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Quella casa nel bosco (2012): come cambiare l’horror per sempre (pubblico permettendo)

Molto complicato festeggiare il compleanno di “The Cabin in the Woods” a dieci anni dalla sua uscita, eppure riesco a pensare a poche attività più piacevoli, perché il film dei due compari Drew Goddard e Joss Whedon dovrebbe stare in un museo, anzi no, dovrebbe essere obbligatorio per chiunque volesse scrivere, dirigere o produrre un horror, riguardarsi questo film per assicurarsi di rispettarne la lezione.

I primi dieci anni di “Quella casa nel bosco” sono l’occasione perfetta per ricordare l’importanza di questo film nel panorama contemporaneo del cinema dell’orrore, ma anche un bel dito in un occhio (ho detto occhio!), già perché ci sarà davvero qualcuno che ancora non lo ha visto? Io non credo ma siccome lo ripeto da dieci anni, fatemelo ripetere anche su questa Bara: se esiste un film che andrebbe visto senza sapere nulla della sua trama quello è proprio “The Cabin in the Woods”, quindi il post procederà così, leggete tranquilli fino a quando non vi farò “Il segnale”, da quel punto in poi se conoscete già la trama buona lettura, altrimenti recuperare i dieci anni e regalatevi la prima visione di questo gioiellino.

I fatti si sono svolti per sommi capi in questo modo: i due compari Goddard (che scrive e dirige) e Whedon (autore della sceneggiatura) si sono fatti le ossa su “Firefly” e Buffy, dove a ben guardare già ribaltavano i cliché dell’horror, perché lì era la bionda avvenente a dare la caccia ai vampiri e non viceversa come siamo da sempre abituati. Insieme sfornano questo capolavoro per la MGM sull’orlo del fallimento, il film nel 2009 è già pronto ma la casa di produzione seguendo la moda imperante del periodo, pretende una conversione in 3D, Whedon e Goddard si fanno una risata ma intanto la MGM finisce zampe all’aria e il film nell’oblio, totale oblio, tanto che la sceneggiatura ciccia fuori sul web di fatto “bruciando” il colpo di scena. Fine dei giochi? No perché dal nulla subentra la Lionsgate (sempre sia lodata) che recupera “The Cabin in the Woods” e lo manda in sala ormai nell’aprile del 2012, quei pochi che avevano letto la trama in anteprima, a quel punto non erano più un grosso pericolo.

Voi li vedete così placidi, ma questi due hanno portato il fuoco della distruzione.

Il film viene accolto più o meno: «Ommioddio quanto è meta!» dettaglio che mi fa preoccupare parecchio, ma i dubbi scompaiono quando finalmente corro a (ri)vederlo in sala, il film era la boccata di aria fresca di cui il cinema horror aveva bisogno, il cambiamento sembrava alle porte. Una risata vi seppellirà si diceva un tempo, proprio quello che hanno fatto Goddard e Whedon, tumulare un intero genere con la gioia di un film che prima di tutto risulta beh… Divertente, quasi una scelta sacrilega per gli amanti dell’horror più ortodossi, ma mai quanto il suo contenuto, quello si davvero esplosivo.

Parliamoci chiaro, nel 2012 erano già usciti quattro capitoli di Scream e altrettanti di “Scary Movie”, più o meno dal 1996 con la prima grande spallata data all’horror da Scream, il genere giaceva in uno stato di auto compiacimento, il film di Wes Craven nato per rivolgersi a quelli che guardavano troppi Horror e ne conoscevano tutti i meccanismi, era diventato il modello su cui basare tutti gli Slasher per il pubblico che ad un film con assassino con coltello non si sarebbe mai avvicinati. In un tripudio di regole elencate da Randy Meeks l’horror si stava specchiando nella sua stessa immagine, compiacendosi tra gomitate e strizzatine d’occhio. Quello che ancora molti non hanno capito della saga di Scream è il suo ruolo di cartina al tornasole dello stato dell’horror, “The Cabin in the Woods” invece aveva un altro ruolo, ovvero quello di mettere fine alla festa dell’auto celebrazione iniziata proprio nel 1996.

Peccato che il resto della sua carriera non sia stata allo stesso livello, qui era perfetta.

Tutta la mia stima va a chi nel 2012 curò la campagna pubblicitaria di questo film, dei genietti visto che il trailer fu montato solo con le parti relative ai primi dieci minuti di “Quella casa nel bosco”, più qualche fotogramma stuzzicante, ma la trovata brillante fu la scelta della frase di lancio: tu credi di conoscere la storia. A mani basse tra le migliori “tag-line” della storia del cinema.

Contribuì alla popolarità del film anche la presenza nel cast di un biondone australiano che nel frattempo era esploso nel ruolo di Thor, mi fa sempre molto ridere l’aneddoto che trovate nei contenuti speciali del Blu-ray del film, in cui Whedon con il suo stile ironico racconta come nel periodo in cui Chris Hemsworth stava lavorando a questo horror, nel giro di poco tempo venne contattato per un ruolo in Star Trek, uno da zio Dio del Tuono per la Marvel e per il remake di Alba Rossa, le giornata in cui non squillava il suo telefono per ricevere qualche ruolo in un film milionario secondo Whedon dovevano essere proprio nere per il povero Chris, incastrato in un ruolo da Quaterback in un horror minuscolo, povera stella.

Un’altra Scooby Gang per Joss Whedon.

Si perché la trama è proprio questa, anzi è quella di un altro film con un “cabin” in un ruolo chiave: una banda di giovanotti identificabile come l’atleta, la secchiona con la faccia da Final Girl (Kristen Connolly), la sgualdrina, l’intellettuale e quello strambo che fa le battute e fuma erba da un bong convertibile in termos per il caffè, vanno a passare il fine settimana in uno chalet nel bosco, malgrado lo raggiungano guidando un camper e allora io mi chiedo, perché non dormire direttamente nel camper? Ma anche questo fa parte della demolizione del genere di Goddard e Whedon.

«Come hai fatto a trovarla?», «Mi ha dato l’indirizzo Bruce Campbell»

Ci tengo a sottolineare come il cambio di titolo italiano (creativo ma efficace), sia un’altra tacca alla cintura del film, “Quella casa nel bosco” sottolinea il cambiamento da chalet a casa di “Evil Dead” (modello su cui è basato il film), ma si tira dietro anche tutte le altre grandi case della storia del cinema horror, quelle dei 1000 corpi, del diavolo, delle bambole, quelle dove qualcuno è stato sepolto dentro e così via. Ma mentre la trama procede identica ad un milione di altri film che abbiamo già visto, tutti ripieni di adolescenti carne da cannone, in parallelo i due impiegati Richard Jenkins e Bradley Whitford, sono impegnati nella loro normale routine da ufficio, ed è qui che il film svolta diventando beh… Un Classido!

Come vi dicevo, chiunque volesse fare horror dal 2012 in poi, questo film dovrebbe conoscerlo a memoria, per la trama e per il fatto che per quanto ripieno di “metaforoni” il film procede leggero (motivo per cui tanti ancora oggi lo sottovalutano), pieno di dialoghi scritti come si fa in paradiso (la maestria di Whedon si sente tutta) fa di questo film un esempio sotto tutti i punti di vista, oltre che uno di quei titoli in grado di beh, farti stare bene, malgrado parli di annichilimento totale e non tiri mai via la mano su sangue e ammazzamenti. Da qui in poi lasciatemi fare la parte dell’anziano inquietante alla stazione di polizia («Sono in vivavoce? Sento l’eco») e considerate questa frase come “Il segnale”.

Questo sono io che vi faccio “Il segnale” dello SPOILER, poi ditemi che non vi penso.

Da qui in poi siamo rimasti solo tra noi, quelli che hanno già visto il film mi auguro per voi più e più volte, bisogna dire che a volte le idee fanno un giro lunghissimo, lassù citavo “Buffy” e proprio nella quarta stagione della serie, la porzione di episodi dedicati all’Iniziativa, sembravano un po’ le prove generali per “The Cabin in the Woods”. Un film che a differenza di Scream non celebra i cliché ma li smonta tutti, e quando intendo dire tutti, intendo proprio anche i dettagli, il comportamento idiota dei personaggi è dettato dal contributo del “reparto chimica” nella tinta bionda della ragazza che finisce prima a limonare con la testa di lupo impagliato (che sostituisce quella di cervo di Evil Dead) e poi andando contro la moda dei film post 2000, mostra anche le grazie come se fossimo ancora in uno Slasher degli anni ’80, un dettaglio che non è semplicemente pruriginoso (oddio, non solo), ma un modo brillante per deridere amorevolmente un genere che è diventato nel tempo sempre più fotocopia sbiadita di se stesso.

Perché il pubblico fa più il tifo per gli assassini che per le vittime in un horror? Siamo davvero ormai assuefatti a protagonisti idioti che muoiono facendo idiozie, anziani benzinai che intimano loro di tornare indietro e soprattutto, sempre gli stessi quattro mostri in croce? Era chiaro nel 2012, ma oggi dieci anni dopo ancora di più, troppa parte di pubblico ancora lo è, altrimenti non mi spiegherei come mai un film che ricalca tutti questi cliché come l’ultima versione di Non aprite quella porta, possa ancora piacere e non essere sbeffeggiato come meriterebbe.

I colleghi di lavoro che vorrei anzi, forse il lavoro che vorrei!

La metafora in “The Cabin in the Woods” è chiarissima ma mai lanciata in faccia allo spettatore, senza essere fanatici di horror si potrebbe guardare il film godendosi uno dei pochi titoli davvero in grado di uscire fuori da uno schema ormai consumato e come dicevo, divertente, con personaggi che sono ben caratterizzati malgrado siano delle funziona narrative con le gambe. Ma a differenza di Scream qui l’auto celebrazione è finita, con il sorriso sulle labbra e l’anarchia nel cuore, Goddard e Whedon dieci anni fa hanno distrutto un genere che hanno dimostrato di conoscere e amare molto e lo hanno fatto solo per il suo e il nostro bene.

Gli operatori nella misteriosa multinazionale sono i cattivi o i buoni? Il loro compito di organizzare sacrifici agli Dei («Un tempo era più semplice, bastava gettare qualcuno in un vulcano») serve a preservare lo status quo e la vita sul pianeta, i ragazzi sono carne da cannone destinati a morire male per il giubilo degli Dei e la salvezza dell’umanità. Goddard e Whedon vanno in zona “meta” senza appesantire il loro film, la chiave di lettura resta chiarissima al netto di una trama che procede veloce e come detto, divertentissima, considerando anche le varie frecciatine al J-Horror («Se vuoi un buon prodotto, comprate americano»).

Come la paranoia da droghe leggere può salvarti la vita.

Richard Jenkins e Bradley Whitford sono l’equivalente degli sceneggiatori di un horror, il resto dei loro colleghi sono i tecnici dei vari reparti, tutti impegnati a sfornare un prodotto, un film da consegnare agli Dei (gli spettatori) smaniosi di sangue, tette e budella, non è un caso se gli Antichi nell’ultima scena si manifestino con un’enorme manona a cinque dita identica alle vostre o alla mia, e il cameo di una delle predilette di questa Bara (ciao Sigourney!) non è il semplice ruolo della signora spiegoni che spiega cose, ma nei titoli di coda l’attrice è accreditata come “The Director”, un gioco di parole che in inglese suona molto meglio.

«Stai lontana da lei… Manona maledetta!» (quasi-cit.)

Se Scream sottolineava, dava di gomito e a suo modo ha portato nuova linfa al genere Horror, ma ha anche garantito un decennio di immobilissimo, “The Cabin in the Woods” è la rivoluzione che non bussa, quella che fin da un minuto dopo i titoli di coda ha reso obsoleti tutti i cliché che l’horror, nel 2012 avrebbe dovuto in automatico chiudere in cantina e dimenticare per sempre.

Goddard e Whedon con tutto il loro amore per il genere Horror, lo hanno voluto distruggere per manifesto amore, per non vederlo più soffrire contorcendosi sempre attorno a quelle quattro trovate trite e ritrite, basta con i soliti zombie redneck (uno dei quali per altro interpretato da Jodelle Ferland), noi vogliamo gli unicorni assassini, vogliamo i mostri giganti, come Bradley Whitford in una delle gag più divertenti del film noi vogliamo vedere il tritone. Se l’horror è senza limiti in quanto genere non per forza legato ai paletti della realtà a tutti i costi, perché auto imporseli? “The Cabin in the Woods” è il fuoco della distruzione che precede si spera, la nuova creazione, quella casa nel bosco non fa riverniciata con una mano di bianco per farla sembrare nuova, va rasa al suolo e ricostruita dalle fondamenta a colpi di creatività, per essere un horror pieno di morti ammazzati questo film è un inno al potere della fantasia e quindi del cinema, raccontato con gran leggerezza ma di sicuro non in modo stupido, sto ancora aspettando di vederlo un film della stessa portata.

Perché un altro remake quando potremmo avere questo?

Il pubblico lo ha capito? Si, non datemi dell’illuso io credo che lo abbia capito benissimo, il problema è che non tutto il pubblico ha voluto seguire l’inno alla rivolta di Goddard e Whedon, motivo per cui nel cinema horror (ma non solo) continuano a infilarci giù per il gargarozzo con l’imbuto operazioni nostalgia nate vecchie, perché il pubblico vuole i brividi ma ha paura di osare per davvero, per questo “Quella casa nel bosco” ha cambiato il genere horror per sempre, se solo il pubblico avesse capito per davvero l’importanza di questo anarchico atto d’amore.

Sapete che ho fatto mia la massima di Francis Ford Coppola, quella per cui andare al cinema (o premere “play” in streaming) equivale a votare, quindi votate bene. Volete vedere i tritoni o la solita minestra riscaldata? Non so voi ma io sto con Goddard e Whedon.

Sepolto in precedenza mercoledì 27 aprile 2022

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