Signore e signori vi accolgo a bordo del volo 210 della Bara Volante, le previsioni metereologiche annunciano tempo incerto, ma il film di oggi dovrebbe aiutarvi a non pensarci, buon volo e bentornati a… Craven Road!
La saggezza popolare ricorda che è quando cadi da cavallo che devi subito risalire in sella, per Wes Craven Cursed avrebbe dovuto essere un nuovo enorme successo, ma di fatto è stato un bagno di sangue durato tre lunghi anni di lavoro e fatiche per un film presto dimenticato. Craven ha pagato cari gli straordinari richiesti dai fratelli Weinstein, basta dire che ha dovuto rinunciare alla regia di un film di cui aveva già scritto la sceneggiatura, ovvero “Pulse” (2006) il remake americano dell’horror giapponese del 2001 intitolato Kairo.
Però ricordatevi sempre che zio Wessy aveva la passione di edulcorare le sue interviste, specialmente nelle parti che riguardavano se stesso, quindi non disperatevi per non aver visto il maestro di Cleveland affrontare la moda dei J-Horror che ha imperversato nei primi anni del 2000, il nostro Craven si è consolato subito con un filmetto veloce come un aereo di linea che gli venne proposto, perfetto per leccarsi le ferite dopo i morsi di lupi mannari di Cursed.
“Red Eye” è stato scritto da Carl Ellsworth, uno con una lunga gavetta in molti telefilm anche famosi, qui alle prese con la sua prima sceneggiatura per un lungometraggio, negli anni sarebbero arrivati un altro titolo pseudo Hitchcockiano come “Disturbia” (2007) e i remake di L’ultima casa a sinistra (sotto l’ala protettiva di Craven) e di Alba rossa. Due rifacimenti su cui preferirei non dire altro, perché non è bello vedere un blogger riempire le sue pagine di insulti e parole poco carine da leggere.
Una delle caratteristiche di questo film può passare inosservata, ma ci aiuta a capire il contesto: “Red Eye” ha un solo sceneggiatore accreditato, il solitario Carl Ellsworth, un evento abbastanza raro visto che i film passano attraverso varie fasi produttive. Ma questa era la pellicola di “defaticamento” di Craven dopo tre anni passati a fare a pugni con i lupi mannari Weinstein. Basta dire che durante le riprese del film, zio Wessy è convolato a giuste nozze con la sua terza moglie, la produttrice Iya Labunka, questo giusto per sottolineare quando fossero tutti molto rilassati, malgrado il risultato finale sia un thriller ambientato a 20.000 piedi d’altezza.
La leggenda vuole che per la parte dei due combattivi protagonisti, erano stati originariamente pensati Sean Penn e Robin Wright che, di fatto, non avrebbero nemmeno dovuto recitare, visto che il loro tormento matrimonio è stato tranquillo come il volo di questo film, non escludo nemmeno tentativi di accoltellamento usando una penna, ma non mi occupo di gossip, quindi torno a bomba sul film che è stato presto modificato puntando su una coppia di protagonisti più giovani.
Sempre secondo le voci, pare che Cillian Murphy pur di avere il ruolo di Jackson Rippner, sia volato dalla sua Irlanda ad Hollywood due giorni prima del suo matrimonio con Yvonne McGuiness, pur di sostenere il provino. Io credo alle affermazioni degli attori durante la promozione dei loro film, più o meno come credo alle promesse dei politici, ma questo non cambia il fatto che in una manciata di anni Cillian Murphy abbia piazzato il suo fascino androgino in parecchie produzioni, solo nel 2005 lo abbiamo visto nei panni dello Spaventapasseri in Batman Begins per poi trasformarsi in Kitten in quella che resta forse la sua prova più memorabile, ovvero “Breakfast on Pluto”.
Rachel McAdams, invece… Beh, devo confessarlo ho un problema tutto mio con Rachele D’adami, ho ben chiara la differenza nella mia testa, ma ogni volta devo prendermi un minuto, pensarci bene e distinguerla da Elizabeth Banks, per qualche oscura ragione, nella mia testa le due attrici sono sovrapponibili, sono nato strambo pago le conseguenze della mia stranezza.
“Red Eye” ha la durata perfetta, 86 minuti compresi i titoli di coda, un ritmo bello tirato dall’inizio alla fine, malgrado l’ultimo atto in cui decide di sbragare completamente. Il risultato è uno di quei film in cui l’autorialità di Craven non emerge quasi per nulla, però il suo mestiere sì, quindi tutto sommato è uno dei quei film in grado di far esclamare a chi era rimasto all’oscuro dell’informazione: «Ah! Questo è un film di Wes Craven?», in tutte le declinazioni possibili di questa frase, bisogna dirlo.
Cercare il regista di L’ultima casa a sinistra in questo thriller con ambizioni hitchcockiane sarebbe un gioco al massacro, per certi versi “Red Eye” è stato l’ultimo tentativo di Craven di smarcarsi dal genere horror che è quello che lo ha reso famoso, ma che per lui è sempre andato un po’ stretto. Però Wessy, benedetto figliolo, se QUESTO è il tuo modo di affermarti come grande regista (non solo di horror), non sarebbe meglio dirigere ammazzamenti tutti la vita? Anche perché, ammettiamolo, il problema numero uno di Craven è sempre stata la sua capacità di mantenere l’attenzione, a volte anche all’interno dello stesso film sembrava che il professore amante di cinema, lasciasse spazio allo studente distratto dentro di lui, quello che voleva uscire fuori a giocare anzichè seguire la lezione. Il bipolarismo artistico di Craven è quello che lo ha reso una mosca bianca, capace di regalarci capolavori, oppure film assolutamente svogliati, questo era zio Wessy, prendere o lasciare.
Nel film non ci viene assolutamente spiegato, ma “Red Eye” è il soprannome appioppato a quei voli notturni che attraversano gli Stati Uniti, i preferiti dagli uomini d’affari che la mattina dopo possono continuare a lavorare, malgrado gli occhi arrossati come dopo una serata a fumare con Jay e Silent Bob, giusto per citare due vecchi amici di Craven. Proprio un “Red Eye” è il volo da Dallas a Miami che deve prendere Lisa Reisert (Rachele D’adami che non è Elisabetta Banche, me lo devo ricordare), bella e impegnatissima responsabile d’albergo, tornata temporaneamente a casa nel Texas per il funerale dell’anziana nonna.
La fretta è dettata dal grosso cliente che sta per essere nuovamente ospitato nel suo albergo di lusso, un governatore interpretato da Jack Scalia che viaggia con un grosso dogue de bordeaux di nome Tequila la sua famiglia. Di fatto, l’ex televisivo detective Nick Bonetti rappresenta quello che Carl Ellsworth ha capito della tecnica del MacGuffin, dopo aver riletto probabilmente la sua copia di “Il cinema secondo Hitchcock”.
Un gruppo di terroristi vuole far fuori Jack Scalia per non ben precisati motivi politici (oppure perché non sopportavano “Tequila & Bonetti”, ai fini della storia è lo stesso), per farlo serve che il politico alloggi in una stanza in particolare dell’albergo, per questo è necessario avere il pieno controllo su colei che decide l’assegnazione delle camere, ecco perché Lisa viene avvicinata in aeroporto da un’affascinante sconosciuto fatto a forma di Cillian Murphy in modo da essere sicuri che il piano vada a buon fine…
…che poi sarebbe un po’ come se io pagassi un assassino professionista per tenere in ostaggio la famiglia dell’autista del bus che prendo tutti i giorni, per assicurarmi di arrivare in orario al lavoro tutte le mattine. Considerando i ritardi biblici che mi fa fare l’uomo soprannominato “Capitan Lento”, potrei anche farlo, ma mi sembra un modo inutilmente complicato per risolvere una situazione: vuoi uccidere un politico che per certo alloggerà in un albergo, se sei un terrorista fai saltare tutto l’albergo, se sei uno sceneggiatore che crede di aver capito i meccanismi del cinema di Hitchcock scrivi “Red Eye”.
Tutta la prima parte del film è molto riuscita, Cillian Murphy è semplicemente perfetto nel ruolo bipolare dello straniero affascinante e un attimo dopo, del maniaco sempre un passo avanti alla sua vittima, non voglio nemmeno pensare alle varie affermazioni di zio Wessy per cui questo film per lui, più che una metafora sul terrorismo è una lotta tra sessi, vi ho già detto che non bisogna credere alle interviste rilasciate in fase di promozione di un film, tanto meno a quelle di Craven che, però, a (tante) parole qui fa seguire i fatti, perché “Red Eye” malgrado le tante ingenuità (l’assassino si chiama (Jack Rippner… sul serio? Jack lo squartatore? Eddaì Ellsworth fai il bravo!) diventa un thriller teso in cui ogni elemento conta.
Che sia un messaggio d’aiuto nella pagina di un libro, oppure la penna con cui lo si è scritto, “Red Eye” tiene conto di tutti gli elementi della sua storia (quelli circoscritti allo spazio ristretto di un volo di linea) e se Rachel McAdams incarna alla perfezione l’eroina Craveniana classica, Cilliano Birrascura si carica il film sulle spalle.
Avete presente quei film in cui si finisce per tifare per i protagonisti odiando il cattivo, sempre avanti di due mosse? Ecco, “Red Eye” è quel tipo di film, Wes Craven riesce ad utilizzare tutto il suo mestiere per tenere alta la tensione e il ritmo, finché tutto si svolge a bordo dell’aereo il film fila, poi, però, per concludere la trama Carl Ellsworth capisce che la sua storia deve toccare terra, quindi la premessa del thriller tutto ambientato a bordo di un aereo (oppure all’interno di una cabina del telefono, come nel caso di “In linea con l’assassino” del 2002) tradisce la sua premessa e qui il professore Craven, lascia posto in cabina di pilotaggio regia allo studente Wes che vuole uscire fuori a giocare.
La confessione di Lisa è il momento in cui il personaggio decide di smettere di essere una vittima, con qualche revisione in più alla sceneggiatura, forse, non sarebbe stato un momento così “verboso” della storia, ma si sarebbe potuto far arrivare il personaggio (e noi spettatori) allo stesso punto d’arrivo, magari con qualche flashback o con un tipo di narrazione più visiva, ma “Red Eye” è il titolo “defaticante” di Wes Craven, quindi va bene così, minimo sindacale, tanto mestiere, palla lunga a Cillian Murphy e pedalare.
La parte finale del film si gioca tutte le trovate più assurde: il piano dei terroristi da MacGuffin un po’ scemo (ed eccessivamente articolato) ci viene mostrato con dovizia di dettagli ed esplosioni, tanto da farti pensare che lo sceneggiatore a questa soluzione astrusa ci credeva per davvero. Inoltre, il thriller con aspirazioni hitchcockiane cala la maschera e nel finale si conferma essere un altro slasher nella carriera di Wes Craven, con la “Final girl” inseguita e lo scontro nella casa in fase di restauro del padre di Lisa (Brian Cox nel solito ruolo da caratterista di lusso) che non è tanto diverso dalla finta Woodsboro ricreata sul set di Stab 3, oppure dalla cameretta di Nancy. Anzi, guardando il film, viene proprio da immaginare che mentre Lisa corre in una direzione inseguita da Jack, dall’altra possa spuntare Sidney inseguita da Ghostface.
Bisogna dire che la vena umoristica di Craven s’intravede anche qui, se Scream era stato girato come una parodia degli Slasher, trovo azzeccata la scelta di prendersi gioco di Jackson Rippner che colpito da Lisa alla gola al grido di: “La penna è davvero più potente della spada?” (cit.) si trasforma in una grottesca caricatura del solito assassino silente degli Slasher, ormai non è più chiaro, però, se si tratti di Ghostface senza la maschera, oppure dell’assassino di “Scary Movie”, questo lo lascio decidere a voi, ma l’intento di umiliare quello che fino a pochi minuti prima era lo spauracchio da temere è una mossa piuttosto chiara, anche se messa su da Craven che a questo punto del film aveva già sbracato.
Che, poi, è una sua mossa abbastanza comune, in fondo anche Il serpente e l’arcobaleno terminava con una scena decisamente più caciarona rispetto alla concentrazione sfoggiata durante tutta la durata del film, solo che “Red Eye” non ha certo le tematiche, la vena autoriale e il livello di ispirazione del film di zombie di Craven, è il classico titolo minore che se becchi iniziato in tv magari guardi per una mezz’oretta, quello che ti fa affermare: «Ah! Questo è un film di Wes Craven?», nel bene e nel male, perché grazie alla gestione dello spazio e al mestiere di zio Wessy, il film si lascia ancora vedere, anche se l’atmosfera e la voglia di qualcosa di leggero e “facile” dopo Cursed è piuttosto evidente.
Certo, poi bisogna fare i conti con il perverso umorismo da Stregatto psicotico di Wes Craven, quello per cui la sua idea di film per rilassarsi è un thriller che confermerà a tutti quelli che hanno paura di prendere un aereo, quanto sia bello muoversi sulla terra ferma. Alla fine, a zio Wessy si voleva bene anche per questo, in fondo, “Red Eye” comincia con un potenziale da commedia romantica e finisce come uno Slasher. Se avessero trovato una cura per la bipolarità artistica di Craven, beh, non sarebbe stato Wes Craven!
La prossima settimana, invece, affronteremo un altro capitolo delle strambe trovate di zio Wessy, non ho la più pallida idea di come farò a tirare fuori un post sensato dal suo prossimo titolo, ma vedrò di inventarmi qualcosa, ci rivediamo tra sette giorni!
Sepolto in precedenza venerdì 4 settembre 2020
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing