Anche quest’anno avete risposto in massa all’iniziativa Cassidy cover your favorites giunta alla
sua quinta edizione. Mi avete suggerito un sacco di grandi titoli e spero (un
giorno) di riuscire a far contenti tutti, ma il vincitore di quest’anno con ben
tre voti raccolti è Vincent Cocotti che ha calamitato la mia attenzione con “Ricochet”
(in uno strambo Paese a forma di scarpa “Verdetto finale”), mi è bastato dare
un’occhiata ai nomi coinvolti nel film e ho iniziato a ripetermi «Yeah!» più
volte di Ice-T nella canzone composta per la colonna sonora.
Molto strano che questo “Verdetto finale” me lo fossi perso,
eppure sono stato ben felice di recuperarlo perché raramente un film ha saputo
radunare insieme così tanti prediletti di questa Bara Volante tutti insieme,
infatti mettetevi comodi, perché questo post sarà una girandola di idoli e
tanto per scaldarci iniziamo subito con Fred Dekker, lo storico compare di Shane Black propose la trama di “Ricochet”,
pensata in coppia con Menno Meyjes,
come potenziale nuovo capitolo della saga dei film dedicati all’Ispettore Callaghan, anche se il
soggetto venne rifiutato perché secondo voi, un uomo tutto d’un pezzo come
Clint Eastwood avrebbe potuto trascinare nel fango “Dirty Harty” come accade al
protagonista di questo film? Proprio no, va bene “Dirty” ma fino ad un certo
punto (storia vera).
A quel punto il soggetto finì nelle mani di Sua Maestà Joel Silver sempre a caccia di nuovi
polizieschi, infatti il piano iniziale era quello di affidare la regia allo
stesso Dekker, con un altro dei prediletti di questa Bara come protagonista,
Kurt Russell. Ma visto il contenuto piuttosto controverso, se non proprio
spinto del soggetto, Silver finì per unire le forza con la HBO, quella che un
tempo produceva film veramente tosti e di culto è non solo serie piene di culi come oggi. Ed è qui che arrivò il rimescolamento delle carte, Silver affidò il
soggetto ad uno dei suoi uomini di fiducia, con il compito di trasformarlo in
una sceneggiatura, francamente nome più bollente di quello di Steven E. de Souza non poteva esserci
sulla rubrica telefonica di Silver in quel momento.
Questo film in giro per il mondo ha avuto ogni tipo di titolo, ma non la traduzione “Colpo di rimbalzo”, peccato! |
Ancora caldo dopo il secondo Die Hard e Hudson Hawk, lo sceneggiatore responsabile dell’universo espanso di
ValVerde, non solo compare in un piccolo cameo (nel ruolo di un giornalista),
ma riempie “Ricochet” di dialoghi che sono puro de Souza al 100%, basta
ascoltarli per sentirli filare via come musica, con i personaggi ben
caratterizzati anche dal loro modo di parlare, oltre che ad essere tutti
intenti a snocciolare “Frasi maschie” come se non ci fosse un domani. Tutto
qui? Come se fosse poco, no no, perché Steven E. de Souza continua la sua opera
di universo espanso, partendo da un presupposto semplice: “Ricochet” è
ambientato nello stesso “universo narrativo” di “Trappola di cristallo”, il tutto
quando Kevin Feige faceva ancora lo stagista impegnato a fare caffè e fotocopie
e con un genere come il poliziesco, ben diverso da quello che tratta di solito
la Marvel.
Marvel? DC? Molto meglio l’universo espando di Die Hard! |
La giornalista che “tormenta” il protagonista Nick Styles è
interpretata dalla mitica Mary Ellen Trainor, che riprende il ruolo di Gail
Wallens, ovvero lo stesso personaggio che interpretava anche in Trappola di cristallo. Purtroppo il
giochino di riprendere molti dei personaggi di “Die Hard” messo su da de Souza
è un po’ saltato, perché ad esempio John Amos è il Pastore padre del
protagonista (che non a caso si auto definisce F.D.P. Figlio del pastore) un
ruolo molto diverso da quello che ricopriva nel secondo Die Hard, in ogni caso quando pensate di essere dei nerd,
ricordatevi che non siete nessuno di fronte a Steven E. de Souza!
Ora che ci penso anche il personaggio di John Amos in “Die Hard 2” era un F.D.P. (ma in un altro senso) |
Joel Silver affida la colonna sonora del film ad un altro
dei miei prediletti che aveva sotto contratto, ovvero Alan Silvestri che non
deve essersi impegnato molto per comporla, a parte un’interessante “marcetta”
para militare, in certi momenti le musiche di “Ricochet” rievocano addirittura
passaggi musicali che sembrano riciclati da Ritorno al futuro, evidentemente in quel periodo Silvestri aveva le mani pienissime
e tutte impegnate a comporre per Hollywood.
Ma la girandola di nomi famosi è appena iniziata, il film
venne affidato al regista Russell Mulcahy, ex grande promessa che aveva appena
sbattuto il naso contro la difficoltà di girare un seguito del suo film più famoso (oltre che uno dei post
più cliccati di questo blog, storia vera), infatti “Ricochet” era il
suo primo lavoro su commissione dopo il pasticcio di Highlander II – il ritorno. Insomma un modo per Mulcahy di cercare
di rientrare nelle grazie di Hollywood, anche se non tutto filò proprio liscio
come l’olio, ma prima parliamo del cast, con gli ultimi due grossi nomi in
arrivo.
La bizzarra carriera di un regista che avrebbe potuto avere tutto come Russell Mulcahy. |
Il ruolo dello sbirro protagonista, aspirante procuratore
distrettuale e promessa delle forze dell’ordine venne affidato a Denzel
Washington fresco del suo Oscar per “Glory” (1989), giusto un attimo primo di
calarsi nel ruolo di Malcolm X per Spike Lee, insomma caldo come una stufa e in
rampa di lancio totale, ma per la sua nemesi, tenetevi forte perché qui si vola
alto, per fortuna questa Bara è equipaggiata per farlo.
Il cattivo cattivissimo del film, così malvagio che sembra
uscito da un’altra era cinematografica (infatti è proprio così) Earl Blake è
stato proposto a Rutger Hauer prima di finire ad essere impersonato dal metro e
novantatré centimetri di puro talento di uno dei miei preferiti ogni epoca,
quel John Lithgow di cui sono vice presidente del suo fans club (iscrizioni
sempre aperte, informatevi nei commenti!) in un passaggio chiave della sua
carriera. Perché insieme ai successivi “Doppia personalità” (1982) di Brian De
Palma e “Cliffhanger” (1993), potrebbe tranquillamente completare la “Trilogia Lithgow
della cattiveria” anche se il nostro John ha saputo saltellare da dramma a
commedia, da bravo padre di famiglia
a pazzoide senza mai perdere un
millimetro del suo straordinario talento.
Insieme alla tessera del fan club di Lithgow, vi verrà fornita anche la maglietta. |
Giusto per mettere in chiaro il fatto che “Verdetto finale”
sia un film fatto dal sarto per il vostro amichevole Cassidy di quartiere, la
prima scena inizia su un campetto da basket, Russell Mulcahy da buon
Australiano forse non ha troppa dimestichezza con il gioco creato dal dottor
James Naismith infatti inquadra tutti un po’ troppo da vicino, oppure ha tanta
dimestichezza con il cinema e lo fa per cercare di mascherare la controfigura
utilizzata da Denzel per la scena della schiacciata, uno con decisamente troppi
addominali per essere lui, anche se pare che per la sua scena a torso nudo, si
sia allenato per settimane di fila tre ore al giorno (storia vera).
In un film pieno di nomi e trovate che mi piacciono, poteva mancare la pallacanestro? |
Nick Styles (Denzel) è il 50% di una coppia di strambi sbirri completata dal compare
Larry (Kevin Pollak), un poliziotto bianco e teledipendente che cita Star Trek e il tenente Colombo come se
non ci fosse un domani. In questo film pieno di classici della letteratura
utilizzati in modo trasversale (l’Earl Blake di John Lithgow rafforza la gamba
ferita usando tomi di Dostoevskij legati alla caviglia), il rampante Nick fa colpo sulla futura moglie intenta a
leggere “Mody Dick”, facendo sfoggio della sua laurea di avvocato, quella con
cui ambisce a diventare prima procuratore distrettuale e poi un giorno chissà,
magari anche il primo Presidente degli Stati Uniti nero, quasi una profezia di
Dekker e de Souza, visto che Denzel lasciò la pallacanestro al College per
andare a recitare, più o meno quello che fece Obama, solo che lui scelse la
politica (storia vera).
La svolta per Nick arriva una sera in servizio, il suo
destino di poliziotto si incrocia con quello di Earl Blake (applausi non per
Fibra ma per John Lithgow, grazie) anche lui criminale in rampa di lancio, che
nella sera durante il colpo che lo metterà sulla cartina geografica della
criminalità cittadina, si trova tra i piedi proprio Nick. L’entrata in scena di
Lithgow è micidiale, Mulcahy gli regala un primo piano mentre l’attore in un
vicolo si volta giocandosi una faccia (e una capigliatura) che ti fa
rimpiangere il fatto che nessuno gli abbia mai affidato il ruolo di Cletus Kasady in un film, uno bello
intendo.
L’importanza di chiamarsi John Lithgow. |
Blake prende a pallettoni criminali con regale
freddezza, infatti penso di aver contato due o tre battiti di ciglia per Lithgow
in tutti i 109 minuti di durata del film. A rompergli le uova nel paniere ci
pensa Nick, che pensando fuori dagli schemi prima gli si para davanti con una
delle tante righe di dialogo fighe scritte da de Souza («Potevi prendere
l’ascensore, non ti saresti fatto male e avresti dato meno nell’occhio»), poi
per dimostrare di non avere armi addosso (SPOILER: mente) e per risolvere una
situazione con ostaggi, si spoglia in diretta Tv continuano a parlare a
mitraglietta, prima di ferire Blake in un ginocchio e spedirlo dietro le
sbarre.
Il momento chiave, perché da qui in poi i due personaggi, due facce
della stessa medaglia, che come verrà sottolineato in uno dei dialoghi, si sono
conosciuti nel momento in cui entrambi erano in rampa di lancio nella loro vite
e carriere opposte, si ritrovano a seguire due parabole differenti.
Dovesse andare male, un futuro assicurato nel servizio di sicurezza delle spiagge nudiste. |
Nick Styles si sposa, mette al mondo delle figlie e grazie
ad un’arringa in aula degna di un principe del foro, diventa un giovane e
rampante procuratore distrettuale, uno dai metodi spicci, imparati sulla
strada, infatti il centro in costruzione per il sostegno delle comunità locale,
viene costruito tirando sui fondi grazie anche al padre, pastore delle chiesa
locale (John Amos), anche se poi a proteggere il cantiere, garantendo una forma
ben poco ufficiale di sicurezza, ci pensano i trascorsi di Nick con Odessa (Ice-T), per certi versi quello che
avrebbe potuto diventare Nick se non avesse scelto le forza armate, infatti
basta la sua amicizia (armata) con Odessa a mettere in chiaro il passato da ragazzo
di strada del protagonista, uno che non si fa problemi a trattare con le gang
armato solo di una granata, in realtà un accendino a forma di granata, ma la
politica è anche l’arte del mentire e del raggirare per ottenere uno scopo no?
Una bomba pronta ad esplodere, Denzel mica la granata, che avete capito? |
Quindi mentre “Verdetto finale” si dilunga per raccontarci
l’ascensa di Nick, in parallelo ci mostra anche la discesa all’inferno di Blake
(mai nome fu più azzeccato), che passa da un carcere all’altro, passando il suo
tempo a storpiare i carcerati che gli si parano davanti e a coltivare rancore
nei confronti di Styles. La lotta in stile “guerrieri ariani” con armature e
spade improvvisate, mi è sembrato tanto un modo per Russell Mulcahy di
continuare a stare in zona Highlander,
anche se John Lithgow è il vero spettacolo.
Ne resterà soltanto uno, è state sicuri che sarà John Lithgow. |
Parliamo di un personaggio talmente cattivo che alla domanda
«Ti sei passato il filo interdentale?» risponde dicendo «Si, ho usato un pelo
di tua moglie» e poi alla faccia del Red di “Le ali della libertà” (1994), si
presenta al suo discorsetto per la libertà vigilata dicendo «Quando sarà fuori
di qui andrò a casa tua, mi scoperò tua moglie, tua figlia e forse anche il tuo
cane», tutto questo prima di evadere dal carcere ammazzando tutti, anche il
vecchio bibliotecario che gli ha fornito i romanzi russi usati come pesi per il
ginocchio. Ma perché non li fanno più i cattivi così? Ma perché non li fanno
più gli attori del talento di John Lithgow?
Mi sembra il caso di dirlo: il peso della cultura. |
Blake durante l’evasione finge la sua morte e si dedica
anima e corpo alla sua vendetta, il suo piano di distruggere la vita di Nick
Styles è pura malvagità suddivisa su più atti, in un film dove nella prima
mezz’ora è già successo di tutto (e dove il ritmo non cala mai), quando Blake
inizia a maltrattare Styles si soffre, si soffre per davvero.
Pensate che ci è andata ancora bene, il film ha subito
svariati tagli perché nella prima versione era ancora più violento e cattivo,
dopo i primi test di prova con il pubblico, alcune scene sono scomparse, come
quella dove Blake dopo aver torturato e maltrattato Syles, gli fa ripulire il
vomito fornendogli un comodo cucchiaio, pare che l’idea di un bianco che
tortura un nero fosse un pochino troppo per il pubblico (storia vera).
Purtroppo nessuno dei due ha la visiera del cappello da girare all’indietro. |
In ogni caso quello che resta nel film è una discesa
all’inferno per il povero Nick, prima Blake lo incastra uccidendo il suo socio e utilizzando una falsa accusa di truffa e di pedofilia, poi ufficialmente morto per tutto
il mondo, si manifesta davanti al suo nemico («Oh gesù», «Non proprio»)
rapendolo, portandolo in una piscina svotata, trasformandolo in un eroinomane e
facendoli beccare pure lo scolo grazie ad una bionda professionista del
settore, che trasforma il nostro Nick nell’involontario protagonista di un “Sex
tape” da far arrivare a tutte le tv locali. Ci manca davvero solo la scritta con il rossetto sullo specchio “Benvenuto nell’AIDS” (cit.) e poi il quadretto
sarebbe stato completo.
John Lithgow è l’uomo nero delle favole che minaccia le
figlie di Styles nel loro letto mentre dormono con un’accetta e fa precipitare
il suo avversario nella follia, balbettante, tossico, creduto da tutti un pazzo
che parla di essere perseguitato da un morto («Vuole farmi passare per pazzo»,
«Mi dispiace dirtelo ma ci è riuscito»), Denzel è mostruoso nel rendere
credibile anche i balbetti sconnessi di un personaggio che ha toccato il fondo
e si è messo a scavare.
Sembra l’inizio di uno di quei film di cui di solito non scrivo sulla Bara (le commedie romantiche?) |
Russell Mulcahy ci racconta il braccio di ferro (letterale,
visto che i due si sfidano anche in questa disciplina) tra un buono finito
all’inferno e un cattivo che sembra emerso dallo stesso posto, avrete già
intuito che l’amicizia con Odessa sarà quella che farà saltare il banco, perché
a volte giocare sporco è l’unico modo possibile, quindi il finale è una tirata
in cui prima Denzel fa il pazzo sul tetto del palazzo e poi si scontra con il
suo nemico in un duello mortale, sempre in verticale, perché dopo aver toccato
il fondo l’unica cosa che puoi fare è risalire.
Difetti? Pochi, forse solo il fatto che il finale un po’
frettoloso dia per scontata la totale riabilitazione di Nick Styles, anche se
dopo il modo in cui Blake ha distrutto la sua credibilità, in un mondo reale la
sua carriera politica sarebbe più che finita, ma nelle realtà di un film basta
che il buono sconfigga il cattivo per poter rimettere tutte le cose al loro posto. Forse “Verdetto
finale” sarebbe stato anche migliore se avesse optato per un finale meno “aggiusta tutto”,
ma dopo essere stati trascinanti all’inferno con Styles, non è nemmeno male
vedere un po’ di sana giustizia cinematografica vecchia maniera firmata Steven
E. de Souza, che non a caso ci ricorda che i cattivi devono morire urlando e
cadendo nel vuoto, d’altra parte lo ha quasi inventato lui questo marchio di fabbrica no?
“Fai buon viaggio, Hans… no volevo dire Blake!” |
Insomma, sono ben felice di aver recuperato questo
poliziesco vecchia scuola che ha tutte le facce, i nomi e le caratteristiche
dei film che piacciono a questa Bara, anche quest’anno Cassidy cover your favorites ha svolto il suo compito a dovere!