Per motivi puramente anagrafici le olimpiadi di Atlanta sono state le prime di cui conservo davvero memoria. Tra i ricordi anche quello dell’attentato al Centennial park, che Clint Eastwood ha trasformato nella sua ultima fatica “Richard Jewell”, quello che a mani basse potrebbe essere il miglior film della sua produzione recente.
Che poi fatica, non ci sono davvero segni di fatica in un film diretto da uno che a maggio per spegnere le candeline sulla sua torta di compleanno, avrà bisogno di far fare gli straordinari ai polmoni, o in alternativa di un Canadair. E non voglio passare per poco delicato facendo riferimento al fuoco e agli incendi, perché tanto il vecchio Clint continua ad andare dritto per la sua strada come ha sempre fatto, per “Richard Jewell”. Non lo ha fermato niente, nemmeno le fiamme che hanno messo in ginocchio la California quest’estate, quando i pompieri sono arrivati ad evacuare gli studi della Warner Bros. di Burbank, Eastwood che era al lavoro sul film ha risposto loro: «Sto bene, ho del lavoro da fare» ed è tornato dentro (Storia vera).
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«Erano quattro fiammelle, sai come sono i giornalisti no? Esagerano sempre» |
Siccome su Eastwood io ho terminato gli aggettivi, passiamo direttamente al suo film, un altro sguardo senza ombra di morale sulla storia recente Americana, alla ricerca di un altro eroe che a guardarlo sembra tanto una persona normale, ma anche con la precisa volontà di non tirar via la mano, quando è il momento di affrontare le idiosincrasie del suo Paese. Siccome quanto si tratta del vecchio Clint la frase che sta per arrivare è un passaggio obbligato, mi sembra giusto ricordare a chi lo giudica etichettandolo come uno “sporco fascista” oppure come un “Repubblicano atipico”, in base al giudizio positivo o negativo sui suoi film, che questo è quello a cui non è fregato nulla dell’incendio, figuriamoci se qualunque commento può anche solo disturbarlo.
Richard Jewell è una guardia di sicurezza con ambizioni di poliziotto, che segnalando uno zaino sospetto, salvò la vita a numerose persone durante un attentato avvenuto durante uno dei concerti organizzati per le Olimpiadi di Atlanta nel 1996. Un eroe per caso che di eroico non ha poi moltissimo, di sicuro non l’aspetto parecchio sovrappeso, ma nemmeno l’attitudine, si perché il nostro “Riccardo Gioiello” non paga le tasse da anni, ha la casa piena di armi, è fanatico della caccia e delle procedure di polizia, uno fin troppo zelante che all’FBI pare troppo sospetto.
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Richard “Non proprio il vostro classico eroe Americano” Jewell. |
Il film tratta in maniera asciutta ma non prima di momenti emotivamente forti, la diffamazione e il successivo processo subito da Jewell, messo letteralmente in croce dai giornalisti e indicato dall’FBI come unico mandante dell’attentato. Una personale discesa all’inferno in cui a farne le spese sono state la privacy di Jewell, ma anche quella di sua madre Barbara “Bobi” Jewell (Kathy Bates, che si è guadagnata una meritata nomination agli Oscar per la sua intensa prova).
Paul Walter Hauser è una di quelle facce che abbiamo visto in tanti film, che qui per la prima volta si prende un ruolo da protagonista per altro piuttosto complicato, recitandolo davvero molto bene. Il suo Richard Jewell ha tutto per non piacere al pubblico, è un mammone incapace di qualunque malizia – compresa quella di tenere chiusa la bocca, anche quando rischia grosso – la cui fortuna è stata quella di trovarsi al posto giusto al momento giusto, dettaglio che però è diventato anche la causa del suo personale inferno, perché la sua unica vera colpa alla fine, è quella di essere fin troppo zelante nel seguire ogni genere di procedure, e di essere un’anima candida, uno di quelli che ancora crede per davvero nelle istituzioni, al punto da apparire tante volte ben più che naif in questo.
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«Cassidy non puoi fare queste affermazioni sul mio cliente. Ci vediamo in tribunale» |
Un bambino petulante che vorrebbe fare il poliziotto a cui Eastwood ci fa affezionare non tanto perché Jewell è il più adorabile dei soggetti, quanto perché per via della nobiltà dei suoi intenti, é finito in un tritacarne mediatico e burocratico che nessuno meriterebbe, tanto meno qualcuno di innocente. “Richard Jewell” segue perfettamente il filone di un film poco riuscito – ma coraggiosamente moderno nell’approccio – come Ore 15:17 – Attacco al treno, correggendone però i difetti. I protagonisti di quel film erano dipinti come degli eroi fin dal primo minuto, Richard Jewell invece di eroico non ha poi molto, a partire dall’aspetto, il colpo di genio di Eastwood è quello di opporlo a due “Belli belli in modo assurdo” come Jon Hamm e Olivia Wilde.
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Olivia “Non proprio Bernstein e Woodward” Wilde. |
Giovanni Prosciutto è un agente dell’FBI fortemente convinto della colpevolezza di Jewell, lo sbirro tutto d’un pezzo che non molla l’osso e non si fa problemi a giocarsi tutti i colpi bassi, anche i più sordidi pur di far crollare il suo accusato. Uno che a ben guardarlo ha la mascella quadrata e il ciuffo perfetto del vero eroe Americano, ma è anche quello che in cambio di un po’ di sano zumpa zumpa fa trapelare le notizie riservate. Un modo di continuare a puntare il dito contro le ipocrisie dell’autorità da parte di Eastwood, che sembra la continuazione di lavori come il suo “J. Edgar” (2011).
La giornalista Kathy Scruggs interpretata da Olivia Wilde (ben tornata, era un pezzo che non ci si vedeva!) da parte sua non si fa nessuno problema, nemmeno a sacrificare il corpo – letteralmente! – pur di conquistarsi una notizia da sbattere in prima pagina, quindi nello stesso film Eastwood riesce a criticare l’irresponsabilità della stampa e dell’FBI, mica male per uno da sempre associato al partito dell’elefante!
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Jon “Non proprio Melvin Purvis” Hamm. |
Il cinema di Eastwood per nostra fortuna non è mai stato così banale da opporre buoni da una parte e cattivi dall’altra (in fondo lui era il Buono meno buono mai visto al cinema), in “Richard Jewell” più che alla giustizia, il vecchio Clint pare ribadire l’importanza della verità, l’unico valore che rende davvero qualcuno libero e al sicuro. Il fatto che a difendere tale valore ci siano un aspirante poliziotto sovrappeso e uno stropicciato avvocato in braghe corte (Sam Rockwell ultimamente si vede spesso per nostra fortuna) è solo una conferma della lungimiranza come narratore di Eastwood.
Per certi versi “Richard Jewell” è l’altra faccia della medaglia di Sully, in quel caso il protagonista aveva la schiena dritta e l’aspetto dell’eroe, e grazie ad un gesto straordinario (una manovra di pilotaggio ardita e quasi impossibile da eseguire) riusciva a salvare delle vite, salvo poi trovarsi imbrigliato in un incubo burocratico, che sembrava dare più valore alle procedure, piuttosto che alle vite umane salvate.
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Stop! Hammer Jewell Time (quasi-cit.) |
Per Richard Jewell è l’esatto opposto, in termini di azioni, la guardia di sicurezza non fa nulla di davvero straordinario, ma si limita a seguire le procedure in maniera apparentemente troppo zelante, sono i giornalisti a renderlo un eroe prima – in una scena alla tv in cui nelle immagini, compare il vero Jewell -, e un mostro da sbattere in prima pagina dopo. Danno collaterale in una guerra necessaria a vendere qualche copia di giornale in più.
Eastwood è bravissimo a gestire una parabola discendente in cui Jewell non reagisce, anzi collabora con l’autorità ben oltre quanto sarebbe lecito fare visto il trattamento riservato. Durante la scena dell’attentato il vecchio Clint ci porta con la macchina da presa letteralmente in mezzo alla folla, salvo poi riprendere quella stessa scena nel momento peggiore del personaggio, il suo momento eroico trasformato nel suo peggiore incubo, ma anche quello in cui Jewell e il suo avvocato vanno al contro attacco, armati solo della verità.
Il monologo di Kathy Bates è un momento di assoluta sincerità che l’attrice recita in maniera straordinaria, e il faccia a faccia con l’FBI riesce a risultare incredibilmente dinamico, nel suo essere un semplice e statico dialogo. Eastwood avvicina lentamente la macchina da presa, stringendo il faccione del suo protagonista come in una morsa, mentre le domande di Jon Hamm lo mettono alle strette, ma quando poi facendo la più facile (e sincera) delle domande, Richard ribalta la situazione, la macchina da presa si allarga di nuovo, e questa volta quello messo alla berlina è l’agente dell’FBI. L’ultima inquadratura ironica, sul simbolo del Bureau, è una trovata satirica molto azzeccata.
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«Basta non ne posso più di sentire gli sproloqui di Cassidy, fatelo smettere!» |
Verso la metà dei 129 minuti di “Richard Jewell”, ho avuto la sensazione di stare guardando il film da circa mezz’oretta (storia vera), un lavoro serrato e ben ritmato capace di coinvolgere, che potrebbe tranquillamente essere il miglior film tra quelli diretti recentemente da Eastwood, migliore per ritmo rispetto al già ottimo The Mule, ma anche più avvincente di Sully, che al momento deteneva il titolo di questa categoria.
Insomma, al momento Clint Eastwood è il grande vecchio del cinema Americano, il più classico dei suoi registi e allo stesso tempo l’unico che invece di lasciarsi andare alla malinconia per i tempi andati, ha ancora qualcosa da dire sul suo Paese, e la statura artistica per farlo. Che lo faccia a quasi 90 primavere è incredibile, ma siccome ho già usato tanti aggettivi positivi su Clint in passato, da oggi posso aggiungerne uno che mancava alla collezione: Ignifugo.
Il che è perfettamente logico, il draghetto Grisù da grande voleva fare il pompiere, io invece continuo a voler essere Clint Eastwood.