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Revenge (1990): la miglior vendetta è quella diretta da Tony Scott

La vendetta è un piatto che va servito freddo, oppure diretto e fotografato alla grande, parliamo di questo del nuovo
capitolo della rubrica… Lo Scott giusto!

Lo so che, forse, non era questo il film che vi aspettavate di
trovare a questo punto della rubrica, anche perché i siti italiani con la
filmografia del nostro Tony, riportano l’altro titolo del 1990 – quello che
arriverà su questa bara tra sette giorni – come quarto lungometraggio diretto
da quello dritto della famiglia Scott. Ma solo perché la lunga e travagliata
produzione di “Revenge” iniziata nel 1988, si è protratta nel tempo, anche
perché, parliamoci chiaro: questo film è passato in parecchie mani prima di
arrivare in quella di Tony.

Per un po’ Jack Nicholson sembrava interessato al ruolo del
cattivo, ma anche a dirigere il film. Uno che ci ha lavorato per davvero a
questa storia rimettendo mano alla sceneggiatura, è stato Walter Hill. Gualtiero nel suo inseguimento a Jeff Bridges, voleva l’attore
come protagonista dell’adattamento cinematografico del racconto di Jim Harrison
pubblicato sulle pagine di Esquire nel 1979. Niente di fatto, Hill e Bridges
sono finiti a lavorare insieme solo nel 1995, ma quando vi dico che i punti di contatto tra “Il Re della collina” e
lo Scott giusto sono tanti, non scherzo affatto.

I registi americani dirigono con il cappello da baseball. Tony Scott ci aggiunge anche il sigaro.

Da un Re ad un altro, sua Maestà John Huston sembrava
interessato alla regia, ma non ad avere Kevin Costner tra le scatole, problema:
Kevin si stava prendendo il finale degli anni ’80 con la forza e grazie al
successo di film come “Gli Intoccabili” (1987), “Bull Durham” (1988) e “L’uomo
dei sogni” (1989) era in rampa di lancio per diventare IL divo degli anni ’90.
“Revenge” è una nota a piè di pagina prima dell’enorme mareggiata che Costner
avrebbe scaricato sul pubblico, basta dire che a ruota dopo questo film è
arrivato “Balla coi lupi” (1990), ma roba come “Guardia del corpo” (1992) era
dietro l’angolo.

Il nostro Kev se le sente caldissima, il film vorrebbe anche
dirigerlo, ma i produttori preferiscono qualcuno con più esperienza per portare
a casa il risultato. Qui entra in scena lo Scott giusto, forte non di uno, ma di due enormi successi al botteghino, qui ha l’occasione per tornare a
dirigere qualcosa di meno caciarone e più concentrato su attori e personaggi,
le mire artistiche sono ancora quelle dei tempi di Miriam si sveglia a mezzanotte. Tony lascia il porto sicuro di Don (Simpson)
& Jerry (Bruckheimer), s’infila i Ray-Ban, si accende un sigaro e come il
protagonista del film va in Messico a dirigere, ma i casini lo seguono.

“Niente titoli di testa oggi, però ho il titolo del film sul berretto, vale lo stesso?”

Ci pensa lo stesso Jim Harrison ad adattare il suo racconto
in una sceneggiatura e “Revenge” sembra proprio la classica storia nata per
stare sulle pagine di un libro, il suo finale – per certi versi anticlimatico
– sembra avere bisogno delle riflessioni dei personaggi, certo, molte delle loro
motivazioni ci arrivano anche così, grazie alla regia di Scott e alla
recitazione degli attori, ma un certo casino in fase di montaggio rende tutto
meno efficace.

Sì, perché Tony Scott anzichè limitarsi a dirigere albe e
tramonti, scene d’azione efficaci e lasciare il protagonista libero di
scatenarsi come fatto in Beverly Hills Cop 2, qui ha le idee chiare, vuole qualcosa con carne e sangue, non
dico proprio Sam Peckinpah, ma quasi. Grazie al fidato direttore della
fotografia Jeffrey Kimball, ogni fotogramma di “Revenge” sembra sottolineare il
colore della polvere del deserto, come se tutto fosse rugginoso e decadente,
specialmente nella seconda parte del film.

Un ragazzo cavallo incontra una ragazza Jeep, tutto i film migliori iniziano così.

Inoltre, quando si tratta di violenza, Scott non tira via la
mano, prima ti fa affezionare ai protagonisti e poi li tratta nel peggiore dei
modi possibili, prima di un finale anti-glorioso, quasi beffardo nel suo andare
contro le aspettative del pubblico. Non voglio rovinare la visione a nessuno,
ma per un film che si chiama “VENDETTA” (come puntualmente sottolineato
dall’inutile sottotitolo italiano) dove dovrebbero esserci pallottole che
volano, arriva una decadenza fisica quasi come quella di David Bowie in Miriam si sveglia a mezzanotte. Non
proprio quello che uno si aspetterebbe da quel titolo, ecco.

Ma il problema grosso è il lavoro fatto da Tony, con i
produttori così preoccupati di tenere a bada Costner, lo Scott giusto ha campo
libero, il risultato è troppo: troppo sesso, troppi morti, troppo sangue e
cinismo. Qui le voci si accavallano e anche fare chiarezza è diventato
complicato, qualche fonte riporta di un Tony scontento delle condizioni di
lavoro e già sulla via di casa pronto a dirigere il suo altro film uscito nel
1990, altre sostengono che Costner alla fine l’abbia avuta vinta rimettendo
mano al montaggio del film. I titoli di ogni Scott che non faccia Ridley di nome
sono così poco considerati, che trovare materiale in merito diventa complicato,
figuriamoci se poi si tratta di un Tony Scott andato male al botteghino.

Belli belli, in modo assurdo (cit.) (Vi ho già detto che gli occhiali da sole sono la cifra stilistica di Tony vero?)

Il montaggio finale supera le due ore (124 minuti) e spiazza
un po’ tutti, troppo lungo, troppo violento, eppure malgrado i casini
produttivi, “Revenge” sembra un film immediato, come se fosse uscito dalla mani
del suo regista con grande facilità e che, ammettiamolo, è più memorabile della
sua brutta fama, un Tony Scott che andrebbe riscoperto.

Inizia proprio come un film dello Scott giusto, con un
caccia da combattimento in volo spericolato sopra il deserto, sembra una scena
tagliata di Top Gun, ma ci rendiamo che non è così perché sotto il casco del
pilota Jay Cochran, troviamo Kevin Costner e non Tom Cruise.
Jay, durante una battuta di caccia in Alaska, ha salvato la
vita al milionario messicano Tiburon “Tibey” Mendez (una costante dei film di
Tony? Personaggi con nomi cazzuti e soprannome “virgolettati”), per questo
decide di mollare l’aeronautica militare per diventare il pilota di Tibey.
Anche se oltre alla prima scena non lo vediamo pilotare niente di più
complicato della sua Jeep e sembri che in Messico ci sia andato
per giocare a tennis con il riccone interpretato da Anthony Quinn.

“Hai un bel rovescio per essere uno che pilota aeroplani ragazzo mio”

Tiburón in Spagnolo vuol dire squalo, ora chiamare “Tibey”
uno che porta il nome di uno dei predatori più letali del pianeta, è come
lanciare la pallina ad un Pittbull chiamandolo Stellina. A lanciare cani in
piscina invec , si pensa proprio Tiburón appena entrato in scena, la prova vorace
(anche nel divorare caviale) di Anthony Quinn mette in chiaro che magari a uno
così, è meglio non pestare i piedi.

Ma Jay è un tipo alla Fonzie, Tibey lo vuole in giro perché è
l’unico che ha la faccia tosta di dirgli di no non assecondandolo sempre,
problema: l’anziano riccone ha una giovane moglie di nome Mireya, fatta a forma
di una che non sembra messicana nemmeno per errore, però resta Madeleine Stowe
al suo meglio, quella che mandava in pappa il cervello di Occhio di falco (Daniel
Day-Lewis, non Jeremy Renner), ma anche quello di James Cole. E bisogna dire che
qui anche grazie alla regia di Tony, risulta ancora più bella. Avete già capito
perché il film si chiama “VENDETTA”, vero?

La nuova moglie di Marsellus Wallace Tiburon Mendez.

Tra Jay e Mireya è subito attrazione, ci girano un po’
attorno tra una limonata (in che senso?) e una poesia, ma poi durante la festa,
mentre Tibey balla in pista, loro ballano il mambo orizzontale, anzi verticale
visto che lo fanno nel ripostiglio.

Il modo in cui Tibey li scopre è scemissimo, ma anche senza
quella che praticamente è una confessione di Jay, non bisogna essere proprio
dei geni nel capire che sei il tuo amico improvvisamente decide di mollare tutto
e tornare in America e tua moglie nello stesso giorno, pensa di prendersi un
fine settimana di libertà, due cosette in testa dovrebbero iniziare a frullarti. E
non mi riferisco alle corna Tibey.

Jay e Mireya, lo fanno in tutti i luoghi e in tutti i laghi.
Nel vero senso della parola visto che fanno sesso anche in acqua.

…Ed io rinascerò Tiburon a primavera!

Ma il momento
più memorabile resta la scena di sesso sulla Jeep. Ora, lasciatemelo dire: il
sesso alla guida è tra le principali cause di incidente stradale, superata solo
dall’uso del cellulare. A parità di idiozia, meglio morire trombando che morire
“Tweettando”. Ok, dopo questa massima di vita molto delicata, torniamo al film.

Tony dirige la scena montando tre macchine da presa sulla
Jeep e lasciando che i ragazzi improvvisino, quindi questa scena marchiata a
fuoco nell’immaginario di tanti sporcaccioni spettatori, inaugura la
tradizione dello Scott giusto di usare più macchine da presa in una sola scena
(la farà diventare un’arte) e ci dice due cose: l’ottima regia è farina del
sacco di Tony, le zozzerie di Kevin e Madeleine.

“Pensavo che questa macchina avesse il cambio automatico”, “Infatti quella che stai toccando non è la leva del cambio”.

Mentre riguardavo il film per questa rubrica, la mia
Wing-Woman ironizzando sulla parentela del regista ha riassunto tutta la
rubrica alla perfezione: «Perché è morto questo che faceva dei bei filmetti,
invece dell’altro che è una palla?» (storia vera).

Il secondo atto del film inizia in modo brutale, quando
ormai ci siamo affezionati ai protagonisti, Tibey ritorna ad essere Tiburon e
si scaglia loro addosso con tutta la furia che il suo nome comporta. Jay viene
pestato a sangue e lasciato nel deserto a morire ricoperto di insetti (scena
che urla fortissimo «Sam Peckinpah!») a Mireya va peggio: sfigurata e costretta
a prostituirsi in un lurido bordello. La vendetta del titolo è quella del
marito tradito, in una scena (se non forse addirittura un intero film) che non
avrebbe nemmeno bisogno di dialoghi, Tony Scott narra per immagini, le fiamme
del nido d’amore dei due amanti che si riflettono sugli occhiali di Tiburon
sono il fuoco della sua vendetta. Letteralmente.

Bang bang! Feuer frei! (Cit.)

Ma vendetta chiama altra (tremenda) vendetta, da qui il film
iniziato come una roba quasi romantica con scene zozze tra attori famosi – ad
Hollywood sarebbe diventata una moda dal 1992 in poi, ma Tony è lo Scott giusto anche perché è il più avanti di
tutti – diventa un Noir a tutti gli effetti. Anzi, un Noir ambientato in
Messico, quindi con enormi strizzate d’occhio al genere western (Capito perché
Walter Hill era interessato?) e Scott maneggia la materia alla grande.

Come se la storia l’avesse scritta Joe R. Lansdale, ad
aiutare il protagonista e il suo desiderio di vendetta, arriva un personaggio
incollato a forza nella storia, ma provvidenziale, anche perché interpretato con
grande stile da Miguel Ferrer. Il suo
Amador sembra un serpente a sonagli, un Jack Crow meno fumettistico talmente
tosto da fare il vuoto, uno che può permettersi come “assistente” uno che di
solito si mangia la scena come John Leguizamo, che qui nei panni di Ignacio
parla poco e solo in spagnolo. Anche se pare che sul set con la compagnia di
alcune ragazze si sia divertito molto, le voci raccontano di una festa alcolica (degna
di Sam Peckinpah, che aleggia su questo film) finita con Leguizamo che vomita
addosso al povero Tony. Quello che succede in Messico, resta in Messico.

Vestiti (da fighi) per uccidere.

Bisogna dire che tra le facce note nel film, compare anche
il nostro Tomas Milian, ma è proprio l’associazione tra attori e personaggi ad
essere terribilmente azzeccata. In una trama semplice che procede come ti
aspetti – almeno fino al finale – avere due protagonisti “Belli belli in modo
assurdo”, un cattivo diabolico e delle facce brutte di gran classe è un valore
aggiunto, al resto ci pensa Tony che riesce a trascinarci al fondo nel cuore
nero di questa storia, pur dirigendo fotogrammi che sono dei quadri.

Il bello di un film così è la sua capacità di gasare lo
spettatore in attesa di uno scontro finale che Costner, Ferrer e Leguizamo
vanno ad affrontare di petto, camminando in parata armi alla mano, “Il mucchio
selvaggio” di Bloody Sam Peckinpah diretto da uno con un occhio particolare per
l’estetica. Dopo quella camminata ti aspetti le pallottole, invece capisci che questo
film poteva solo intitolarsi “Revenge” perché tutti i protagonisti alla fine
avrebbero diritto ad un po’ di quella vendetta. Però, nel finale, le distinzioni
tra buoni non sono più così nette, perché tutti sono stati vittime delle scelte
sbagliate degli altri personaggi, hanno fatto di tutto per stare insieme e
insieme sono sprofondati nel cuore nero di questo Noir ambientato sotto il sole.

Non proprio il finale di “Ufficiale e gentiluomo”, ecco.

Per Kevin Costner il flop di questo film è stato una battuta
d’arresto passata inosservata nella sua marcia trionfale, per Tony Scott un motivo
per tornare dai produttori Don & Jerry. Ma le ambizioni di portare il suo
cinema altrove per lo Scott giusto non erano ancora terminate, per assurdo nel
2007 un ragazzo con la lingua lunga, tenuto in altissima considerazione da
tutto il pianeta, ha invitato tutti a recuperare questo film, risultato? Con la
possibilità di rimettere mano al montaggio, Tony ha confermato tutta la differenza
con suo fratello (che ogni volta rimaneggia i suoi film, aggiungendo spesso
dettagli inutili) tagliando via dieci minuti buoni di pellicola, infatti se vi
venisse voglia di recuperare il film, cercate la “Director’s cut”, perché
fila via molto meglio.

Chi era quel ragazzo dalla lingua tanto lunga? Un tale di
Knoxville nel Tennessee, di nome Quentin Tarantino che ne dice tante (anche troppe), ma quando parla di Tony Scott è dannatamente serio. Occhio perché questo
signore tornerà più avanti nel corso della rubrica, per ora va bene così, ci
vediamo qui tra sette giorni, portate il casco! Ma prima vi lascio al tradizionale schemino
della “Scottitudine”, ma non perdetevi la locandina d’epoca del film, direttamente dalla pagine di IPMP!

“Di un po’? Qual è il fratello Scott giusto?”

Revenge (1990)

Se lo avesse diretto
Ridley?
Verrebbe riconosciuto come il film torrido pieno di scene di
sesso che ha iniziato l’ondata hollywoodiana di film con attori famosi
impegnati a fare cose zozze, con due anni d’anticipo. Ma lo ha diretto Tony, quindi, abbiamo dovuto
giocarci la “Carta Tarantino” perché qualcuno si convincesse a ridare una possibilità alla pellicola.
Nel paragone diretto
resta, comunque, migliore di:
“Chi protegge il testimone” (1987) e “L’Albatross
– Oltre la Tempesta” (1996)
La chimica tra i protagonisti non è nemmeno paragonabile e
a parità di titoli che sono stati un flop che nessuno ricorda, dài! Ditemi che
oltre a me qualcuno è stato così fesso da vedersi quella roba con i ragazzini
in barca? Dài, venitemelo a dire!
Risultato parziale
dopo il quarto Round:
Se non lo avete già fatto, ora volete tutti vedere la scena
della Jeep più del prossimo palloso “Alien” di Ridley Scott(o), continuerò a ripetervelo
finché non vi entrerà in testa: Tony, lo Scott giusto, Tony, lo Scott giusto,
Tony, lo Scott giusto!
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