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Resident Evil – Welcome to Raccoon City (2021): Pssst. Hey, Anderson… VAF-FAN-CU-LO!

L’esperto ufficiale di “Resident Evil” della Bara Volante è
Quinto Moro, quindi con un nuovo film in uscita dedicato al famoso videogioco, il palcoscenico
è tutto per lui, vai Quinto Moro colpisci alla testa quegli zombie!

N.B.: Mi riferirò alla “saga” di Resident Evil
(d’ora in poi RE) facendo riferimento sempre a quella ludica, e non a quella dei film
con Milla Jovovich.

Il
RE è morto! W il RE!

All’annuncio di questo remake-che-non-è-un-remake,
la domanda era se fosse possibile continuare il franchise senza Milla e la sua
Alice. Se ci metti Resident Evil, nel tuo film su Resident Evil, la risposta è
sì! E il nostro Johannes Roberts che il film l’ha scritto e diretto ha attinto
a piene mani dall’iconografia, le suggestioni, i personaggi e la trama dei giochi,
persino le inquadrature. A livello di regia è stato una vera sorpresa, brevi ma
efficaci piani sequenza, uso delle ombre e del buio come si deve, fotografia
ottima. Insomma, mi si è aperto il cuore, e ne sono uscite tutte le parolacce
rimaste lì rinchiuse per anni. C’è tanto da dire, ma prima:

“Cazzo siiiiiii, è così che si fa! Hai visto brutto Anderson-sbagliato-del-cazzo? Questo è Resident Evil! Questoooo!”

Scusate. Era tanto che volevo farlo.
Se vi siete persi qualcosa, Paul “Wrong Style”
Anderson è colui che vent’anni orsono prese una saga di videogiochi horror
d’atmosfera per trasformarla in film che c’azzeccavano poco o nulla. Ne ho già
parlato nel post dedicato al film del 2002, la saga cinematografica e quella
ludica ebbero pochi e forzatissimi punti di contatto. Ma Paul e Milla incassavano
i soldoni e continuavano a sfornare sequel, nonostante i loro film venissero
puntualmente stroncati dalla critica. Adesso pure “Welcome to Raccoon City” è
stato praticamente asfaltato. E stigazzi? Troverete poche recensioni positive
in giro, io cercherò di essere obiettivo ma vi avverto: sono un fanboy che ha
speso i pomeriggi nel buio della stanza a sparare agli zombi – e a quei
fottutissimi cani zombi – e mi sono comunque goduto la saga di Milla senza
rimpianti.
Certo che in un mondo in cui esiste un franchise di
sei film, SEI, sarebbe triste veder fallire proprio questo, che riparte da zero
per rendere onore alle atmosfere horror e splatter con cui tutto è cominciato.

Un
po’ di storia (di nuovo)

Un riepilogo delle storie originali per i troppo
giovani o troppo vecchi. Se già la conoscete passate al prossimo paragrafo.
Trama RE1:
la squadra speciale S.T.A.R.S. coi provetti sbirri Chris Redfield e Jill
Valentine indaga sui loschi affari – mostri creati in laboratorio – della
malvagia Umbrella Corp. Risolvono il caso con una bella esplosione. Tutto risolto
giusto?
Trama RE2:
Chris e Jill non hanno risolto un cazzo. Il letale Virus T ha trasformato
Raccoon City in una oktoberfest zombesca. Siccome le disgrazie non vengono mai
sole ecco un nuovo virus ancor più potente, il Virus G. Ma nuovi e più giovani
eroi Leon S. Kennedy – sbirro esordiente – e Claire Redfield – sorella di Chris
– arrivano in città. Tempismo del cazzo ragazzi: zombi per le strade, morte e
distruzione. Ma con una bella esplosione finale si risolve tutto, giusto? Col cazzo
(di nuovo).
Trama RE3: Le
case farmaceutiche sanno che l’uranio pulisce meglio della varechina. Raccoon
City tutta inzombettata verrà distrutta all’alba (Re Giorgo Romero insegna) e
Jill Valentine deve fuggire prima dell’esplosione finale.
Trama dei film
con Milla Jovovich:
non c’entrano un cazzo con la saga. Glissiamo.
Trama di
“Welcome to Raccoon City”:
Claire Redfield, orfana fuggita da Raccoon
torna in città per indagare (?) sulla Umbrella, un sinistra multinazionale presumibilmente
rettiliana. Suo fratello Chris, sbirro coccolato e cresciuto dalla stessa
azienda grugnisce: “vattenne complottist’e’mmerd!”
Liti in famiglia, cose normali. Defcon 5.
I vicini di casa di Chris hanno occhi rossi,
perdono capelli a mazzi, piangono sangue e si danno violazione di domicilio
come intrattenimento serale. Chris è uno sbirro membro della S.T.A.R.S.,
miglior squadra d’investigazione di Raccoon City.
Fin qui stiamo a Defcon 4.
Chris si strugge per la collega Jill. Jill sbava
dietro ai muscoli di Wesker. Wesker sbava dietro ai soldi facili. Eccoli i
fulgidi membri della S.T.A.R.S., la miglior squadra investigativa di Raccoon
City.
Saliamo a Defcon 3.
In squadra è appena arrivano un novellino dai
discutibili gusti musicali, che dorme mentre una fottuta cisterna di benzina
esplode a dieci metri dalla stazione di polizia, e dorme ancora mentre uno
zombi infuocato sta per azzannarlo. Nuovo fulgido membro della leggendaria
S.T.A.R.S.
Defcon 2.
Da qui è tutta discesa.

“Non voglio fare lo sbirro. Sembro un messicano, e gli sbirri odiano i messicani!”, “Leon, figliolo, hai sparato nel culo a un poliziotto. Trent’anni nel futuro sarai Presidente”
 

Non
è mai troppo tardi (?)

Il film era stato annunciato già all’uscita di RE: Final Chapter, col nome altisonante di sua maestà James Wan alla
produzione. Wan uscì di scena prestissimo, nel momento stesso in cui Johannes
Roberts saliva a bordo. Roberts si era profuso in grandi proclami di ritorno
alle origini, ricerca di toni più cupi e maggior fedeltà alla saga. Per quanto
mi riguarda li ha mantenuti.
C’è tutta la passione di chi ha passato ore negli
antri bui di Villa Spencer e della stazione di polizia di Raccoon City. Una
lettera d’amore lunga 100 minuti, con qualche errore di ortografia ma tanta
voglia di divertire il pubblico senza prendersi troppo sul serio. E dare ai fan
di vecchia data ciò che aspettavano (tranne i soliti che non accettano il minimo
cambiamento). Chi conosce solo i film della Jovovich si troverà davanti a un
prodotto completamente diverso, ma godibile.

Citazione e make-up scuola Tom Savini: “questo è amore, questo è davvero amore!”
 

Zero
aspettative? Alto godimento!

Avevo accolto freddamente la notizia di questo
film. L’hype stava a zero, ma questo è il RE che poteva e doveva essere
vent’anni fa. Puro stile anni ’90, saldamente ancorato al cinema di genere. A
tratti il fanservice supera il limite con qualche inquadratura e citazione fine
a se stessa, e rende alcuni passaggi del tutto superflui per lo spettatore
occasionale (vedi il filmino coi gemelli Ashford, o la scena del licker).
La parte iniziale è lenta, si prende parecchio
tempo per costruire l’atmosfera, introdurre i personaggi e gli eventi che
andranno ad esplodere nel finale. Per essere un film con gli zombi, bisogna
aspettare parecchio per vederli entrare in scena, ma ne vale la pena. Certo, che
la città vada fuori di testa in una sola notte è una forzatura, ma è funzionale
alla storia concentrata nell’arco di poche ore, quasi in tempo reale.
Unire le trame dei primi due giochi è stata una
scelta coraggiosa (per me vinta), anche se sacrifica molto. Il personaggio di
William Birkin che ha la faccia maligna di Neal McDonough, ci viene presentato
come importantissimo salvo poi sparire, lasciando vuoto lo spazio del villain. Capiamo
che c’è un legame importante fra Birkin e quanto sta accadendo, ma possiamo
solo immaginarlo.
Alcuni dialoghi sono spiegoneschi e messi lì giusto
per dare una spinta alla trama, poi sul finire tutto si fa sempre più veloce, ma
mano che ci si avvicina alla fatidica alba in cui la città verrà distrutta.
Quindi i difetti ci sono, ma essendo privo di
aspettative me lo sono goduto in ogni singolo momento, ogni inquadratura, ogni
citazione e dettaglio messo lì a sciogliere il cuore dei fan. A fine proiezione
ho educatamente applaudito senza fare rumore (storia vera). Stavo tipo quelli
di Big Bang Theory alla prima di Star Wars Episodio VII.

“Ma che ho visto? Che cazzo di film ho visto? Fanculo Andersooon!”
 

L’orrore!
Finalmente l’orrore!

Johannes Roberts (che non conoscevo – ma che era già passato su questa Bara, nota Cassidiana) ci mette un genuino
gusto per l’horror: tensione, atmosfera, mostri, abbondanti dosi di sangue e un
pizzico di body horror. Stupisce l’uso moderato e intelligente della CGI, di
fattura discreta se paragonata a produzioni di ben altro lignaggio (scade
giusto nell’immancabile boss finale). Tutta la confezione tecnica è solida a
fronte del budget più basso nella storia del franchise. Soldi ben spesi con
ottime scenografie – che spettacolo gli interni di Villa Spencer – gli effetti
speciali e soprattutto un trucco vecchia scuola per gli zombi, “belli” come non
si vedevano dai tempi di Romero e Savini. Zombi emaciati, sanguinanti e bilico
tra il classico ciondolare e gli scatti famelici stile 28 giorni dopo.
Il comparto sonoro è ottimo: rumori, suoni e lamenti
sono avvolgenti, gli spari sono “pieni” e rimbombano che è una bellezza. Le
poche musiche originali funzionano, e non mancano le solite, abusatissime hit
radiofoniche per inchiodare il film alla sua epoca. Ormai ‘sto viziaccio
maledetto ha infettato Hollywood, perciò se ambienti il film negli anni ’90
dovrai mettere pezzi famosi per urlare al pubblico: hey siamo negli anni
novantaaaaa!
Certo che “Crush” di Jennifer Paige ad accompagnare
lo zombi avvolto dalle fiamme devo capire se è idiozia, genio o semplicemente kitsch.

Ssshhhh! Zittite quelle hit anni ’90 se volete salvare la pelle.

Raccoon
City: in cattive acque

“Welcome to Raccoon City” mette le cose in chiaro
sin dal titolo: vuole accompagnarci a Raccoon, nei luoghi della storia a farci
respirare l’aria di una città morente e avvelenata. Nel farlo, usa un manipolo
di disgraziati che cerca di salvarsi la pelle provando a capire cosa diavolo
stia succedendo. Come mettere in un frullatore le situazioni più famose di RE,
parti miste di Distretto 13, La città verrà distrutta all’alba e… “Dark
Water”.
La Umbrella Corp. è come la DuPont che fa
esperimenti sui cittadini, li avvelena, delocalizza e cerca di insabbiare
tutto. Ok, questo non è un film politico, ma è una visione realistica della
grande azienda che cannibalizza la piccola città, sparisce e lascia dietro di
sé deserto e miseria (cosa ben comune negli Stati Uniti, chiedere a Michael
Moore).
Certo che un film su un’epidemia e una casa
farmaceutica stronza non è esattamente l’ideale nel 2021, e se da un lato ho
apprezzato che gli eventi della Umbrella siano rimasti nella nube oscura
“dell’incidente”, mancano quei 5 minuti dedicati ai laboratori e ai virus, con
qualche passaggio in più che avrebbe giovato al finale.

“Devo far luce sul mistero del virus!” – “E’ un gomblotto di Bill Gates per vendere vacciiiniii”

Girl
Power? Fuck (quasi) yeah!

Pur piazzando la scena post-credit per le velleità da
nuova saga, è dura immaginare dei sequel. Al film manca un trascinatore, un
personaggio/attore abbastanza carismatico da coinvolgerci storie future. Per
quanto il film sia ben recitato, serviva un pizzico di faccia tosta e di
cazzimma in più.
Il film butta nella mischia tutti i protagonisti
storici, ma rende assai difficile affezionarsi a qualcuno, anche perché la
scelta di renderli tutti un po’ più sporchi e stronzetti è intenzionale. In una
saga in cui tutti i protagonisti sono carini e coccolosi, cambiare gli
equilibri era sensato. Anzi, necessario.
Si parte con un flashback sull’infanzia degli
orfanelli Chris e Claire Redfield, sensata per creare un arco narrativo, anche
se non viene praticamente sviluppato, ma ho gradito.
Il personaggi migliori sono le (poco gentili)
donzelle della cricca: Jill Valentine dovrebbe spiccare grazie ad Hannah
John-Kamen (vista in Ant-Man & Wasp), ma ha pochissimo spazio. La vera
protagonista è la Claire Redfield di Kaya Scodelario (quella di “Maze Runner”), attorno
a cui dovrebbe ruotare la trama ma lo script non ci investe quanto dovrebbe. Il
resto dei maschioni fa rima con minchioni, ma non per la moda del momento. La
saga di RE non ha mai brillato per originalità dei protagonisti maschili, sfido
chiunque a dire il contrario. Non è un caso se pure nei film di Milla
dominavano le quote rosa.

Lo prendo come un passaggio di consegne. Sulla cazzimma c’è da lavorare, ma la convinzione c’è.

Cari
fottutissimi amici: due parole per i vecchi fan

Lo script di Roberts gioca con l’iconografia
storica, ribaltando gli equilibri dei personaggi. Jill Valentine è una poliziotta
estrosa e dal grilletto facile, sorprendentemente invaghita di Albert Wesker, storico
villain ridotto a un bisteccone coglione. Eppure la dinamica del triangolo fra
Jill, Wesker e Chris dà un senso al climax finale del trio. L’errore è stato
rinunciare alla personalità sinistra e complessa di Wesker.
Chris Redfield, nato eroe, è un ciocco di legno
senza carisma (com’è sempre stato, siamo sinceri), ma alla fine è il bravo
ragazzo cui si finisce per voler bene, anche perché ci regala uno dei momenti
più intensi del film: una cazzutissima sparatoria contro un’ammucchiata di
zombi che mi ha davvero gasato.
Claire, segnata da traumi d’infanzia che l’hanno
resa diffidente, scapestrata e tosta, è il miglior personaggio, ma meritava due
o tre tacche in più di leadership.
Infine quel primo della classe di Leon “Sfigato”
Kennedy è l’imbranata matricola fuori posto. Ci sono fan avvelenati per lo
stravolgimento del personaggio ma mi sono divertito a vederlo trasformato nel
contrario della sua immagine storica. È una recluta, non può e non deve essere
l’eroe, e sul finale punti. [ALLERTA
SPOILER]
Proprio Leon diventa il deus ex machina, quello che arriva
all’ultimo minuto con un lanciarazzi a risolvere la situazione, in pieno stile
RE. [FINE SPOILER]
Ho trovato i cambiamenti abbastanza sensati per
evitare un’ammucchiata di personaggi tutti uguali fra loro.

“Bel posticino, sembra familiare” – “Siamo noi che non siamo più gli stessi”

Sconsigliavatevi

Da vecchio fan dei videgiochi è stato come leccarsi
le dita immerso in una vasca stracolma di Fonzies. Gli altri forse godranno
solo a metà, ma il fanservice – pur eccessivo – celebra un mito che,
ricordiamolo, non è Stephen King né Lovecraft, non è Poe né Shakespeare.
Fanno abbastanza ridere le critiche di chi si
aspettava “Quarto Potere”. È sempre stato un survival horror in cui la salvezza
dipendeva da quant’era grossa la tua pistola, o quanti proiettili avevi. RE si
ispirava all’horror di bassa lega, con trame spesso lineari e grossolane, ma giocava
tutto sulle atmosfere e lì vinceva a mani basse. Nei giochi c’erano situazioni
ora terrificanti ora ridicole: c’erano i ragni e gli alligatori giganti nelle
fogne di Raccoon City! Dài, vogliamo infilarci il monocolo e la pipa per
guardare dall’alto in basso un film con queste origini, pretendendo una
raffinatezza narrativa che non gli appartiene? Una saga la cui trama è: casa
farmaceutica cattiva VS. boyscout e cowgirls? Con alcune fra le più atroci battute
nella storia dei videogiochi?
“Welcome to Raccoon City” può piacere o non
piacere, ma è fiero delle sue origini e mi ha fatto divertire.

Hasta la vista. Evitate i cortei con visi pallidi che piangono sangue. Mascherina, vaccino e pistola sempre carica. Ci vediamo nei sequel. Forse.
P.S.
Mille grazie a Quinto Moro per aver recensito il film!
Vi invito tutti a passare a scoprire qualcuno dei suoi lavori, che potete trovate QUI.
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