Purtroppo qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa non è un titolo molto popolare, ma la divertente commedia inglese di fantascienza “FAQ about time travel” (2009), aveva anticipato un sentimento diventato comune su “Infernet” anche prima del 2022.
In quel film, una comunità di Veri Credenti viveva secondo la filosofia per cui un artista dovesse morire dopo aver creato la sua opera migliore, i viaggi nel tempo rendevano possibile questa satirica gag e sono certo che se fosse possibile farlo, in molti avrebbero abbracciato questo credo e che gli uffici della Pixar sarebbero un tripudio di portali spazio temporali pronti ad aprirsi per vomitare fuori crono-assassini armati fino ai denti.
La famigerata discussione “La Pixar fa solo capolavori” contro “La Pixar non ne azzecca più una” imperversa, ma per fortuna io ho una Bara Volante e posso svolazzare sulle polemiche che hanno colpito anche “Red”, ultima fatica dello studio Pixar che ormai segue la tradizione avviata già da tempo di far uscire il loro nuovo film direttamente su Disney+, proprio come accaduto al film scritto e diretto da Domee Shi, autrice anche del corto “Bao” (dalle tematiche simili a quelle di “Red”) che trovate sulla stessa piattaforma, tanto vale sfruttare le situazione e la tecnologia a nostro vantaggio no?
“Red”, adattamento per il mercato italiano che passa come pialla sul ben più azzeccato titolo originale “Turning Red”, ha dentro la sua pancia elementi che lo legano ad Inside Out e Soul per la rappresentazione dei sentimenti anche attraverso l’utilizzo dei colori, ma per certi versi è la continuazione diretta della strategia applicata con Luca, ovvero affidiamo il film ad uno dei nostri animatori più esperti e lasciamo che ci porti nei luoghi della sua infanzia.
Quindi se Enrico Casarosa ci aveva portato nella Liguria dei suoi ricordi, Domee Shi ci porta tra le tradizioni di una famiglia cinese che vive a Toronto in Canada, più o meno nel periodo della sua adolescenza, quindi l’anno 2002. Fino qui si intravede la “formula” dietro al soggetto, ma se guarderete il dietro le quinte di “Red” sempre disponibile su Disney+ (solito principio, abbiamo la tecnologia? Usiamola) scoprirete dalle parole della regista che il suo metodo di lavoro consiste nel trovare qualcosa di caruccino e puccettoso e strizzargli fuori una metafora (storia vera). Non so voi, ma sentendo questa parola mi sono cadute cose che noi maschietti abbiamo in doppia copia.
Va bene l’animale caruccetto da metafora, ma visto che il culto del panda rosso muove già i suoi bei soldini, poteva la Pixar restarne fuori? Quindi la sensazione è che i Disney Store del mondo (non d’Italia, visto che qui da noi li hanno chiusi tutti) si riempiranno di pupazzi del rosso panda al centro della vicenda e allo studio andrà benissimo così perché faranno bei soldi, poi ci sarebbe anche il film e quello devo dire, bene ma non benissimo.
Pago sicuramente il Pino Scotto di non essere propriamente il target di riferimento del film, altra “polemica” da tastiera che sta girando in questi giorni su “Infernet”, ma non credo serva essere un cannibale per amare Il silenzio degli innocenti, quindi pur non essendo mai stato una ragazzina Canadese di origini asiatiche amante delle Boy Band, speravo che il film almeno mi coinvolgesse, ma non è andata proprio così.
Meilin “Mei” Lee (doppiata in originale da Rosalie Chiang) è una ragazzina di tredici anni che vorrebbe tanto andare con le amiche al concerto dei 4*Town, ma la famiglia e soprattutto l’ansiosa madre Sandra Oh (Ming Lee) la tiene inchiodata ai suoi doveri di brava figlia, sempre impegnata con il tempio del panda rosso, l’attività di famiglia che la tiene impegnata oltre alla scuola.
Da sempre i film della Pixar funzionano su due livelli, uno più leggero per i più piccoli sovrapposto ad un secondo livello di lettura un po’ più profondo, il più delle volte pensato per coinvolgere anche i più grandicelli, in “Red” tutto si risolve come la trasformazione di Mei in un grosso panda rosso, al sopraggiungere della pubertà. Mettiamola così, “Carrie” di Stephen King con un panda al posto della telecinesi e il rosso come colore che urla METAFORONE in maniera piuttosto smaccata.
Per certi versi potremmo dire che questo è il Big Mouth della Pixar, ma potrei stare qui due giorni a fare paragoni, perché tutto sommato l’originalità non è il punto forte di “Red”, che scricchiola proprio su quella doppia chiave di lettura che è sempre stato un po’ il punto forte della Pixar.
La questione mestruazioni viene introdotta come fattore scatenante ma presto abbandonata, quindi devo dire che “Red” è un film talmente sbilanciato da essere riuscito nell’impresa di zittire il piccolo Cassidy interiore, lasciando campo libero al vecchio Cassidy spaccamaroni in cui Padre Tempo mi ha trasformato: tutta la mia solidarietà ai genitori, che dopo aver parcheggiato i figli davanti a “Red”, dovranno fare lo spiegone sulle mestruazioni, non che i film abbiano il dovere di sostituire il ruolo dei genitori anzi, ma almeno occuparsi delle svolte di trama, quello sì.
Personalmente ho trovato ben poco logico il fatto che la mamma della protagonista fosse pronta alle prime mestruazioni della figlia, ma non abbia minimamente tenuto conto della maledizione di famiglia, la trasformazione in panda rosso che affligge tutte le donne della famiglia Lee, posso dirla fuori dai denti? “Red” mi è sembrato un Voglia di vincere con la metafora spostata più verso il pubblico femminile, con la differenza che il film del 1985 era stato più accorto.
Quando Michael J. Fox si trasformava in lupo mannaro nel bagno di casa, suo padre fuori bussava alla porta, in una gag tutta in equilibro tra mutazioni Body Horror e nemmeno velati riferimenti alla masturbazione, una volta aperta la porta papà si mostrava con il suo aspetto da lupo. La mamma di Mei invece pare essersi totalmente dimenticata di esserci passata anche lei, strano visto che il suo panda rosso ha più o meno le dimensioni di Godzilla come vedremo nel finale del film.
Quello che sta nel mezzo è un film molto interessato a ricreare l’atmosfera dell’anno 2002, con ragazzine impegnate a leggere romanzi di romantici vampiri luccicanti e il proliferare di Boy Band, il panda rosso quindi diventa il metaforone del cambiamento, di un lato del proprio carattere non da nascondere, ma da imparare a gestire, a conviverci per certi versi ed è qui che “Red” invece di prendermi mi ha perso.
Già perché non serve essere cannibali per amare il film di Jonathan Demme ma nemmeno aver avuto le mestruazioni per capire una ragazzina strapiena di ormoni e anche per questo arrabbiata, siamo stati tutti adolescenti e visto che la mia Wing-woman dice che io per attitudine sono come Rabbia di Inside Out, la storia di una ragazzina che si porta dentro un mostro sotto la pelle, che esce fuori a far danni ogni volta che perde il controllo in teoria sembrava pensata (anche) per me, che ancora oggi quando perdo la pazienza mi trasformo in Hulk Rosso, perdonatemi la nerdata ma ho letto tanti fumetti della Marvel e ne pago le conseguenze.
Purtroppo “Red” si risolve in una storiella dove la “formula” orientata a mostrare la forza delle donne si nota fin troppo e quando in una storia emerge la formula che la regola, la magia scompare, almeno per me. Il rituale che dovrebbe far scomparire il panda per sempre è il metaforone: brava bambina per sempre o adulta con tutti i difetti, non può esserci una vita di mezzo che infatti inevitabilmente arriva, perché crescendo l’abbiamo trovata tutti.
Il rituale è l’equivalente Pixar del cercare di domare la Lama rovente di Grosso guaio a Chinatown e non ditemi che sono ossessionato da Carpenter (anche se avreste ragione) perché a presiedere il rito ci pensa un anziano cinese doppiato da James Hong, infatti il “Grosso guaio” arriva sottoforma di panda gigante, il problema è che quando ci viene detto che il rituale può essere concluso con una canzone qualsiasi, purché cantata con il cuore, il finale di “Red” risulta più prevedibile di una replica di “Colombo”.
Certo mi sta bene che lo scontro generazionale sia trasformi in un Kaiju Movie in salsa Pixar, con un panda gigante al posto dell’Marshmallow man, purtroppo il doppio livello di lettura che è sempre stato l’asso nella manica della Pixar qui manca, il risultato finale è un buon film animato alla grande, nulla da eccepire, peccato che per tutta la durata di “Red” mi sia sembrato di stare guardando un film della Dreamworks, non che sia un male eh? Ma mi sembra che la rotta sia un po’ persa, ci sono vecchi film della Pixar che posso rivedere anche dieci volte di fila trovandoli ancora incredibili, questo visto una volta per quanto mi riguarda, per ora basta e avanza.
Sepolto in precedenza martedì 22 marzo 2022
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