Il post di oggi contiene informazioni confidenziali, il suo testo è stato posto al vaglio delle autorità competenti che disapprovano il suo contenuto anti-bellico, l’unica parte rimasta intatta resta il benvenuto, al nuovo capito della rubrica Life of Brian!
«La macchina da presa mente in continuazione, mente ventiquattro volte al secondo.»
La massima più citata e ricordata, la frase di De Palma sul suo cinema non perde il suo valore nemmeno nel 2007, quando il nostro Brian da Newark sconvolge un po’ tutti, perché pensare di andare al cinema a vedere il nuovo film di De Palma, porta con sé un certo tipo di aspettative, anche sullo stile con cui la storia ci verrà raccontata, ecco perché “Redacted”, presentato in anteprima alla 64ª Mostra del Cinema di Venezia ha ottenuto ben altra accoglienza rispetto a quella riservata un anno prima a Black Dahlia, un film molto più classico negli elementi tipicamente Depalmiani che lo compongono, eppure voglio sperare che a Venezia abbiano voluto premiare con il Leone d’argento l’operazione, più che il comunque nobilissimo atto di accusa contro la guerra, per altro, anche questo puro De Palma.
Già, perché fin dagli albori del suo cinema e da titoli come Ciao America! il regista del New Jersey aveva preso una posizione forte contro la guerra in Vietnam, utilizzando l’unica arma che ama imbracciare, ovvero una macchina da presa, per raccontare la sua reticenza alla leva recitata da De Niro sul grande schermo. Dalla vena principale, la colonna portante su cui è basato il cinema di De Palma, ovvero il suo amato thriller, si distaccano almeno altri filoni altrettanto importanti, quello a tema “gangster” che ha portato a tre titoli uno meglio dell’altro, tre film che si sono legittimati uno con l’altro, mettendo in chiaro il fatto de il nostro Brian non è solo un mero imitatore di Alfred Hitchcock.
Allo stesso modo, il filone legato ai film di guerra è quello che ha avuto bisogno di tre film a sua volta per legittimarsi, anche perché Vittime di guerra, malgrado i precedenti, venne considerato poco più di un vezzo artistico e incassò due spiccioli. Ma siccome a questo punto della rubrica dovrebbe essere chiaro a tutti che il cinema di De Palma tratta il tema del doppio in quasi tutte le sue forme, infatti il Doppelgänger di Vittime di guerra è proprio “Redacted”, una sorta di “memento mori” cinematografico che mette nuovamente in chiaro la posizione di De Palma e mi permette di citare un altro ragazzo piuttosto famoso del New Jersey, che su parole dei Temptations cantava: war, what is it good for? Absolutely nothing.
De Palma legge del vero incidente alla base del finto “Redacted”, lo stupro di una ragazzina di quattordici anni da parte di un gruppo di soldati americani di stanza in Iraq, per il regista è chiaro che sia di nuovo lo stesso terribile spunto alla base di Vittime di guerra, ennesima prova del fatto che gli anni passano e non solo la politica estera americana resta sempre la stessa, ma l’umanità finisca per fare gli stessi identici, abominevoli errori. Il regista raccoglie informazioni dai blog (ciao Brian!), da YouTube, dalle registrazioni delle telecamere di sorveglianza, oppure da quelle installate sugli elmetti dei soldati, un moderno occhio che uccide che porta De Palma alla soluzione che sta già davanti agli occhi guardoni di tutti: questa storia va raccontata così, perché è così che è stata raccontata quella guerra, con immagini frammentarie sfuggite alle maglie dell’informazione di massa, l’unico modo per raccontare la verità dell’occupazione americana in Iraq è mentire, ventiquattro volte al secondo se necessario.
Il metaforone alla base è sempre lo stesso, quello di Vittime di guerra, gli Stati Uniti che violentano i Paesi che invadono con la scusa di stare esportando democrazia, è come tutto questo ci viene raccontato che fa di “Redacted” il doppio perfetto del film con Michael J. Fox, in quello il cinema, l’elemento di fiction e proprio la presenza di un protagonista dal ruolo così chiaro (e canonicamente cinematografico) regalava un minimo di sollievo, un appiglio nella totale mancanza di senso rappresentata da una guerra, nel mezzo della quale il comportamento dei singoli sfugge ad ogni forma di controllo o logica.
In “Redacted” manca l’appiglio facile delle facce note, degli attori che diventano specchio del messaggio chiarissimo che De Palma voler far arrivare, più che in molti altri suoi film, qui De Palma mente per dire la verità, quindi l’inziale “tratto da eventi realmente accaduti” sembra le finte frasi analoghe che troviamo in troppi horror, salvo che le immagini che vediamo qui sono tutte finte, artificiali e create ad arte, ma servono a raggirare l’impossibilità di utilizzare il materiale vero che De Palma aveva scovato in rete, quindi il regista s’inventa un finto documentario francese, per elencare i numeri e i dati che servono a farci ragionare su come funzioni per davvero un “Check point” messo su dai soldati americani in Iraq. Ci vuole qualcuno che utilizzi un’arma carica a proiettili di finzione, come storicamente è sempre stato il cinema, per farci riflettere su una verità, anche semplice: non serve mettere un cartello che intima a fermarsi, scritto in inglese, in un Paese dove molte persone non sono nemmeno alfabetizzate, figuriamoci se possono leggere una lingua straniera.
“Redacted” è tutto così, forse l’unico difetto è il suo predicare ai convertiti, difficilmente qualcuno che pensa che sia stato giusto se non sacrosanto, portare la democrazia a quelle “teste di stracci” si guarderà mai un film come questo, per il pubblico generico, poi, non siamo di fronte all’elegante e magnetico stile dei thriller Depalmiani, perché “Redacted” è una visione sofferta, la sua scena madre è uno stupro raccontato in maniera impietosa, perché impietoso è il giudizio di De Palma, non puoi abbellire l’umanità nel momento in cui tocca il fondo, quello che ha potuto fare il regista è stato portare negli Stati Uniti la ragazza irachena che ha preso parte al film, anche perché dopo una parte così, non avrebbe certo potuto restare in Iraq senza rischiare la pelle, per la nuda cronaca, ora vive negli Stati Uniti dove si è laureata (storia vera).
La prima chiave di lettura, il primo strato di “Redacted” è tutto qui: un film che ci costringe a guardare quello che i media convenzionali non raccontano, perché troppo impegnati a mostrare bare con sopra la bandiera a stelle e strisce riportate a casa, ma solo quando ormai era impossibile tenere nascosto il vero numero delle vittime.
Utilizzando tecniche documentaristiche, De Palma sopperisce alla mancanza dei diritti legali sulle immagini diffuse in rete, quindi mente per dire la verità, in un cortocircuito tra realtà e finzione che si sovrappongono, ribadendo due concetti chiave nel cinema di De Palma, il primo il suo continuo invito a mettere in dubbio quello che vediamo, il secondo ricordarci che magari non sarà più il Vietnam il Paese invaso, ma la domanda per il pubblico americano resta la stessa: cosa ci facciamo laggiù?
Quello che mi piace di “Redacted” è… niente, perché è un film durissimo e se vi dicessi che si guarda a cuor leggero per riempire la serata, sarei più matto di quello che sono. L’ho visto due volte, la seconda in vista di questa rubrica e ogni volta è una sofferenza proprio perché come può non esserlo una storia del genere? Senza nemmeno l’appiglio di un Michael J. Fox che denuncia. Eppure, resta uno degli esempi migliori quando si parla di un cineasta incazzato, che usa l’arma che conosce meglio per dire qualcosa contro il suo Paese e, ovviamente, quell’arma per De Palma è il cinema.
Come fa ad essere cinematografico un film che di fatto annulla il montaggio, che mette insieme un finto documentario francese, la finta ripresa di un soldato che vuole usare le immagini riprese sul campo, per fare esperienza ed entrare poi alla scuola di cinema? La dichiarazione d’intenti arriva proprio per bocca del personaggio: «Non aspettatevi un film di Hollywood. Niente tagli veloci, niente musica adrenalinica, in pratica qui siamo nella merda»
L’unico altro film paragonabile per intenti e per indole (anche parecchio incazzata) che mi viene in mente resta Le cronache dei morti viventi di Romero, guarda caso, uscito nello stesso anno di “Redacted”, con la differenza che per George “Amore” l’elemento cinematografico (quindi finto) sono i suoi amati zombie, mentre per De Palma è la sua abilità di giocare con la settima arte, il suo essere un regista post-modernista che mette il cinema anche dentro una storia così votata a mentire, ma a fin di bene e non a fini di intrattenimento, come fa spesso la settima arte.
Durante uno dei primi posti di blocco, un soldato vede muoversi nella sabbia uno scorpione che viene aggredito e ucciso dalle formiche, impossibile non pensare alla stessa scena che vediamo nei primi minuti de Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah. Lì Bloody Sam usava quella scena per anticipare il destino dei suoi protagonisti, De Palma anche, visto che di fatto ci racconterà di un altro genere di mucchio selvaggio, un branco di aggressori in divisa. Anche se il senso di ineluttabilità, quell’essere di nuovo qui ad assistere alle stesse atrocità di Vittime di guerra, viene evocato anche dalle continue citazioni a Samarcanda che mettono ancora una volta in chiaro come “Redacted” sia il nuovo doppio nel cinema di De Palma, un “Vittime di guerra 2.0”
Per un regista che ha sempre utilizzato la musica come fondamentale supporto alle sue immagini, De Palma in una lunga scena utilizza la “Sarabande” di Haendel che è lo stesso identico pezzo che ogni buon appassionato di cinema associa subito a “Barry Lyndon” (1975). Per Brian da Newark l’omaggio non è casuale, De Palma ha dichiarato che la prima volta che ha visto il film di Stanley Kubrick, non riusciva a capire il perché di quelle carrellate così lunghe, perché un regista di quel talento si fosse imposto delle limitazioni così restringenti (a partire dalla fotografia naturale, tutta a lume di candela) per raccontare quella storia, poi ha capito presto che era la volontà di Kubrick di calarci nella realtà del personaggio quindi con “Redacted”, dove anche lui si è imposto delle limitazioni di stile, per chiedere al pubblico di calarsi nella realtà filtrata da questo nuovo punto di vista, ha scelto proprio Haendel, consapevole, però, di non avere dalla sua le immagini, quasi pittoriche di cui disponeva De Palma, ma per contrasto, uno scenario quasi apocalittico, generato dalla guerra.
Insomma,, il cinema di De Palma, il suo stile, è ben presente anche in questo film ad una prima occhiata anonimo, decisamente incazzato e che chiede al pubblico uno sforzo in un più, eppure resta destramente coerente non solo con i temi cari al regista del New Jersey, ma anche a quello che gli passava nella testa in quel periodo della sua carriera. Se Black Dahlia era un film incazzato con Hollywood, questo è altrettanto, se non più, incazzato nei confronti della politica estera americana, non a caso tutti e due i film hanno nella fotografia un elemento chiave, in grado di scatenare i ricordi e le emozioni dei protagonisti, perché entrambi sono film che chiedono al pubblico di riflettere sulla potenza delle immagini. Se le foto dello scempio fatto al corpo della Dalia Nera hanno smosso la coscienza americana, imprimendosi a fuoco nella memoria collettiva e nella loro cultura popolare, dovrebbero sortire lo stesso effetto anche le nuove immagini, postate su YouTube o sui vari blog della guerra ri-raccontata da De Palma, sempre con quello spirito critico e anche un po’ cinico: la macchina da presa mente in continuazione, mente ventiquattro volte al secondo.
Io, invece, non mento mai (nemmeno quando dico le bugie cit.) quando vi dico che la prossima settimana torniamo al Thriller per l’ultimo appuntamento con la rubrica dedicata a Brian De Palma. Avete letto tutto questo, volete perdervi proprio il gran finale?
Sepolto in precedenza venerdì 10 marzo 2023
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