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RIP Martin Landau e George A. Romero: Loro sono leggenda


Non so voi,
personalmente già coltivo l’odio per i lunedì mattina, ma uno più indigesto di
questo penso sia anche difficile da immaginare, nel giro di poche ore abbiamo
perso sia Martin landau che zio George Romero. Vi giuro che avrei preferito un
pugno sui denti.


Capisco che 89
anni siano già una bella età, ma non cambia il fatto che Martin Landau sia
sempre stato uno di quelle facce che faceva piacere veder spuntare in un film,
e ne ha fatti davvero tanti di film, quasi cento nella sua carriera, se dovessi
sceglierne solamente uno forse anche un po’ banalmente sceglierei “Ed Wood” di
Tim Burton, il film che valse a Landau l’Oscar come miglior attore non
protagonista, la sua interpretazione di un Bela Lugosi molto in là sul viale
del tramonto era davvero superlativa, tenera e malinconica allo stesso tempo,
anche grazie ad un impeccabile utilizzo dell’accento (finto) Ungherese.
Già gli accenti, perché
Martin Landau li conosceva TUTTI, sono rimasto impressionato da una sua
intervista in cui parlando della sua città natale (New York), riusciva
cambiando letteralmente voce a imitare tutte le connotazioni della parlata da “Knickerbocker”,
zompando agilmente tra il dialetto del Queens, che suona completamente diverso
da quello del Bronx (storia vera).
Ma il ruolo con
cui ho conosciuto ed imparato ad apprezzare il talento di Martin Landau è stato
senza ombra di dubbio quello del comandante Koening della serie “Spazio 1999”,
l’immagine di come mantenere la calma, e risultare comunque fighi, anche
affrontando cataclismi sul suolo lunare.

Grazie di tutto comandante!
In questo lunedì
disgraziato, è così che voglio ricordare Landau, grazie di tutto comandante, ci
vediamo nei film!
Se non fosse già sufficiente
dover salutare il gran talento di Landau, si aggiunge anche il fatto che non
posso scrivere poche righe che descrivano cosa è per me George A. Romero.
Chiedere ad un
appassionato di cinema qual è il suo film o il suo regista preferito è una
crudeltà, per quanto mi riguarda Romero è lassù tra i miei registi del cuore,
se amo il cinema, e quello horror in particolare, lo devo in buona parte al suo
straordinario lavoro.
Ad inizio anno,
quando ho dovuto scegliere a chi dedicare una rubrica, ho letteralmente
lanciato una moneta in aria per scegliere tra Romero e Cronenberg, ha vinto il
Canadese, con la convinzione che era solo questione di tempo, non avevo (e non
ho) intenzione di omaggiarne solamente uno dei due, ma non avrei mai immaginato
che la mia dedica sarebbe diventata postuma.
Romero è uno di
quei registi che ha rivoluzionato davvero il cinema, uno dei più grandi
filmaker di sempre, talmente mitico che nella mia mente, è sempre stato là,
intento a pensare come produrre il suo prossimo film, cosa che stava proprio
facendo, poche settimane fa l’annuncio di “Road of the dead”, scritto da zio
George ma diretto da Matt Birman mi ha mandato in brodo di giuggiole, stupidamente
non ho pensato che Romero forse sapeva qualcosa sulla sua salute che noi non
sapevamo.

Grazie Maestro, non hai idea di quanto mi mancherai…
Ci ha lasciati
nella notte, pare che la sua ultima richiesta sia stata quella di ascoltare la
colonna sonora di “Un uomo tranquillo” (1952) che guarda caso è anche uno dei
miei film di John Ford preferiti, un modo di andarsene da grande uomo di
cinema, che se non avessi un immagine da mantenere mi farebbe sudare le
palpebre, dannazione.
Sarà sempre
ricordato come il papà degli Zombie al cinema, non ho intenzione di utilizzare
nemmeno una parola per parlare in maniera sbrigativa dei suoi film perché in
vita mia li ho amati tutti, anche quelli che non finivano per “…Of the Dead”,
ci sarà tempo, modo, maniera e soprattutto lo spazio adatto su questa pagine
per onorare in dettaglio uno dei più grandi Maestri di sempre, poco ma sicuro.
Per ora ci tengo
a salutare zio George con la consapevolezza, anche un po’ dolorosa, che uno così
non lo rivedremo mai più, ma mi rifiuto di gettarmi nello sconforto per uno con
cui ho condiviso oltre che la passione per il cinema e i suoi “Blue collar
monster” come li chiamava lui, i suoi zombi operai, anche una miopia galoppante
e la passione per la pallacanestro.
Lo spilungone di
poche parole, schivo e a tratti timido che tutti quelli che hanno avuto l’onore
di lavorare con lui descrivevano, dietro a quegli occhiali giganti aveva una
visione chiarissima di cosa doveva essere un film horror, il genere più
sovversivo di tutti, con cui lui ha preso posizione (anche politica) ha puntato
il dito e ha fatto tremare lo status quo come l’horror e l’arte dovrebbero
sempre fare, perché ricordatevelo, sono sempre quelli di poche parole da cui
dovete guardarvi, quelli che più di tutti sanno come dare fuoco al mondo. Per
il mondo forse quella “A” puntata tra “George” e “Romero” ufficialmente sta per
Andrew, ma la spiegazione che mi sono sempre dato io mi piace di più, sta per
amore per il cinema.
Oggi è una
giornata troppo brutta per essere lucido e rendere omaggio a Romero come merita,
sappiate solo che qui sopra si parlerà ancora e tanto di zio George, ho sempre
voluto farlo ora più che mai. Per quanto questo cazzo di lunedì possa essere
brutto, ho una consapevolezza, e mi sembra giusto citare l’opera che ha
influenzato lo stesso Romero per il suo capolavoro “La notte dei morti viventi”
(1968): Certi artisti non ci lasciano mai davvero, alcuni di loro diventano
leggenda.

George A. Romero
era un uomo tranquillo, un grande regista, ed ora è leggenda.
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