Sono un ragazzo semplice, se loro fanno un film su Robin Hood, io guardo un film su Robin Hood, non si scappa, è come il comma 22, certo il più delle volte finisce con io che inveisco contro i santi, però non posso farci niente, sono un ragazzo semplice, semplicemente scemo quando mi sottopongo a film così.
Passo indietro. Non credo ci sia un archetipo narrativo (perché quando si parla di Robin Hood di questo si tratta) in grado di accalappiarmi come l’arciere di Sherwood, a memoria mia fin da bambino non mi sono mai perso un film, un cartone animato o un libro sul personaggio ed ogni volta finiva sempre alla stessa maniera: io esaltato a riprodurre le gesta del personaggio, a volte zompettando per la casa, altre, invece, con i Lego.
Se partiamo dai classici con Errol Flynn, per passare poi a “L’arciere di fuoco” (1971), “Robin Hood – La leggenda” quello del 1991 con Uma Thurman nei panni di lady Marian, fino al più celebre e da me amatissimo “Robin Hood – Principe dei ladri” (1991) con Kevin Costner, senza dimenticarci di classici assoluti come “Robin Hood – Un uomo in calzamaglia” (1993) di Mel Brooks per arrivare al mio Robin Hood preferito di tutti i tempi, quello del 1973 della Disney che, ammettiamolo, non si può battere!
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Tre film che avrete voglia di rivedere, per togliervi dagli occhi e fare pace con Robin Hood. |
Fino a questo momento, devo dire che una delle versioni peggiori che avessi mai visto, era il pallosissimo “Robin Hood” (2010) di Ridley Scott(o) che veniva già criticato per il tentativo di rifare “Il gladiatore” (2000) non solo per l’attore protagonista, ma anche per un tentativo di aggiornare certi passaggi risultando storicamente poco accurati. Ho rimosso quasi tutto del film di Scott(o), ma ricordo dei mezzi da sbarco in stile D-Day abbastanza fuori luogo, per fortuna, il mio neurone (perché chiamarlo cervello sarebbe peccare di megalomania) ha già cancellato il ricordo.
Devo dire che Mr. Neuro avrà il suo bel da fare per cancellare anche l’ultima incarnazione del personaggio, questo film che qui da noi in uno strambo Paese a forma di foresta di Sherwood scarpa si guadagna il sottotitolo di “Robin Hood – L’origine della leggenda”, una robetta che riesce nell’impresa di risultare ancora più storicamente impreciso del film dello Scott sbagliato (sono film così che mi ricordando quanto mi manca Tony), ma anche ben peggiore, gioisci Ridley! Qualcuno ha fatto ben peggio di te!
Quel qualcuno è Otto Bathurst regista inglese dal curriculum niente male, per lui la regia di tanti episodi di Peaky Blinders, ma anche il famigerato “The National Anthem” il primo chiacchierato episodi di Black Mirror, quello con il primo ministro e il maiale che mi ha fatto rigirare più volte sulla poltrona mentre lo guardavo. Insomma: uno con le carte in regola che si trova alle prese con un progetto che riesce ad essere in parti uguali paraculo, bruttarello e studiato a tavolino, anche se sarebbe più corretto dire studiato MALE a tavolino.
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Dopo i gilet gialli, siamo passati ai cappucci blu. |
Una delle prima frasi del film (pronunciata per altro con un’enfasi del tutto non necessaria) ci dice di dimenticare la storia che già conosciamo sul personaggio, che questa non è una favola per bambini. Davvero caro Otto? Allora perché la prima scena del film prevede un grosso libro intitolato “Robin Hood” che si apre dando il via alla storia, proprio come accadeva nella prima scena del film della Disney nel 1973? Tana per Otto! Beccato alla prima scena per altro.
Il resto prosegue con immagini da fumetto (insomma, poche idee ma confuse) per introdurre Robin di Locksley interpretato dall’attore diversamente espressivo (perché dire “pippa” pare brutto) Taron Egerton che un giorno riceve il foglio del precetto militare direttamente dallo sceriffo di Nottingham (Ben Mendelsohn) e pensate: stampato al computer! No, ma sul serio? Il messaggio che avvisa Robin di partire per le crociate stampato al computer con tanto di carattere finto medioevale?! Su questa scena ho capito che sarebbe stato un film luuuuuuunghissimo.
La prima delle tante bislacche idee di Otto Bathurst arriva proprio nel mostrarci il periodo passato dal futuro Robin Hood in terra santa, ve lo descrivo: nessun elmo in testa, perché si sa cha i Crociati non lo utilizzavano (eh vabbè), armatura “smanicata” che ad una prima occhiata sembra un giubbotto antiproiettile indossato su tunica color camo, perfetta per mimetizzarsi nel deserto. Il tutto, mentre insieme alla sua squadra di soldati Yankee inglesi si aggirano con l’arco teso e pronto a scoccare una freccia tra le rovine della città, per finire nel mirino di un cecchino armato di una balestra che spara frecce a ripetizione… Time Out Cassidy!
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Black Hawk Sherwood Down. |
A parte il fatto che tenere un arco teso a lungo richiede delle braccia notevoli, ma a parte questo, basta una prima occhiata a questa scena perché il nostro (il mio di sicuro) Mr. Neuro spappolato da anni di film, mi restituisca la sensazione di stare guardando un film di guerra ambientato che so in Afghanistan o in Iraq, con soldati americani moderni. Non ho voluto indagare, ma mi sembra di sentirlo Otto che dichiara di essersi ispirato a qualche film di guerra tipo che ne so “Zero Dark Thirty” (2012) per girare questa scena, sul serio, non voglio nemmeno sapere!
Ok, caro Otto, vuoi fare la versione moderna di “Robin Hood” che torna in patria dopo l’esperienza in guerra e trova il suo Paese sconvolto, nelle mani dello sceriffo interpretato da Ben Mendelsohn? (ormai specializzato in ruoli da cattivo in film che iniziano con la “R” dopo Rogue One e Ready Player One) che predica su questi immigrati maledetti che vengono qui, ci rubano il lavoro e minacciano la santità della nostra Chiesa?
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«Un soldo risparmiato è un soldo guadagnato. Per noi!» (Cit.) |
Un messaggio politico che urla “DONALD TRUMP” ad ogni sillaba, ma che andrebbe benissimo anche per i nostri attuali regnanti (tanto le teste di minchia restano tali a tutte le latitudini). Va bene, ho capito il tuo gioco, ho capito anche che il cappuccio sulla testa del protagonista è un segno di rivolta, ci può stare, hai fatto un episodio di “Black Mirror” che ha destato scandalo mettendo il tuo nome sulla carta geografica ed ora vuoi cavalcare la popolarità guadagnata, va bene, però non fare il paraculo poi quando ti metti a rubacchiare dai film più famosi, portando tutto nella “zona di sicurezza” (quella che va forte presso il pubblico) del film di supereroi, dai!
Sì, perché prima di tutto, “Robin Hood – L’origine della leggenda” introduce il personaggio del comandante moresco che parla perfettamente Inglese (in terra santa nel bel mezzo delle crociate è molto logico, no?) il cui nome è troppo difficile da pronunciare, ma che per comodità pronunciato all’Amerigggana all’Inglese suona un po’ come John. Ecco, bravi, proprio lui: Little John che, però, non è un orso simpaticone, ma è Jamie Foxx che recita con i segni moreschi sul volto, perché… Cacchio! Vogliamo non fregare il personaggio di Azeem da “Robin Hood – Principe dei ladri” (1991) dov’era interpretato da Morgan Freeman? Eh, dài, su! Beccato per la seconda volta Otto, devi farmele un po’ più difficili le citazioni, così mi annoio.
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Che sorta di origine ha il nome Azeem Foxx? Irlandese? Della Cornovaglia? (Cit.) |
Little John diventa il mentore di Robin, gli consiglia il cappuccio per celare la sua identità, gli alleggerisce la blusa per renderlo più agile, in pratica gli fornisce un costume da supereroe, ma non si limita a questo, grazie ad un arco definito speciale, “Un’arma da strada”, il nostro Robin può sparare frecce con il doppio della velocità e della potenza e fatemi sorvolare sull’assolutamente irrealistico dettaglio che il personaggio mette la freccia in posizione sull’arco, incoccandola dal lato destro (tendendo la corda, la freccia partirebbe per i fattacci suoi, per semplice fisica di base) tanto farsi questi problemi in un film così, sarebbe più assurdo che produrlo!
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Si va bene, sei un gran tamarro lo abbiamo capito, posso andare avanti con il post ora? |
Abbiamo il costume, abbiamo il super poter dell’arco, cosa manca? L’identità segreta, il suggerimento di Little John, per scardinare il governo corrotto: Intrufolarsi tra le trame di Stato e Chiesa (rappresentata da uno sprecatissimo F. Murray Abraham che spero, almeno, sia stato ben pagato) e di riuscire anche a riconquistare la sua lady Marian, è di fingersi il vanesio Robin di Locksey di giorno, per potersi muovere tra i salotti bene della città e diventare il giustiziere mascherato che ruba ai ricchi per dare ai poveri di notte. Per dormire, potrai sempre fare un pisolino verso mezzogiorno.
In poche parole, gli consiglia di diventare Batman! Ma come Batman? Io ero venuto qui per vedere Robin e voi mi date Batman!? Ma che fesseria è? Ma poi scusate: Robin Hood è, come dicevo, un archetipo narrativo da cui persino Batman ha pescato a piene mani, basta dire che semplicemente restando nel parco di personaggio della Distinta Concorrenza, Oliver Queen s’ispirava nell’arma e nel cappuccio proprio a Robin Hood, per diventare Freccia Verde e considerando che la serie tv “Arrow” è piuttosto popolare, non mi sembra una mossa molto astuta.
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John Woo perdonali, perché non sanno quello che fanno. |
Chiaro che “Robin Hood – L’origine della leggenda” voglia riproporre un personaggio classico ad una generazione di spettatori molto giovani cresciuti con i videogames e che al cinema vanno giusto per vedere il nuovo film di supereroi, però oltre ad essere una mossa filologicamente cretina è anche abbastanza inutile. Da bambino mi sono sempre esaltato per Robin Hood senza bisogno di equipararlo ad un supereroe, sarebbe già poco sensato farlo per Zorro, figuriamoci per Robin Hood!
Ho dimenticato di parlare di lady Marian che nel film è una specie di spia infiltrata tra le file del nemico, che, sbattendo le ciglia, convince chiunque a fare qualunque cosa, una roba credibilissima che mi fa quasi sembrare logico il fatto che una volpe, poteva essere il nipote di un leone nella versione della Disney. Se non altro, Marian (pronunciata “Marion”) è interpretata da Eve Hewson, figlia di Bono degli U2 intravista in Il ponte delle spie (sarà per quello che fa la spia anche qui?) su cui non saprei che altro aggiungere, se non che è molto caruccia, di quello bisogna darle atto, altri pareri su di lei in un film così sarebbe un’impresa improbabile. Inoltre prometto di non fare battute sceme basate sul nome d’arte del padre della ragazza, promesso.
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[NOTA DEL CURATORE: Questa immagine si espone a così tante battutacce di Cassidy, che per l’incolumità dei lettori abbiamo preferito censurarla] |
Chi riesce a sopravvivere in questo cinema di Hollywood in cui i supereroi imperversano, è Taron Egerton, non perché sia particolarmente bravo o carismatico, però dopo Kingsman, ha trovato il modo di mandare a segno un altro film di stampo fumettistico, in cui può fare gesta da supereroe senza, di fatto, esserlo. Sì, perché Otto Bathurst ogni tanto ci regala una scena in cui da spettatore puoi permetterti di spegnere il cervello e vedere questo Robin Hood da videogioco scoccare quattro frecce alla volta, muoversi a rallentatore e via così, in lunghe scene nemmeno brutte, ma parecchio fini a loro stesse, perché ormai la credibilità della storia è talmente sotto il livello di guardia, che il fatto che le scene d’azione siano meglio di quelle di Assassin’s Creed, è una ben scarsa consolazione.
Per altro, il finale lascia la porta aperta per un seguito che, per fortuna, non arriverà, perché con un flop colossale ovunque nel globo (si parla di 22 milioni di ex presidenti morti stampati su carta verde d’incasso, pochini visto il costo di 100 milioni) questo Robin Hood non siano riuscito a rubare a nessun ricco, tanto meno per dare ai “poveri” della Safehouse Pictures. Posso dirlo? Non è una grande perdita!
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Gli intenti della Safehouse Pictures riassunti in un’immagine. |
Lati positivi del film? So già che finirò per andarmi a rivedere il “Robin Hood” della Disney, tanto con queste nuove versioni del personaggio, finisce sempre così, il che non è un male, aiuta a cancellare dalla memoria filmetti inutili come questo.