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Renfield (2023): il Maestro colpisce ancora, no non Dracula, Nick Cage!

Ci sono tre ruoli che Nicolas Cage ha sempre dichiarato di
voler interpretare, diciamo i suoi personaggi dei sogni: Superman, di cui ha
vestito i panni in un film sfumato firmato Tim Burton, in cui sono sicuro
sarebbe stato un ottimo “Azzurrone” (ma soprattutto un ottimo Clark Kent), a seguire il
capitano Nemo e per finire Dracula (storia vera).

Trovo quasi poetico che al suo primo film nuovamente
Hollywoodiano, dopo anni passati ad alimentare la sua leggenda di re senza
corona in produzioni indipendenti, Nick Cage abbia finalmente potuto
realizzare uno dei suoi sogni, proprio lui che grazie ad un ruolo da aspirante
vampiro, si era messo sulla mappa geografica, mandando a segno il primo grande
titolo di culto (anche grazie ai meme generati) della sua carriera. Da vampiro stressato a ricoprire il ruolo del più famoso Nosferatu della storia del
cinema, niente male vero? Poi vabbè, là fuori è pieno di poveri di spirito che
sulla base di un fotogramma, hanno già deciso che questo è il film dove Cage si
è conciato da Giucas Casella, AH AH AH che ridere. Cazzi loro se si perderanno
un’altra occasione in cui il nipote di Francis Ford Coppola è riuscito a
mangiarsi un film dalla produzione più che complicata.

Nick Cage, come sempre Maestro di stile e di pantaloni morigerati.

L’idea originale per il soggetto va detto, è piuttosto
brillante, raccontare una storia che tutti conosciamo e che ci è stata già raccontata in tutte le salse dal punto di vista dell’aiutante del folle e
malvagio protagonista, un po’ come la storia del dottor Frankenstein dal punto
di vista di Igor (qualcuno ci ha quasi provato). Con la discriminante
che tra Dracula e il suo “famiglio” Renfield, nel corso dei decenni sia nata
una co-dipendenza, una relazione “tossica” (l’aggettivo più in voga in questi
anni) che per fortuna, sfruttata senza che a nessuno sia passata per il
cervello la malaugurata idea di raccontarla in modo serio, può risultare anche
divertente, quasi brillante.

Chi è l’autore di questa trovata? Uno che di norma ne ha
molte di idee così, mi riferisco a Robert Kirkman, papà di “The Walking Dead”
(il fumetto, non la serie) e “Invincible” (stesso discorso),
responsabile del soggetto e produttore con la sua Skybound Entertainment, per
un film che è stato – per ovvie ragioni – distribuito dalla Universal si, ma
non con poche difficoltà.

Il soggetto di Kirkman è caduto a lungo nel dimenticatoio,
complice anche il mezzo fallimento del tentativo di rilancio dei mostri della Universal, dopo anni passati nel famigerato “Development hell” (che più che
l’inferno sembra un limbo) alla ripresa delle attività il regista scelto era Dexter Fletcher, ormai esperto di film rimbalzati e palleggiati, che è presto saltato
giù dal carro lasciando campo libero a Chris McKay, uno che dopo un
ottimo inizio, sta un po’ raccogliendo le briciole e che qui dirige
tutto con fare scanzonato e scene d’azione volutamente bulimiche (e grondanti
sangue in CGI) come se fosse un Ruben Fleischer qualunque. Resta inspiegabile,
almeno per me, la scelta della fotografia curata da Mitchell Amundsen, di
abbondare con verdi al neon, quasi tutti concentrati nelle scene d’interni,
nemmeno tutte, ma soprattutto in quelle girate nella chiesa dove Renfield si reca spesso per
il suo gruppo di auto-aiuto, stile protagonista di Fight Club. Perché
virare tutte la fotografia al verde soprattutto su quel set proprio non lo so, il
risultato è “l’effetto Giucas Casella” che ha fatto tanto ridere i fresconi
dell’Infernet.

Svolazzare a gravità zero, nel vuoto cosmico del cranio di chi pensa: Nicolas Cage è inespressivo (brrrr…) 

Per il ruolo di uno che in passato è stato interpretato dal
leggendario Dwight Frye, dal grande Tom Waits e dal mitico Peter MacNicol, la produzione pensa bene di scegliere uno belloccio,
lanciatissimo, decisamente più efficace nel ruolo di “spalla” come Nicholas
Hoult, che qui inevitabilmente, più che il cane di guerra di Furiostrada,
ricorda più ‘o zombie ‘nnammurato di “Warm Bodies” (2013), film su cui
preferirei non dire niente.

Ironia della sorte, Nicholas Hoult qui ritrova Nicolas Cage,
di cui era stato “figlio” in “The Weather Man” (2005) e di cui per anni, il
giovane attore ha citato il nome indicandolo come uno dei suoi modelli, anche
se senza volerlo qui svolgerà un’altra funziona sociale, quella di spiegare al
mondo che Nicolas Cage si scrive senza la “H”, che invece ci sta in Nicholas
Hoult. Lo dico solo perché per curiosità (e masochismo), sono andato a leggermi la sezione
Trivia di questo film su IMDB e un frescone ha pensato di inserire tra le
curiosità che questo film ha due attori di nome Nicolas nel cast (Storia vera… purtroppo). Giusto per dirvi di quanto possa essere affidabile IMDB a volte.

I commenti su Imdb mi fanno quasi rivalutare “Warm Bodies”. Ho detto quasi! 

Però staremmo qui a parlare dell’aria fritta, se non fosse
per lui, King Cage, colui che è risorto dalla serie B ed ora è corteggiato da
Hollywood. Lo dico senza timore di essere smentito, “Renfield” è un filmino
leggerino, quasi divertente per lunghi tratti, ma il motivo per cui andrebbe
visto da tutti è la prova di Nicola Gabbia, che senza nemmeno bisogno di stare
sempre in scena, risulta un conte perfetto, inteso come perfetta sintesi della
sua idea di recitazione, ma anche degli altri grandi Dracula cinematografici
visti in passato. Riesce ad essere eccentrico e dandy (anche in cappello a
cilindro e bastone, che poi sono gli abiti con cui il Maestro va a prendere i
figli a scuola, storia vera) come e più di Oldman, sa essere sanguinario
e violento nelle esplosioni giocosamente “gore” come il miglior Christopher Lee e riesce ad omaggiare in modo grandioso le pose e le movenze di Bela Lugosi, senza risultare mai una fastidiosa imitazione, non è un caso se
anche questa volta, come da sua abitudine, la parte migliore di un film di Chris
McKay, siano i primi minuti.

“Renfield” inizia in bianco e nero e in formato 4:3,
ricalcando scene del Dracula di Tod Browning, con Nick Cage e Nicholas Hoult
nei panni (e nelle scene mitiche) che furono di Lugosi e Frye. Un’amorevole
strizzata d’occhio che a ben guardare è allo stesso tempo un’operazione filologica
sensata, visto che idealmente ricorda quanto fatto da George Melford per il suo
“Drácula”, ricalcato su quello di Browning e destinato ai mercati “latini”, ne
abbiamo parlato qualche tempo fa.

White on white translucent black capes, back on the back, Bela Lugosi si dead Cage (quasi-cit.) 

Chiarito il ruolo del “famiglio” o meglio, rinfrescata la
memoria a tutti, l’unico elemento di modernità sta nel consumo di insetti del
titolare, se una volta il divorare insetti di “Renfield” era il simbolo della
sua condizione di succube, nell’epoca in cui esce un film di super-pigiami la
settimana, mangiare insetti non è più una polemica da “Infernet” che fa
infervorare gli ultra cinquantenni, ma un modo per trasformare il belloccio in
beh, Spider-Man. Inutile girarci attorno, abbiamo un giovanotto con l’occhio
azzurro, che mangia ragni (formiche e quello che trova) e inizia a zompare come
L’Uomo Ragno, prendere o lasciare.

Chissà se esisterebbe ancora la polemica sugli insetti da mangiare, se gli effetti fossero davvero questi.

Lo fa anche nella prima scena, dove il Dracula di Nicolas
Cage è a piena potenza mentre combatte un paio di ammazzavampiri, gettando nel
mucchio elementi della storia che torneranno utili più avanti (come il cerchio
magico di protezione), un modo bello movimentato per aggiornare tutti sulle
“regole” del film tenendo il ritmo bello alto, insomma un ottimo inizio.

Da qui però iniziano i problemi, il conte bruciacchiato, ha
bisogno di sangue di innocenti per riprendersi, insomma un’altra normale
giornata di lavoro in ufficio per Renfield, peccato solo che tutto questo
discorso sulla co-dipendenza, in questa relazione “tossica” (e altri termini
alla moda così), venga gestito in maniera anche un po’ timida. Quando il conte
chiede un autobus pieno di cheerleaders, il suo famiglio si interroga se
debbano essere femmine, un’ambiguità su cui il conte cala una pietra tombale,
ma che poteva essere sfruttata di più, meglio e in maniera anche più comica,
invece così, sembra più che altro una strizzata d’occhio al secondo Jeepers Creepers, non so nemmeno quanto volontaria a dirla tutta.

«Mi sa che Cassidy sta sovrastimando gli sceneggiatori», «Si padrone», «Non essere accondiscendente», «Si padrone»

A proposito di non-citazione al genere horror sfruttare poco
o male, mi ha colpito vedere la mitica Caroline Williams nel ruolo
dell’avvocatessa che fa uscire di prigione Teddy Lobo, il figlio della Boss
criminale che qui ricopre il ruolo della Ma Gnucci di turno (questa la
capiranno solo i lettori di Garth Ennis). Perché la leggendaria Stretch
sia stata chiamata per un ruolo “muto” senza nemmeno una riga di dialogo
proprio non lo so, ma ho la sensazione che questo “Renfield”, che con i suoi 93
minuti di durata va contro tutte le moderne mode cinematografiche, sia un film
che quando uscirà in home video, avrà una sezione “Scene eliminate” molto
nutrita, basta dire che i titoli di coda del film, composti da scene dello
stesso, ne mostrano già alcune inedite, quindi credo che parecchio girato sia rimasto
sul pavimento della sala di montaggio. Anche se il montaggio ora è tutto in
digitale, lasciatemi passare lo stesso la metafora.

Ma Gnucci dovrebbe ordinare l’esecuzione del direttore della fotografia, un patito di luci al neon.

Il problema di “Renfield” sta tutto nel suo concentrarsi sui
personaggi di contorno, che risultano tutti meno interessanti del conte, ma
bisogna dirlo, lo stesso titolare, ovvero il personaggio di Nicholas Hoult, è
un vuoto pneumatico di carisma che non ha poi molto da dire. La sua
emancipazione grazie al gruppo di supporto, consiste nel comprarsi una casa e
dei vestiti brutti e poi diventare immediatamente dipendente da un’altra
persona, nella fattispecie la poliziotta Rebecca Quincy, con la sua sotto trama
del padre sbirro da vendicare e la sua lotta personale con la famiglia criminale
Lobo, che posso dirlo? Risulta contorno un po’ insipido intorno alla portata
principale, il motivo che fa staccare i biglietti al botteghino, ovvero il
conte di Nicolas Cage.

Questa sarà un meme per decenni in rete, garantito al limone. 

Poi boh, io sono sicuro che Awkwafina, attrice, comica e
rapper, in patria sia non amata, di più! Però è il secondo film in cui me la
trovo davanti ed è anche il secondo film in fila in cui la trovo fastidiosa,
per nulla divertente e anche drammaticamente fuori casting. Sembra una che sta
qui per dire al mondo «Guardatemi! Ci sono!» e se Nicholas Hoult forse,
spiegherà al mondo che non serve un “H” a Nicolas Cage, Awkwafina sembra stare
qui per spiegare al globo come si recita diciotto metri sopra le righe
risultando negativi ai fini della trama, insomma l’esatto opposto di quello che
fa normalmente Master Cage, che ha fatto dell’overacting (perdonate
l’anglicismo) una vera arte sempre al servizio della storia e dei personaggi.

La polizia della morale di “Infernet” verrà a prendermi dopo quest’ultimo paragrafo. 

Sorvolo sul fatto che Renfield, perda tempo a ripetere anche
tre volte di fila, che il personaggio della sbirra tosta, donna e orientale,
sia “perfetta” (parole sue) e perda la testa per lei per motivi più inspiegabili di quelli che
in passato, lo hanno portato a diventare il famiglio di un vampiro (almeno
quelli hanno una motivazione anche logica), tanto ormai lo sappiamo come
funzionano i film nel 2023? Ma soprattutto come vengono assegnati i ruoli
no? “Renfield” in tal senso è pura Hollywood, quindi non aspettatevi novità, se non altro ci possiamo divertire con le lunghe sequenze d’azione,
che meritano un paragrafo tutto loro.

Vi ricordate cosa vi dicevo di John Wick?
Ricordiamoceli questi anni. Sono quelli in cui un film su Babbo Natale o
su Dracula, si sentono in dovere di infilare dentro coreografie di
combattimento lunghe, articolare, dirette con il giusto montaggio e tenendo la
macchina da presa alla giusta distanza da chi si sta picchiando, anche se poi a menare sono attori che
non sanno tirare nemmeno un pugno. Se non altro qui i momenti d’azione si
giocano tanto sangue in CGI e tanta ironia, però ribadisco, noi amanti del
“cinema di menare” abbiamo vinto, perché un tempo eravamo segregati nelle
videoteche, ora Hollywood ci corteggia facendo menare tutti i suoi attori. Meglio prima? Meglio ora? Nel dubbio meglio domani così vado avanti con il post!

«Ciao esco di scena, lascio campo libero al vero protagonista» 

La trama di “Renfield” potreste raccontarla voi a me anche
se non avete visto il film, sulla base di quei due personaggi e momenti che vi
ho descritto. Di fatto sembra uno sketch del Saturday Night Live (e in questo è
identico al già citato film Natalizio) in cui Renfield ha una relazione
di co-dipendenza con un padrone narcisista e manipolatore. Al SNL sarebbe stata
una gag divertentissima di cinque minuti, qui diventa un film che ne dura 93, che tutto sommato non annoia mai, ma in fin troppi momenti si sente la mancanza in
scena dell’unico che – ancora una volta – ha capito in pieno tutta
l’operazione, ovvero Nicolas Cage. Anche perché parliamoci chiaro, questo film
va sotto bevendo dall’idrante contro What We Do in the Shadows (e a dirla
tutta, anche contro la serie tv omonima), ma non contro Nick Cage.

Il Maestro, dopo essersi mangiato il film. 

Penso che sia insito nel personaggio, Dracula è il tipo di
ruolo in cui devi essere gigantesco quando sei in scena, così tanto da imporre
la tua presenza anche in assenza, quando inevitabilmente il conte va a riposare
nella sua bara e chi resta, parla di lui e della sua minaccia. In questo senso
Nicolas Cage è SPET-TA-CO-LA-RE, sul serio, se si passa sopra tutta la mancanza
di carisma del resto del cast è solo perché Master Cage ne ha in abbondanza per
tutti.

D’altra parte “Tomb of Dracula” era un fumetto della Marvel, quindi Nicola lo conoscerà molto bene.

Entra in scena come una macchina da guerra, poi
bruciacchiato, distrutto e rovinato, Cage recita sotto metri di pesante trucco
prostetico, regalandoci una sorta di Darkman, una versione grottesca e
drammatica in puro stile mostro della Universal alla Lon Chaney Jr. per
poi tornare a piena potenza, sfoggiando momenti da vero dandy e movimenti di
sopracciglia (destinati a diventare un altro Cage-meme in rete), centellinando
e scegliendo alla perfezione ogni movimento, ogni strabuzzamento di occhi, ogni
ruggito o canino sfoggiato. Quando il conte Dracula Cage non è in scena, sembra
di vederlo sorridere malefico come lo Stregatto appollaiato ovunque, quando sta
davanti all’obbiettivo cancella tutto il resto del cast e anche quando per motivi
di trama, il film termina come deve terminare, Nicolas Cage riesce a brillare
anche in quello che è un momento chiave dell’interpretare Dracula. Lee, Lugosi,
Oldman ma anche Duncan Regehr ci sono passati, chiunque firmi per il
ruolo del conte sa che dovrà recitare una scena di morte, il modo in cui lo ha
fatto il Maestro è puro Cage al 100%, originale ma in linea con la tradizione di un personaggio che proprio di quella ne ha in abbondanza. Insomma la sua
prova è maiuscola, ma sulla sua uscita di scena, volevo alzarmi ad applaudire,
non l’ho fatto solo per non coprire la visuale alla persona che era seduta
dietro di me in sala (storia vera).

AVE SATANA CAGE! 

Per me “Renfield” era il film più atteso dell’anno, non per
il film di suo ma per la prova di Nicolas Cage, quindi posso dire che per
quelle che erano le mie aspettative, il Maestro anche questa volta mi ha
mandato a casa contento, altro che Giucas Casella, qui la magia c’è per davvero
e l’ha fatta il nostro Nicola Gabbia, se questo è il primo film del suo ritorno
ad Hollywood, ci sarà da divertirsi!

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