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Rise – La vera storia di Antetokounmpo (2022): perfetto per il pomeriggio di Canale 5

Ci sono storie sportive che sono già cinematografiche senza
bisogno del caramello della Disney, una di questa è sicuramente quella di Giannis
Antetokounmpo, il campione NBA difficile da marcare ma anche da pronunciare.

La pallacanestro ne ha salvati tanti, dalla miseria, dalla
strada, a volte anche dalla prigione, nel caso di “The Greek Freak”
(soprannome da impiegare nel senso migliore del termine), la prima di tante
tirate d’orecchie al film va al solito, inutile, sottotitolo italiano che forse
avrebbe dovuto utilizzare il plurale, perché questa è la storia degli Antetokounmpo.

Il gioco è semplice: pronunciatelo giusto.

Figlio di immigrati nigeriani, Giannis è nato ad Atene come
i suoi quattro fratelli, ma senza la cittadinanza greca in accordo con le
leggi locali. Vivendo come apolide e in totale clandestinità, papà Charles si
sostentava vendendo occhiali e borse (non per forza del tutto originali) per le
strade di Atene, sognando un futuro migliore da calciatori per i figli, finché
i pargoli non hanno scoperto quel giochino con la palla a spicchi che come si
diceva lassù, qualcuno ne avrebbe anche salvato.

Giannis e suo fratello Athanasios detto “Thanasis”
(come sempre in questo tipo di storie, quello bravo a pallacanestro, anche se
ora in pochi ci crederebbero) avevano un paio di scarpe da basket in due,
perché le finanze di famiglia quello concedevano (storia vera).

“Per fortuna abbiamo lo stesso numero, altrimenti sai che sfiga?”

Come sia arrivato questo “Freak”, dal campionato di A2 greca in cui
giocava con la maglia del Filathlitikos, fino al Draft NBA del 2013 è una delle
più belle e bizzarre storie di pallacanestro, come si dice in questi casi una
favola che aspettava solo un lieto fine, arrivato con l’anello per il
campionato 2020-2021 con i Milwaukee Bucks, squadra che Giannis ha riportato
alla vittoria finale dopo l’unico titolo vinto nella storia della squadra della
città della Harley Davidson, arrivato nel 1971 grazie al talento di un altro “freak”,
un ragazzone di nome Lewis Alcindor, questo prima di cambiare religione e nome in Kareem
Abdul-Jabbar, per andare ad Hollywood a fare i film con Bruce Lee e vincere tutto con i Lakers.

“Rise” rappresenta l’ansia di Hollywood di raccontarci
questa storia (vera), che era già così cinematografica che forse, non aveva
affatto bisogno di un film, non uno come questo almeno, perché parliamoci
chiaro, la trama sarà anche competente nel suo seguire con fedeltà la pagina di
Wikipedia di Giannis (zone grigie e parti omesse comprese), ma il film di Akin
Omotoso che trovate su Disney+ starebbe benissimo nel palinsesto pomeridiano di
Canale 5, la storia del cestista senza passaporto talmente bravo da arrivare in
NBA grazie al supporto della FAMIGLIA, insomma avevamo bisogno di un altro film
Hollywoodiano a ricordarci dell’importanza dei parenti? Ne escono già ottantasei
la settimana.

Se non altro è coerente, The Greek Freak non è uno che salta giù dalla barca al primo problema, citofonare Bucks per conferma.

Che la storia vera della famiglia Antetokounmpo sia già di
suo una favola non si discute, a mio avviso non aveva certo bisogno di essere
raccontata come ha fatto Akin Omotoso, edulcorando ancora di più i fatti e
procedendo con l’avanti veloce sui passaggi meno chiari, per altro utilizzando
sempre la stessa soluzione narrativa: un volo ad uccello con la macchina da
presa sopra la città di Atene.

Come fa Giannis ad andare regolarmente a scuola da
clandestino? Inquadratura sui tetti delle case di Atene. Perché le squadre e
gli addetti ai lavori si impegolano così tanto con il ragazzo malgrado le evidenti
difficoltà burocratiche? Un altro po’ di inquadrature sui tetti e avanti veloce
con la storia.

Anche perché malgrado la buona prova del cast, in
particolare di Uche Agada credibilissimo nei panni del giovane Giannis e di Dayo
Okeniyi in quelli di papà Charles, il regista non si sforza nemmeno per errore
di mostrarci un po’ di basket giocato, per lo meno diretto un minimo
decentemente, in un paio d’ore scarse di film si intravedono un po’ di
allenamenti ed è impossibile seguire l’andamento di una partita, qualche acrobazia,
un paio di corse di Giannis e Thanasis, ma se la specialità dei fratelli Antetokounmpo
fosse stato il ping pong, per il regista e la storia sarebbe stato lo stesso,
visto che l’interesse è quello di sottolineare la pronuncia corretta del
cognome Antetokounmpo, oltre a tutti i dettagli della storia che già fanno parte dell’iconografia
del giocatore.

A mani basse la scena migliore del film (ma ci voleva anche poco)

Perché Giannis è così speciale? Oltre ad essere un frugolone
di 2,11 metri (tanto, ma la normalità per i professionisti della pallacanestro)
ed avere una storia personale unica alle spalle, per qualche motivo tutti
dovrebbero puntare sul suo talento correndo anche dei rischi? Il film si guarda
bene dal precisarlo, totalmente ignorante (e disinteressato) alla questione
della pallacanestro, preferisce farcire una storia già da favola di suo, di
elementi al caramello che stonano. Fa così schifo dire che l’agente che lo
segue lo fa anche per la promessa di tanti (ma tanti) soldi? Bisogna per forza caratterizzarlo
come una sorta di santo laico che aiuta gli Antetokounmpo perché se lo meritano
e perché sono buoni? Va bene pararsi dietro lo scudo della “storia vera”, però
da qui all’agiografia al saccarosio il passo è più breve di quelli che farebbe Giannis
lanciato in contropiede.

Quando una biografia risulta meno interessante che leggere
la pagina di Wikipedia dedicata al protagonista è un bel guaio, il vero stupore
generato da “Rise” sta nel poterlo vedere su Disney+ e non nel pomeriggio di Canale 5, incastrato tra “Un amore di corgi” e qualche programma con Barbara D’Urso,
proprio vero che in pochi sul grande schermo, sono riusciti a rendere il dramma
(ma anche il cinema) già insito in certe storie sportive. Ed io che sognavo il “Karate
Kid” tedesco, la storia dello smilzo Dirk Nowitzki da Würzburg, allenato dai
metodi da pura avanguardia di Holger Geschwindner, roba da far sembrare
canonici quello del Maestro Miyagi, ma se il risultato deve essere una robetta
da pomeriggio di Canale 5 così, piuttosto mi riguardo Karate Kid 4, consapevole che certe storie, appartengono al parquet
della pallacanestro, con titoli come Winning Time e Hustle in circolazione,
sprecare la storia di Giannis e la sua famiglia così è un fallo antisportivo.

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