Lo scorso 13 di aprile ci ha lasciati il grande Miloš Forman, avrei voluto scrivere qualcosa, ma siccome stavo in mezzo agli scatoloni del trasloco sono andato un po’ lungo, motivo per cui mi sembra il caso di rendere omaggio al grande regista e di far tornare in auge una rubrica che, sempre per via delle scatole, ha un po’ latitato: Cassidy cover your favorites!
È stato Vincenzo Bigonce a richiedere questo film, sarebbe stato carino accontentarlo in occasione più lieta, ma purtroppo la vita fa quello che vuole, quindi diamoci dentro, anche perché il film è uno dei miei preferiti. Sì, ok, lo so che uso questa frase tipo quattordici volte a settimana, ma è così sul serio!
Fine degli anni ’60, Ken Kesey è un ragazzone con due grandi passioni nella vita, la scrittura e la sperimentazione di certi quadretti acidi che messi sotto la lingua ti fanno vedere tutta una serie di cosette strane, una passione così trascinante per la mescalina e LSD che lo spinge a offrirsi come volontario per le sperimentazioni della CIA sugli effetti delle sostanze psicoattive sul cervello umano. Come finisce? Ve lo dico citando Elio: Psichedelica, tutti i neuroni ti porti via…
Ken Kesey, uno che è volato in posti in cui nemmeno Timothy Leary andrebbe mai. |
Kesey non sviluppa super poteri, non diventa nemmeno uno Scanners, ma le ore passate in ospedale a parlare con altri pazienti, più o meno sotto acido quanto lui, lo fanno arrivare ad una conclusione: i pazienti, etichettati come “Pazzi” sono quasi tutti individui rifiutati dalla società e parcheggiati per comodità sul nido del cuculo, uno dei tanti modi di dire Yankee per indicare chi è fuori di testa, in modo che non facciano danni.
Nel 1962 Kesey pubblica il romanzo frutto di questa esperienza, s’intitola “One flew over the cuckoo’s nest” e in un tempo ridicolmente breve diventa un clamoroso successo editoriale, sapete chi perde la testa per il libro? Robetta, solo uno dei più famosi attori della storia del cinema: Kirk Douglas.
Il vecchio Kirk a teatro, nei panni di McMurphy. |
Douglas s’innamora così tanto della storia da arrivare ad interpretare il ruolo del protagonista Randle Patrick McMurphy, a teatro, ma la sua fissazione è quella di farne un film, anche se sa di essere ormai troppo vecchio per la parte, quindi passa i diritti per la produzione del film al figlio Michael Douglas, al grido di: «Toh! Ragazzo, roba per te»
«Non posso passare direttamente alla bionda con il rompi ghiaccio invece? No? Mi tocca…» |
Ora, io lo so che siamo tutti un po’ abituati a pensare a Michael Douglas come uno che passa il suo tempo a fare sesso con donne molto più giovani di lui, oppure a pettinarsi i capelli come coach Pat Riley, però la carriera di produttore di Michael Douglas è iniziata davvero così e forse per il fatto che era ancora troppo giovane, per spassarsela con signora più giovani di lui, al nostro Michael viene l’intuizione giusta, per la regia di questo film ci vuole Miloš Forman. Vi lascio immaginare a quanti decibel sia arrivato il «CHIIIIIIII?» strillato dai produttori.
Miloš Forman arrivava dalla nomination all’Oscar come miglior film straniero per il suo satirico “Al fuoco, pompieri!” (1967) e da alcuni film nella sua nativa Cecoslovacchia, l’attuale Repubblica Ceca, uno che per età anagrafica ha avuto la sfiga di fare ancora in tempo a beccarsi le ultime manovre di Hitler nel Paese, ma anche le espulsioni dei non comunisti dal governo e i vent’anni di guida stalinista. Insomma, uno che i totalitarismi li ha conosciuti fin troppo bene e se nel 1968 l’aria nel Paese natale di Forman cambiava grazie alla primavera di Praga, Miloš stava per portare la stessa ventata di libertà nel cinema americano, cosa che poi avrebbe fatto per il resto della carriera, dagli hippy di Hair, passando per il talento ribelle e fuori dagli schemi di Amadeus per arrivare ai provocatori scomodi come Larry Flynt (“Larry Flynt – Oltre lo scandalo” 1996) ed Andy Kaufman (Man on the Moon), ma tutto inizia con Randle McMurphy per il quale, però, non è ancora stato trovato un attore.
Uno che qualche ribelle in vita sua lo ha anche raccontato, in linea di massima. |
Ricapitoliamo: abbiamo il libro scritto da un fattone, ambientato in un manicomio, con un produttore esecutivo senza nessuna esperienza e un regista che arriva da un Paese non americano, quindi sicuramente del terzo mondo, almeno un attore come si deve possiamo averlo? Per la parte vengono passati in rassegna tutti, da James Caan a Marlon Brando fino a Gene Hackman, ma quando Jack Nicholson accetta la parte, la United Artist sa che il film lo vorranno vedere tutti e mette a disposizione un sacco di soldi, così tanti da poter staccare un assegno ragguardevole a Ken Kesey che lamentava i tagli e le modifiche sostanziali apportate alla storia come, ad esempio, la voce narrante nel romanzo affidata all’indiano “Grande Capo” e completamente scomparsa nella versione cinematografica. Su come abbia speso i suoi soldi Kesey non è dato sapersi, probabilmente in dischi dei Grateful Dead se tanto mi dà tanto.
«Dischi dei Grateful, sei tu che dovresti stare qui dentro Cassidy» |
Da questo punto in poi il film è completamente nella mani di Miloš Forman che dimostra di aver capito già tutto degli Americani, secondo il regista per il suo nuovo pubblico non è un grosso problema ricevere qualche critica, ma la cosa che conta è avere un buono e un cattivo ben riconoscibili con cui identificarsi e con “Qualcuno volò sul nido del cuculo” riesce non solo a parlare di temi assoluti come la libertà personale e la sfida al sistema, ma a portare avanti la sua critica ai totalitarismi.
Lo so che per l’ambientazione e la condizione dei rispettivi protagonisti, il paragone più immediato dovrebbe essere fatto con il classico di Samuel Fuller “Il corridoio della paura” (1963), però ogni volta che penso al Randle Patrick McMurphy di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” trovo che il personaggio con più affinità è il Paolo Uomonuovo di Nick mano fredda.
Ora che ci penso ho pure la stessa giacca e lo stesso cappello di Randle (Storia vera) |
Entrambi i personaggi sono ribelli senza causa, ma pure senza sosta, che con i loro modi di fare, le loro notevoli facce da schiaffi, si ritrovano a scontrarsi con le regole di un ecosistema chiuso e diviso in rigide gerarchie, per le differenze tra i “Capi” che gestivano la prigione di Nick (o Luke, se guardate il film in originale) e le infermiere dell’ospedale psichiatrico che ospita McMurphy ci parliamo più avanti, tenetemi l’icona aperta, ad essere uguale è l’influenza che questo due ribelli avranno sui loro compagni, in particolare su quelli grandi e grossi, il Dragline di George Kennedy da una parte e il Grande Capo di Will Sampson.
«Icona aperta? Guarda che non sei Federico Buffa, io torno a giocare a basket» |
L’inizio del film è micidiale, sulle note della sognante, favolistica colonna sonora del grande Jack Nitzsche, Randle Patrick McMurphy (un Jack Nicholson che recita per la storia del cinema) fa il suo ingresso nell’istituto, il sospetto è che questo ragazzaccio sia solo un furbastro che si finge pazzo per evitare il carcere quello vero e ancora di più di lavorare, McMurphy è spavaldo anche quando dice al direttore che collaborerà completamente e che lui è finito dentro perché è uno che fa a botte e scopa troppo («Ma dove nel penitenziario?»), insomma andrà tuuuuuutto bene.
«Ze te ne defi andare, va con un zorrizo!» (Cit.) |
Ma se Nicholson qui è semplicemente perfetto per la parte, una menzione speciale va alla collezione di grandiose facce da cinema, caratteristi e loschi soggetti assemblata da Miloš Forman per la parte dei pazienti dell’istituto, l’odioso e pressatissimo Harding (William Redfield) l’incazzatissimo e scorbutico Taber (Christopher Lloyd) fino ad arrivare all’adorabile Cheswick (Sydney Lassick) e al tenero Martini (Danny DeVito) e al giovane a balbuziente Billy (Brad Dourif ), ma non perdetevi tra i pazienti sullo sfondo anche le occhiaie di Vincent Schiavelli o la pelata del mitico Michael Berryman.
Insomma, in un solo reparto psichiatrico sono riusciti a radunare, il Joker, il giudice Morton, il Pinguino, Chucky, Vinovich e Plutone, siamo sicuro che non sia Arkham Asylum? Ci credo che poi a tenere a bada tutti questi ci vuole un’arpia come l’infermiera Ratched!
«È proprio un destino. Stavolta nel nido mi è volato… un pipistrello. Vogliamo danzare?» (Cit.) |
Quindi, parliamo del drago, per la parte dell’infermiera Mildred Ratched (che non credo sia un caso suona un po’ come Margaret Thatcher) è stata scelta l’attrice Louise Fletcher, dopo il rifiuto di almeno altre cinque sue colleghe, un casting così lungo che la Fletcher venne scelta a sole due settimane dall’inizio delle riprese, considerando il risultato finale, un dettaglio che rende ancora più notevole la prova dell’attrice.
Per Miloš Forman l’ospedale è l’istituzione che tiene sotto controllo con ogni mezzo le persone, ben rappresentate dai pazienti, quando dico ogni mezzo, intento proprio tutti, ad esempio nel caso del giovane Billy, Ratched fa leva sul fatto di essere amica della madre del ragazzo per controllarlo, basta che l’attore Brad Dourif ricominci di colpo a balbettare quando sente nominare la sua mamma, per farci capire cosa ha visto a casa sua il povero Billy.
«Dov’era Gondor quando mi hanno chiuso qui dentro con questi matti?» |
L’infermiera Ratched è una figura totalitaria che, invece di una divisa militare, ha una cuffia sulla testa che tiene rigorosamente in perfetto ordine quasi fosse il simbolo del suo potere assoluto, la scelta di un’attrice come Louise Fletcher è significativa, perché nel romanzo di Ken Kesey, la Ratched è un donnone con la voce da militare, mentre nel film diventa il volto all’apparenza gentile di una donna che predica la calma dispensa consigli ragionevoli, ma in fondo è maligna e pure vendicativa, pronta a punire ogni ribellione nel modo più crudele possibile.
Non è un caso se quando capisce di stare perdendo la sua presa su Billy e su tutto il reparto, non cerca di allontanare McMurphy, ma consultata suggerisce di tenerlo come ospite e avere pazienza con lui, solo per poterlo avere a portata di mano e poterlo spezzare al momento opportuno, insomma la critica di Miloš Forman non poteva essere più chiara di così.
Talmente diabolica che ha persino i cornini sulla testa. |
Le scene delle sedute tra i pazienti e l’infermiera Ratched sono state quasi tutte lasciate all’improvvisazione dei singoli attori, si nota dall’insistenza con cui Christopher Lloyd ripete certe battute («Pensa a giocare Harding, pensa a giocare»), oppure le urla disperate di Cheswick che vuole le sue sigarette, questo modo di recitare improvvisato oltre ad alimentare il caos che uno si aspetta di trovare in un manicomio funziona, si vede dalla reazione di Nicholson quando Harding fa la scenetta della “Vecchia zia” e questo allegro casino viene prontamente piallato dall’Infermiera Ratched che riporta tutti all’ordine. Se posso aggiungere una nota di colore, questo film mi ha sempre ricordato le lezioni di inglese (se così possiamo definirle) che facevo alle superiori, un po’ perché avevo una professoressa dall’aria algida in puro stile Ratched (ma senza quegli assurdi capelli) che ogni volta che invitava qualcuno a leggere un testo in Inglese, otteneva come risultato gente che faceva finta di niente, oppure che si attorcigliava sulla sedia come fa Danny DeVito qui, insomma questo oltre a dire molto di come venga insegnato l’Inglese nelle nostre scuole, mi fa pensare che non so come si faccia a volare sul nido del cuculo, visto che il cuculo è un pennuto che non fa il nido, ma depone le uova in quelli altrui (storia vera), però sicuramente andavo a scuola sul nido del cuculo!
Ora, ci sarebbero tante cose da dire, ma staremmo qui a parlare della fuffa condita dalla nebbia se non citassimo il fatto che lo stesso Forman ha candidamente dichiarato che il film si regge quasi tutto sulla prova gigantesca di Jack Nicholson, a mio avviso, Forman con questa affermazione ha peccato di umiltà, perché il suo film ha un grosso valore artistico, ma è anche vero che zio Jack fa il vuoto attorno a sé!
Se volete fare incazzare qualcuno, guardatelo e fate la vostra migliore imitazione del sorriso di Jack. |
L’energia di Jack Nicholson nella parte è trascinante, talmente incontenibile da coinvolgere gli spettatori proprio come fa con i pazienti del reparto, il bello di Randle McMurphy è la sua adolescenziale voglia di vivere, ogni sua piccola rivoluzione è spinta da desideri se vogliamo pure molesti, come, ad esempio, il gran casino che tira su per di vedere le finali del campionato di Baseball. Ora, io non so come fate voi, ma io che tutto finito non sono, se penso che una regola sia stupida difficilmente non lo farò notare, quindi mi ci ritrovo nella costante e testarda ribellione di McMurphy che cerca di prendersi le sue rivincite sfruttando l’ironia e qualche volta la fantasia, come quando si mette a fare la telecronaca della partita che non gli viene concesso di vedere, anche se la televisione è spenta.
Per dirla alla Fabrizio De Andrè, McMurphy viaggia in direzione ostinata e contraria, quasi una crociata per avere la meglio in tutto, anche giocando a basket contro gli infermieri, ora, non ho riscontri in merito, ma so per certo che Jack Nicholson è un ENORME fanatico di pallacanestro, voi magari non lo vedete in un film da un pezzo visto che si è ritirato, ma a me capita di rivederlo ogni volta che passano una partita dei suoi Los Angeles Lakers in tv, visto che ha il posto in prima linea vicino alla panchina da credo, sempre, anzi per dirla tutta di solito accanto a lui ci sta seduta una che ha almeno la metà dei suoi anni, se non un terzo.
«Questo si chiama gancio cielo grande capo, vedi si fa così, come faceva Jabbar» |
Tutto questo non fa che aumentare la mia immedesimazione nel personaggio di McMurphy, ancora oggi ritengo che la scena della partita a basket, in cui prima insegna ai “Picchiatelli” come giocare e poi li guida nella vittoria, sia una delle migliori scene di pallacanestro viste al cinema, anzi mi piace pensare che l’idea di mettere Shaquille O’Neal vicino a canestro, sia stata suggerita a coach Phil Jackson da Nicholson, visto che lui lo aveva già fatto con Grande Capo, anzi, se chiedete a me è andata proprio così! (storia NON vera).
«Tu stai qui Grande Capo, se ti fischiano tre secondi te ne freghi e fai finta di essere sordo ok?» |
Per certi versi, Randle McMurphy rappresenta la gioia di vivere adolescenziale, del tutto maschile visto che si esprime attraverso lo sport (il baseball in tv, il basket al campetto e la pesca in barca con la beffa dei matti presentati come luminari della medicina), ma anche attraverso istinti, diciamo più ormonali, come la festa con signorine che McMurphy organizza notte tempo, facendo venire un mezzo infarto a Dick Hallorann che lo so essere Scatman Crothers, ma per me sarà sempre quello di Shining (1980).
Ma se McMurphy è il maschietto adolescente ribelle, il suo contraltare è l’infermiera Ratched, una madre castrante pronta ad opporsi ad ogni sua ribellione, infatti in “Qualcuno volò sul nido del cuculo” mancano totalmente dei personaggi femminili positivi, qualcuna in grado di rappresentare un’amica, un’amante o una madre amorevole che ai protagonisti manca (Harding con sua moglie, Billy con sua madre, McMurphy… Con tutto il genere femminile!) e che, ammettiamolo, noi maschietti abbiamo bisogno per non finire morti ammazzati in balia delle nostre ribellioni. McMurphy e Ratched sono la risposta a quello che succede quando una forza inarrestabile (come la voglia di vivere del primo) incontra un oggetto inamovibile (il totalitarismo senza cuore della seconda), sono due personaggi opposti e in collisione, ecco perché Ratched non lascia andare McMurphy nemmeno quando potrebbe e lui, non esce da quella dannata finestra! Quella stramaledetta finestra che ogni volta sta lì aperta e tu anche se hai visto il film un milione di volte (negli anni sto aumentando la frequenza delle visioni) ti ritrovi lì ad urlare a McMurphy: «Esci! Cazzo esci! Scappa!».
Un ribelle senza causa come Randle McMurphy non può che finire spezzato, questo Miloš Forman lo ha ripetuto per tutta la sua filmografia: ti spezzeranno con le loro regole, con le loro convenzioni o con il loro ben pensare, ma la ribellione è fonte di ispirazione per qualcuno, qui lo è sicuramente per Grande Capo che le prova tutte per fregare il sistema (il suo mutismo, ribellione silente caparbia quanto quella di McMurphy) e poi di parlare schietto al suo amico, raccontandogli di suo padre («Se lo sono lavorato, come si stanno lavorando te»).
«Devi devi devi devi devi.. Masticar» |
Ma i ribelli, si sa, non ascoltano ragioni, fanno da esempio perché il loro sacrificio serva a qualcun altro, infatti Grande Capo trova la forza di sradicare il pesantissimo lavandino che prima non era abbastanza motivato a sollevare («Mi sento forte come una montagna non ti lascio qui così») in un finale che è talmente bello che non sto nemmeno a dirvelo, anche perché lo avete visto rifatto ovunque per quanto è iconico, in una puntata dei Simpson o in un video dei Green Day, ormai fa parte della cultura popolare, ma per quanto mi riguarda quel «Andiamo» finale è il secondo più bello della storia del cinema, superato solo da quello de Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, scusate se è poco.
Uno dei più grandi finali della storia del cinema, non accetto discussioni in merito. |
Dopo quarant’anni “Qualcuno volò sul nido del cuculo” è un film che non ha perso un millimetro della sua forza, uno dei tre film della storia del cinema, ad aver vinto tutti e cinque gli Oscar principali (miglior film, miglior regista, miglior attore, miglior attrice, migliore sceneggiatura non originale), gli altri due sono stati “Accadde una notte” (1934) e Il silenzio degli innocenti, cosa vogliamo aggiungere? Niente, solo il logo dei Classidy!