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Puppet Master III – Toulon’s revenge (1991): arrivano i nazisti!

Charles Band non è solo uno di quei capitani coraggiosi del cinema di serie b, fatto con pochi mezzi e tanta passione. E’ pure uno a cui la lungimiranza non è mai mancata. Dopo averla presa alla lontana coi primi due capitoli della saga, nel terzo capitolo ha puntato tutto sul rosso, quello della bandiera nazista, perché si sa, ammazzare i nazi è un win-win senza se e senza ma.

“Puppet Master III: Toulon’s revenge”, da noi tradotto con l’insensato “Giochi infernali” chiude idealmente la trilogia della decenza, ovvero dei capitoli più creativi e più belli della saga. Da qui parte anche il filone dei prequel ambientati negli anni ’40, e questo è uno dei pochi (forse l’unico) che si impegna nella ricostruzione degli anni ’40. È in questo passato che la saga avrà il suo futuro.

In una Lione occupata dai nazisti, troviamo un attempato André Toulon che ha il volto luciferino di Guy Rolfe, da qui in poi volto “ufficiale” del primo burattinaio. Toulon tira a campare sbeffeggiando Hitler nei suoi spettacoli di marionette, tenendo fede al bizzarro mantra del “fare spettacolo per i bambini”, mettendo in scena un Fuhrer pisciasotto alla presenza di un molto americano pistolero a sei braccia e altrettante pistole: Six Shooter, l’ottima new entry tra i pupazzi della saga. Ovviamente lo spettacolo non piace al nazistello tra il pubblico che denuncia Toulon, non prima di aver fatto alcune interessanti scoperte sui suoi burattini “senza fili”, che io lo dico: ma santa pazienza, basare tutto lo sbugiardamento di Toulon con foto di burattini su uno sfondo nero… direi che “sospensione dell’incredulità” non rende l’idea. Ma stiamo al gioco ok? Giustifichiamo tutto col fatto che siano nazisti e dunque coglioni, altrimenti non ci si gode nulla di questo film.

«Ma chi è il nostro baffetto pisciasotto arrabbiato? Sei tu il nostro baffetto pisciasotto arrabbiato! Cucci-cucci-cù»

Il caso vuole che nella stessa città, a pochi quartieri di distanza da Toulon ci sia il mad-doktor di turno, il Dr. Hess al lavoro su un progetto per creare soldati zombi per il Reich. Certo che chiamarlo “progetto del commando dei morti viventi” non è solo da serie b, è da videogiochi di serie b. Ed ecco perché dico che Charles Band ci vedeva lungo: se c’è stato qualcuno prima di lui a pensare ai nazisti zombi fatemelo sapere. La sceneggiatura è tutta farina del suo sacco, ha anticipato i tempi sui nazi-zombi nell’immaginario cinematografico e in quello videoludico tra i vari “Wolfenstein”, “Sniper Elite” (con la serie spin-off Zombie Army) e “Call of duty” che hanno avviano praticamente un genere a sé. Si sa che sparare ai nazisti è sempre la cosa giusta da fare, ma Band l’ha capito prima di tanti altri.

Una cartolina con dedica speciale a Zio Romero

I nazisti vogliono il segreto di Toulon (futura costante della saga), e quale miglior modo per convincerlo a collaborare che ammazzargli la moglie? E’ così che da strumenti di gioia per i piccoli, i burattini diventano dei provetti scanna-nazisti con buona dose di schizzi di sangue. Ve l’ho detto che Band è uno che ci vede lungo, e in questo caso anticipa pure la brutta tendenza disneyana a trasformare i cattivi in eroi. O forse aveva solo intercettato la bizzarra trasformazione dei mostri in divi, avvenuta col serpeggiante successo di Freddy Krueger che alla soglia dei ’90 era praticamente una superstar, e tutti si aspettavano di vederlo schiacciare crani con la stessa allegria e tifo per le schiacciate a canestro di Jordan.

La sceneggiatura è abbastanza terribile, soprattutto i dialoghi, che stavolta non sono aiutati nemmeno dal doppiaggio. Gliela si può perdonare perché da qui in poi i burattini non saranno più malvagi che uccidono gente comune, ma “buoni e giusti” che ammazzano chi se lo merita. E chi se lo merita più dei nazisti?

Quando devi sparare a un nazista, e vuoi assicurarti di non mancare il colpo.

“Toulon’s Revenge” racconta l’origine di due marionette iconiche. Vediamo nascere Leech Woman, dal sangue di Elsa Toulon, il che ingarbuglia ulteriormente la continuity, ma si sa che la coerenza non è mai stato un tratto distintivo della saga. Per quanto riguarda Blade, con la sua maschera bianca, capello platinato e vestiario da Gestapo, è una vera e propria fusione di personaggi, una fusione di Toulon, del Dr. Hess e di quella faccia da schiaffi di Richard Lynch e del suo nazistissimo Maggiore kraus. È qui che ci viene spiegato un pezzetto importante della storia, su come le marionette abbiamo lo spirito, o quantomeno un eco, di persone morte – principalmente vittime dei nazisti.

Tre facce, tre anime per un burattino.

Della prima trilogia, questo capitolo è quello che ha goduto del budget più alto, e si vede soprattutto nelle scenografie, nei costumi ben curati, nella fotografia. La produzione ce l’ha messa tutta per non sembrare un prodotto direct-to-video. Negli 800.000 dollari spesi (più o meno il budget del caffè per un blockbuster) c’è tutta la maestria di chi fa della serie B un’arte. Le poche location sono sfruttate a dovere, con variazioni d’inquadratura che aiutano il riciclo degli scenari. Le atmosfere funzionano, il cast principale porta a casa il risultato pur con una sceneggiatura bruttarella, il cast di contorno è quel che è.

Al Dr. Hess di Ian Abercrombie tocca il ruolo di nazista poco convinto, a Richard Lynch la macchietta della Gestapo che deve farsi odiare – e caspita se ci riesce, a mani basse il miglior bastardo della saga. Guy Rolfe nei panni di Toulon fa quel che deve, convincente quando sfoggia sguardi e modi vendicativi. Tra l’altro Rolfe era apparso anche nel Dolls di Stuart Gordon, primo ispiratore di Puppet Master, ma è una bella sterzata rispetto al grigio vecchietto del primo film, e al romantico zombie sfatto del secondo.

Svelato il misterioso siero inventato da Toulon: il Botox!

Il regista David DeCoteau è uno dei nomi ricorrenti nella saga (ne ha diretti ben 4), col bagaglio di chi è stato imbarcato sulla bagnarola del cinema di genere nientepopodimenoché da Roger Corman, che lo prese come assistente di produzione appena diciottenne. Il passo indietro nella gestione dei burattini si avverte, col budget consumato da scenografie e costumi ai burattini restano le revolverate di Six Shooter, che si mangia la scena sugli altri burattini ancora acerbi, ingessati in una stop motion quasi azzerata. Sul lato puramente horror il film se la gioca in pochissime scene, nelle brevissime apparizioni dei morti viventi (promosse), mentre gli ammazzamenti dei burattini sono piuttosto fiacchi, ma il finale con ganci e catene in stile Hellraiser dà piena soddisfazione e giustifica il titolo del film.

Se è nazista, impiccalo più in alto.

La cosa incredibile di certo cinema di serie b, oltre allo straordinario tempismo nel fiutare il momento, nell’intercettare gusti e stili dei successi della propria epoca, è l’anticipare certe tendenze. “Toulon’s revenge” è un solido prequel nell’epoca in qui i prequel non erano ancora la regola per rilanciare o ravvivare saghe più o meno morte, più o meno prive di idee.

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