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Resident Evil (2002): la teoria dei paradossi zombi

Con tutto questo parlare di virus, quante volte avete pensato alla cara vecchia (si fa per dire) Umbrella Corporation? Oggi la affronta per noi Quinto Moro.

Premessa

Il filone zombi deve tutto o quasi a George “Amazing” Romero. La saga ludica di Resident Evil deve tanto ai film di zombi. Pertanto: quando la saga ludica vuole arrivare al cinema nelle mani di chi andrà a mettersi? Ovviamente non di George “Abandoned” Romero.

Resident Evil è un saggio sui paradossi, il più grosso sta nel fatto che al suo sbarco nei cinema, la saga che doveva il suo successo ai macilenti e ciondolanti zombiformi non voleva averci nulla a che fare, né con gli zombi, né con Romero. Allerta spoiler: quello che penso di Paul W.S. Anderson è quel che Cassidy pensa di GIEI GIEI Abrams.

Michelle discute con Milla delle sue scelte amorose

Un po’ di storia

Se non siete videogiocatori vi tocca un ripassino di storia (altrimenti saltate al prossimo capitolo). La Capcom è un’industria di videogiochi nipponica che ha sfornato titoli celeberrimi e vendutissimi, il più famoso di tutti è quello “Street Fighter” di cui si dice sia stato realizzato un film con Van Damme nel 1995, ma io non ci credo. L’altra saga ludica più famosa e redditizia è senz’altro Resident Evil (d’ora in poi RE).

Il primo RE ludico risale al 1996, caposaldo del survival horror, puntava tutto sulle atmosfere claustrofobiche e una storia ben raccontata: una squadra di agenti speciali inviata ad indagare sui misteriosi incidenti avvenuti nei boschi di Raccoon City. La missione fallisce e una seconda squadra viene mandata a cercare la prima. E siccome i boschi di Raccoon non sono il posto più tranquillo del mondo, pure i rinforzi si trovano nella cacca fino al collo (cacca di cane zombi per la precisione). Aggrediti e in parte sbranati, i nostri eroi si rifugiano in un villa sperduta tra i boschi. Ai sopravvissuti l’arduo compito di sopravvivere alle creaturine che popolano la magione, tra cani non-morti, ragni e serpenti giganti, lucertoloni bipedi e tanti, tanti zombi. Tutti nati dagli esperimenti della Umbrella Corporation, il cui laboratorio segreto si cela proprio sotto la casa.

Il gioco univa il filone zombi al tema della casa stregata, l’horror splatter, e una trama intrisa di misteri e spionaggio. Strizzava l’occhio già al mondo del cinema con una scena introduttiva, e quelle dei finali, girate con attori veri. Nel mondo dei videogiochi, quella di realizzare sequenze con attori in carne e ossa era pratica assai diffusa negli anni ’90, poi abbandonata in favore della sola CGI. Il corto che introduceva Resident Evil è un piccolo cult per gli appassionati, tanto da venire rimasterizzato recuperando anche i tagli della censura e ripulito in HD a 60 FPS. Cose da nerd.

Così vicino e così lontano dallo stile di Anderson

Le prime creature introdotte dal gioco erano dunque i cani zombi. Quei fottuti cani zombi con cui ho un conto aperto dall’adolescenza. Ma era la popolazione zombesca il motivo di maggior successo tra i giocatori, unito al taglio cinematografico delle inquadrature. Il primo RE dava l’illusione costante di trovarsi in un film, ci si muoveva attraverso inquadrature fisse che cambiavano al muoversi del personaggio, come nel montaggio della pellicola. Non sapevi mai cosa c’era dietro l’angolo, e non potevi guardarti indietro. Si doveva “subire” l’ambiente e, nella logica dell’horror, questo contribuiva a creare la tensione. La formula ebbe vita breve, perché comportava una serie di problemi nel gameplay, e rimane solo un ricordo per i vecchi giocatori. Il futuro del RE era lo stile più dinamico e ordinario dei giochi da consolle, con una virata sempre più decisa nell’azione pura. Virata che il cinema servì ad anticipare.

La tamarraggine era prevista sin dal 1996. Solo che la Capcom non aveva abbastanza soldi.

1° Paradosso: Anderson al posto di Romero

Il gioco del ’96 fu reso leggendario dalla censura e il suo ritiro provvisorio dal mercato. Se c’è una cosa che i censori non hanno mai imparato è che la censura serve l’esatto opposto della loro causa: fare rumore, scatenare l’indignazione opposta a quella che alimenta lo scandalo, e regalare tanta pubblicità.

Fu così che RE2, sequel del mitico gioco ritirato dal mercato, prometteva d’essere ancora più splatter e sanguinolento – cosa che in effetti era – generando una campagna pubblicitaria memorabile, col coinvolgimento nientepopodimenoché… Re Giorgio Romero! Il Re girò un corto da usare come pubblicità per Resident Evil 2. I 30 secondi netti di girato trasudavano delle atmosfere del gioco, centrando lo spirito di quello che è forse il miglior titolo della saga (RE2 appunto, che ha avuto un recente e riuscitissimo remake ludico).

L’entusiasmo dei fan per quei 30 secondi scarsi di pellicola portò – o meglio costrinse? – la Capcom a chiedere a Romero uno script per il primo film della saga. Romero ne scrisse una prima bozza a tempo di record, la presentò e con tipico contegno giapponese si sentì rispondere dalla Capcom: fa cagare. Online potreste trovare teorie alternative, che diranno come ci fu pure chi disse che lo script di Romero era buono (ed E’ buono fidatevi), ma la verità è che nessuno aveva voglia di crederci. Se il processo di produzione di un film passa tra scritture e riscritture, revisioni, tagli di regia e di censura, non crederò mai che qualcuno ci abbia creduto, a parte Romero.

«Sei tu il leader di colore che ci salva dagli zombi?», «Non credo, quello dietro la cinepresa non mi sembra Romero»

Lo script è reperibile online, e fa ancora pizzicare il naso ai fan, tanto del gioco quanto di Romero, non perché sia così brillante o innovativo, ma perché era piuttosto fedele alla storyline del primo gioco, e lo omaggiava in pieno, con un finale che poteva venire bello cazzuto. Vi rimando al robusto pezzo di Cassidy sul Resident Evil mai realizzato da Romero, che poteva essere un onesto film horror, con dinamiche e dialoghi molto anni ’90, e credo fosse questo il problema.

Se volete la mia, alla Capcom non volevano affatto un film “ispirato” a Resident Evil, ma un nuovo stile cui loro stessi potessero appoggiarsi, qualcosa di diverso da ciò che avevano creato: una roba sbrilluccicosa e caciarona da vendere alle masse, tale da rendere famoso il titolo a chi non ci aveva mai giocato. Volevano qualcosa di vendibile, intriso d’azione, anche per vendere a nuovi fan giochi molti più votati all’azione. Così fecero in quegli anni prima di esagerare e vedersi costretti ad un ritorno alle origini. Origini che Romero voleva rispettare dall’inizio, ma il tempo giocò un ruolo fondamentale: i primi tre giochi uscirono nel giro di tre anni, 1996, 1998 e 1999. Ma già al terzo titolo la formula era logora e il mercato ludico galoppava in altre direzioni. Inoltre, dal Giorno degli Zombi che fu in quel 1985, era iniziata la metà oscura della carriera di Romero. Gli anni ’90 non sono stati certo i suoi migliori. Con Resident Evil avrebbe goduto di un budget decisamente più ricco, ma non avrebbe portato la saga dove voleva Capcom: nel delirio action pieno di frizzi e lazzi. Lo script di Romero non andò oltre la fase embrionale, non venne mai discusso. Non ci fu alcuna pre-produzione. Personalmente vedo molto della Umbrella Corporation nella Capcom, ma lasciare fuori Romero dal progetto, dal loro punto di vista poteva avere senso. Ciò che non ne aveva era il rimpiazzo.

Il primo lo conoscete tutti. Ha solo fondato il filone zombie al cinema. Il secondo non l’avete mai visto. Ha solo sposato Milla Jovovich. Ora, onesti, quale delle due cose preferireste nella vita?

2° paradosso: il regista sbagliato e la protagonista giusta

Dal sogno infranto del papà degli zombi per una saga di zombi, Resident Evil passò nelle mani bucate dell’Anderson sbagliato. Non l’istrionico Wes o il rigoroso Paul Thomas, ma Paul W.S. che aveva sì portato un videogioco al cinema incassando un mucchio di soldi (Mortal Kombat del 1995, per cui meriterebbe di soffrire tutte le fatality di questo mondo), ma veniva da due sonori flop commerciali come Punto di non ritorno e “Soldier”, costati il triplo dei loro incassi.

Romero sarà pure un Maestro, ma non ha mai gestito budget faraonici. Anderson al contrario ha sempre saputo come spendere i milioni: male. L’Anderson sbagliato è co-produttore e scrive la sceneggiatura, ottiene praticamente carta bianca su tutto, e per Milla Jovovich crea da zero un nuovo personaggio, protagonista assoluto dei ben cinque sequel: Alice. Ma secondo voi, un regista-sceneggiatore che può attingere da una saga ludica letteralmente zeppa di personaggi femminili tostissimi, perché dovrebbe crearne uno nuovo? Perché è scemo? No, perché di quei personaggi non gli frega niente, e perché è furbo. Paul “Want Sex” Anderson non è solo andato a segno con Milla Jovovich, ma col suo personaggio, Alice che è l’unica cosa veramente azzeccata di questo film e dell’intera saga.

Dell’esercito di personaggi carismatici, machiavellici, eroici e sfaccettati dei videogiochi, Anderson non ne usa mezzo perché è la scelta più conveniente. Romero aveva in progetto di usare quasi tutti quelli del primo gioco ma hey! Questo è un film su Resident Evil, nessuno ci vuole i personaggi di Resident Evil! Anderson già sapeva di fare qualcosa che non c’entrava una ceppa con la saga ludica, quindi è stato coerente – non so se per volontà o per caso – a non pisciare sulla testa della fanbase più di quanto non avrebbe fatto con storia e film.

Nella lista della spesa Anderson mette solo la Umbrella Corp. e la sfrutta pure male nell’incipit con voce fuori campo che toglie il pathos della compagnia cattiva. Alice poi, credo sia nata solo per trovare abbastanza scuse per svestire Milla Jovovich. Solo che poi c’erano da girare altre scene da vestita e, dopo aver scarabocchiato la trama su un tovagliolo (o un Kleenex) Anderson si è ritrovato per le mani un personaggio in cui la bella Milla non si limitata a metterci il corpo ma pure l’anima, e ce l’ha messa tutta quanta, per tutta la saga. Anderson è una tale sega come sceneggiatore che nemmeno si rende conto delle idee potenzialmente buone che ha. Però lo capisco, provateci voi a restare lucidi con Milla che gira in quel vestito rosso.

«Mi stai leggendo, o stai guardando la ragazza col vestito rosso?» (quasi-cit.)

Alice si risveglia priva di sensi. Scopriamo, insieme a lei ormai priva di memoria, che è uno degli agenti a guardia dell’Alveare, il centro ricerche della Umbrella. Dunque sarà buona o cattiva? Non lo sappiamo e non lo sa nemmeno lei. Ruffianata che nella prima parte funziona. La stessa sceneggiatura, gli stessi eventi nelle mani di un altro regista avrebbe prodotto un film di ben più grande atmosfera. A parità di idee, montare il tutto diversamente, avrebbe dato molto più pathos.

L’incipit poteva lasciare lo spettatore all’oscuro di quanto era successo nell’alveare, del matrimonio fasullo, del furto del virus eccetera. Perché non lasciare il mistero all’incisione sull’anello, facendo crescere la tensione tra Milla e il suo fidanzato smemorato Solomon Kane (James Purefoy).

Il resto del cast è un po’ carne da macello un po’ facce da scemi, ma c’è una Michelle Rodriguez che si ritaglia il suo ruolo da ispanica tosta “troppo troppa” alla maniera della cara vecchia Vasquez. Michelle, che è un po’ garanzia che un film avrà nel DNA quel tot di tamarraggine godibile, ma ben lontano dalla tensione e le viscerali angosce della saga ludica, o almeno dei suoi primi capitoli.

Chi ci fa la magra figura, nel film come in tutta la saga, è la cattivissima Umbrella: tu, azienda multimiliardaria con un bunker supersegreto, se hai un problema mandi la tua squadra superaddestrata a risolvere i problemi. Allerta spoiler, la tua squadra superaddestrata a momenti non passa la porta d’ingresso. Chi invece ci riesce è Milla, che avrà anche perso la memoria ma si ricorda come si fa a diventare un’arma di distruzione di massa. Dopotutto è lei la guardiana d’ingresso dell’alveare. Un po’ come se l’eroe de “L’inferno di cristallo” fosse stato il concierge invece di Steve McQueen. Ma vuoi che la Umbrella Corp. non abbia i concierge più affidabili del mondo? No, se poi decidono di… ma basta con gli spoiler o vi tolgo l’unica cosa interessante dello script.

Soldati Umbrella. Addestrati a tutto. Forse.

3° Paradosso: gli zombi a calci in culo

Il kung-fu è bello. I pugni e i calci sono una delle cose più belle da vedere al cinema. Ma non in un film con gli zombi. È un paradosso che una saga basata sugli zombi abbia prodotto tutt’altro che atmosfere horror e paura. Anderson ha dato un calcio al secchio e usato i nostri macilenti redivivi come tappezzeria e carne da cannone. Colpa anche di Matrix, che per un quinquennio ha fatto più danni della grandine al cinema d’azione. Infatti se in quegli anni lì non ficcavi un bullet time e calcinculo in una scena d’azione non eri nessuno. Perciò, decise Anderson, d’ora in poi gli zombi si ammazzano a colpi di kung fu. Milla Jovovich che ci aveva pure provato a costruirsi una carriera lavorando con gente come Spike Lee, Luc Besson e Wim Wenders, da quel momento avrebbe continuato a menare le mani, diventando un’arma di distruzione di massa. E prendendo a calci quei fottutissimi cani zombi. Con la gonna. In bullet time. Roba che se penso a come io, appassionato videogiocatore, reagivo anche solo al rumore dei cani zombi, la mia mascolinità corre via singhiozzando offesa.

Calci rotanti che Chuck Norris lèvati.

Resident Evil scontentò i fan della saga ludica, ma non era stato fatto per loro. Il team creativo le cose giuste sul film le sapeva, mettendo qua e là dettagli e idee venute dalla saga, tranne che lo spirito. Infatti il film mostra: il laboratorio sotterraneo, il treno, gli sgherri della Umbrella coi mascheroni neri stile Hunk, il poliziotto appena assunto che potrebbe essere Leon oppure Chris (non è nessuno dei due), ed è in cerca di una sorella (che non è Claire). Pure il “licker”, una delle creature più celebri e ansiogene del gioco viene trasformata in qualcos’altro, perché un “boss finale” vale l’altro. Se tutto questo per voi è arabo non importa, vi basti sapere che Anderson e soci da RE hanno preso la tappezzeria, gli scarti del pranzo e qualche bozzetto. Ci hanno pasticciato sopra, messo un po’ di CGI e Milla Jovovich per distrarre tutti.

La cosa pazzesca è che in un film ampiamente rovinato dalla CGI inguardabile, c’è stato fior fior di tecnici degli effetti speciali capaci di creare modelli animati realistici e fighissimi apparsi in non più di tre o quattro fotogrammi. Vale per l’iconica scena dei laser, o il pupazzo del licker azionabile manualmente da un animatore, con testa mobile, trucco sanguinolento e viscido. Come dicevo, Anderson sa come spendere i soldi: male. Il montaggio e le inquadrature tolgono ogni valore ad effetti artigianali elaborati, robe per cui ogni regista che abbia dovuto sudarsi i fondi avrebbe dato un braccio. Mi immagino un Gilliam, un Romero, un Coscarelli, un Bava e compagnia mendicante a poter usufruire tanto ben di Dio e spremere il massimo da quelli effetti. Siccome Anderson c’aveva gli sghei, poteva permettersi di buttare nel cesso effetti favolosi, inquadrandoli male, tagliandoli peggio, e mettendo la CGI a rovinare il resto. (Lo sapevo che non dovevo vederlo il making of di questo film, sono morto dentro.)

Un tecnico porta a spasso un bastardino licker, e lì capisci che Anderson (che non lo sfrutterà) è un idiota

Va detto che Anderson con un budget meno faraonico dei suoi film precedenti porta a casa il risultato, il successo commerciale c’è, i soldoni rientrano e si può continuare coi sequel. Il budget-non-così-faraonico era di TRENTATRE’ milioni di dollari. Un minuto di silenzio per tutti i registi che hanno fatto la storia del genere horror e sono morti senz’aver mai visto tanti sghei.

Quando uscì al cinema non lo vidi, disilluso dal non coinvolgimento di Romero – ero giovane ma mica scemo – mi era chiaro che non ci sarebbe stato nulla del “vero” Resident Evil. La prima visione fu deludente, anche se fatta pace con l’idea che RE al cinema non l’avrei mai visto, tutti gli altri me li sono andati a vedere in sala. Morendo dentro un po’ ogni volta, ma affezionandomi ad Alice, perché Milla non è solo un bel vedere ma l’ha resa un’eroina action che funziona. Al netto di tutte le trovate imbarazzanti e caciarone di questo film e dei sequel, quando un’attrice ci crede tanto e si carica tutto sulle spalle con quella grinta e quel coinvolgimento, finisci per apprezzare quella passione.

Il finale resta la mia parte preferita del film [Nota Cassidiana]

Chiudo con uno dei passaggi che mi ha colpito nello script di Romero, capace di preoccuparsi di dare un senso pure al titolo: il titolo originale del gioco era “Biohazard” ma per questioni di diritti non si poteva usare negli USA e, di riflesso nel resto del mondo. Dunque la saga fu rinominata “Resident Evil” e così divenne famosa. Quel titolo, nelle idee di Romero diventava questo:

«The kind of evil that resides in all of us. Makes us greedy, uncaring. The kind of evil that will wipe us out, in the end. Unless we stand up against it»

[Quel genere di male che risiede in tutti noi, ci rende avidi, indifferenti. Il tipo di male che ci spazzerà via alla fine, a meno che non ci opponiamo.]

Dubito che un “Resident Evil” di Romero avrebbe mai dato vita a una saga, a dei sequel. Non credo nemmeno sarebbe stato un film “politico” ma una roba horrorifica con dinamiche tese tra i personaggi e un bel finale, probabilmente sì. Il Resident Evil destinato al cinema non era questo, ma la caciara di Anderson e le acrobazie e la passione di Milla Jovovich per un personaggio creato dal niente e riuscito comunque ad entrare nell’immaginario collettivo per un decennio.

P.S. Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film! Intanto vi ricordo lo speciale del Zinefilo dedicato ai film di Resident Evil.

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