereotipi mascolini anni ’80, tipi ossessivi e wannabe hero pieni di “non voglio tu faccia, non voglio questo, non voglio quello” che ci manca poco prendano a botte le figliole che vogliono portarsi a letto. Se nel primo film i protagonisti ci facevano simpatia, qua si tifa alla grande per il burattinaio e le marionette.
La mattanza dà buone soddisfazioni, specie grazie alla new entry del pupazzo incendiario. Certo le scene di lotta tra umani e pupazzi sono ridicole e non poteva essere altrimenti, ma quando Torch parte col lanciafiamme regala soddisfazioni tra bambini arrosto e racchie affumicate.
In questo capitolo i burattini sono più centrali, più vivi e più animati che mai. Blade, gode delle più riuscite scene in stop motion e quando agita il coltello son soddisfazioni. Se i burattini sono la parte splatter, Toulon è la parte drammatica e romantica, da tragedia greca. Disposto a tutto pur di congiungersi al fantasma della defunta moglie ci regala un finale horror vecchio stile, cadaveri in decomposizione, trucco prostetico viscidissimo, e una mascherata finale con tradimenti, riti alchemici, intrugli verdi a base di frattaglie.
Questo secondo capitolo si prende decisamente più sul serio di ogni altro nella saga, vuol essere drammatico e a tratti ci riesce, peccato per quei dannati ciocchi di legno (gli attori, non i burattini). Resta un prodotto di serie B, ma è una B maiuscola.
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