
Un giorno speciale sul serio, perché il 31 ottobre di trent’anni fa nei cinema italiani prendeva servizio il poliziotto robot più famoso e amato della storia del cinema, questo compleanno prestigioso va festeggiato come merita con un bel blogtour!
-Fate un salto su Non c’è Paragone, dove Alfonso ci racconta la sua sul film!
–IPMP con la locandina italiana dell’epoca
-Fumetti Etruschi ci regala la novelization a fumetti del primo film e tutti i fumetti di Robocop!
-Non perdetevi il pezzo speciale del Zinefilo.
-Per concludere, passate a trovare anche il Robo Cumbrugliume!
ROBOCOP. Incredibile come sette lettere messe in fila possano contenere così tanta gioia, per me e per tanti altri come me, Robocop è un pezzo di cuore. Un’icona degli anni ’80 entrato così a fondo nell’immaginario collettivo da diventare un modo di dire (di solito associato al modo di fare o ad una camminata rigida), essendo stato piccolo per la parte finale degli anni ’80 e una buona fetta dei ’90, molti dei miei ricordi infantili sono legati a questo film.
Da bambino penso di aver visto il film di Polveròn un numero esagerato di volte, per poi perdermi senza soluzione di continuità tra i suoi seguiti (di cui parleremo, parola!), la serie tv e il cartone animato. Probabilmente anche voi a scuola giocavate a fare Robocop, io avevo un compagno di classe particolarmente impallinato con Alex Murphy, spesso finivamo a discutere chi dei due fosse più forte se Robocop o Terminator, per il quale, forse, ho sempre patteggiato una puntina di più, ma solo perché lo conoscevo da più tempo, poco importa, per me il protettore della legge, metà umano, metà macchina e tutto polizotto è un eroe come Indy, Mad Max e tutti gli altri.
Per anni ho semplicemente perso di vista questo film, sapete com’è no? Arriva sempre quella fase in cui dal cinema cerchi cose nuove, forse anche un po’ più adulte. Circa tre anni fa ho pensato di riguardarmelo Robocop, vediamo se la sua bellezza era tutti nei miei occhi di infante di allora, beh tra quella visione dopo… Boh? 15 anni, qualche passaggio televisivo e un ripasso per questa rubrica, sono tre anni in fila che mi riguardo “Robocop” giungendo sempre alla stessa conclusione: non mi stancherò MAI di rivedere Robocop! MAI!
Tra i pregi di questo film, molti dei quali cercherò di elencare in questo post, prima di tutto a colpire è la sua intelligenza, non proprio una caratteristica che ha sempre sempre fatto parte di tutti i film d’azione degli anni ’80, ecco. Un film che non somiglia a nessun altro, che mescola fantascienza, parolacce, violenza esagerata sfornando quintali di iconografia, da queste parti i film così si chiamano Classidy!
L’amore e il sangue è stata una prova generale, ma prima di trovare uno script adatto per il suo vero esordio nella terra della torta di mele (e delle armi da fuoco), Verhoeven ne ha scartabellati parecchi, anche uno scritto da Edward Neumeier e Michael Miner, si dice ispirato alla locandina del film Blade Runner, Mike di che parla questo film? Di un poliziotto che dà la caccia ai replicanti Ed. Da questa breve descrizione Ed (Neumeier) iniziò a pensare: “E se fosse il contrario?”. Un poliziotto Cyborg che dà la caccia agli umani, un’idea fantastica, no? Ecco, spiegatelo a Verhoeven, che a metà della lettura scaraventa il copione dritto nel cestino, condito immagino da alcune parole in Olandese che probabilmente non troverete nella Bibbia (storia vera).
Ma questa rubrica su Verhoeven mi ha fatto conoscere la mia nuova eroina, la moglie del regista la signora Martine, che recuperando i fogli stropicciati fece capire al marito che questa storia del polizotto Cyborg era più materia per il suo cinema di quanto non potesse sembrare. Adesso sapete chi dovete ingraziare per le ore passate a far roteare pistole giocattolo come Murphy!
Quando Paul Verhoeven decise di fare sul serio con questo film, non prese davvero più prigionieri, in contumacia Edward Neumeier e Michael Miner, il nostro Paul ci regala una visione di un futuro che potrebbe arrivare mercoledì prossimo, invecchiato per via delle scritte a fosfori verdi dei computer e qualche acconciatura cotonata anni ’80 di troppo, ma che visto a trent’anni di distanza sembra tanto una profezia avverata quasi del tutto, perché il futuro distopico di questo film ha sinistri punti di contatto con il nostro presente.
Sono stato a Detroit nel 1994, ero molto piccolo, per me era, ovviamente, la città di Robocop! Un posto che se raggiunto dal lato canadese, mentre sei ancora lì a fissare gli altissimi grattacieli della città, in un attimo ti ritrovi della parte più “ghetto” della città, quella con le case con le assi di legno inchiodate alle finestra, questo nell’anno 1994, con il tempo in compenso, è peggiorata, ora ha un tasso di criminalità da far sembrare Sin City e Gotham City messe insieme pericolose quanto Pisogne.
La sceneggiatura di “Robocop” è l’occasione perfetta per Verhoeven per continuare a fare quello che già faceva in patria con i suoi film olandesi, ovvero mettere alla berlina tutte le ipocrisie della società. Una capacità di intrattenere gli Americani utilizzando gli stilemi del loro cinema, ma allo stesso tempo prendendoli senza moralismi ne mezza misure per i fondelli.
La popolazione del film è lobotomizzata dalla televisione spazzatura, dal peggior criminale al dirigente della OCP, tutti ridacchiano davanti al tormentone “Me lo compro per un dollaro!” che nel film viene ripetuto spesso tanto da diventare una delle frasi simbolo del film e, a questo proposito, vi rimando al ghiotto pezzo di Doppiaggi Italioti davvero pieno di chicche che potreste non aver notato… Dick!
Verhoeven ci dà dentro con la satira, una delle trovate che hanno reso celebre “Robocop” sono sicuramente le pubblicità sparse lungo il film, trovo geniale che l’auto più ambita da tutti i cattivoni del film fosse la (Pontiac) 6000 SUX, in cui SUX sta volutamente per “Sucks”, mentre mezzibusti televisivi snocciolano notizie su bombe atomiche a satelliti che per errore hanno ucciso persone e due ex presidenti, un dettaglio che non solo fa le pernacchie alle “Guerre Stellari” di Ronald Reagan, ma che tornerà ancora più pungente in un altro film di Verhoeven come “Starship Troopers” (1997), a breve su questi schermi.
Se le pubblicità di “Robocop” e l’uso soffocante della televisione, sono un marchio di fabbrica, l’altro… Beh, l’altro è sicuramente la violenza. Provo veramente pena per tutti quei ragazzini che oggi crescono con le botte edulcorate dei film di super eroi e titoli asettici pensati a tavolino per non turbare nessuno, la violenza e il linguaggio di “Robocop” ancora oggi dopo Trent’anni è in grado di far abbassare le orecchie a tanto cinema pettinato PG-13 odierno!

Nella mia top 5 delle trovate più gustosamente traumatizzanti di sempre.
Ma proprio braccia e mani sono l’occasione per Verhoeven di lanciare stilettate alle parti molli del suo pubblico (grazie Paul!), quanti di voi non hanno sempre trovato terribile ed irritante il “Ne nene ne, ne nene ne…” di Boddicker, cantilena di tortura degna dei migliori horror, personalmente ho sempre trovato un pugno in faccia quando un attimo dopo, dalla soggettiva dell’ormai defunto Alex Murphy, sentiamo i medici tutti felici di essere riusciti a salvare il suo braccio, solo per poi sentire Bob Morton dire “Via il braccio!” come se parlasse di un etto in più affettato dal macellario, brrrr…
Anche per il casting poi Verhoeven decide di vincere sul suolo americano, usando tutti attori americani, venendo a mancare un accorto con il solito Rutger Hauer e dovendo escludere Arnold Schwarzenegger per via della sua stazza impossibile da avvolgere nell’ingombrante armatura di Robocop (storia vera), Paul optò per lo smilzo Peter Weller, ma per un film con Swarzy, sarebbe stato solo questione di tempo, per nostra fortuna, ma questa è un’altra storia.
Peter Weller arrivava da titoli completamente diversi (ma altrettanto mitici!), smilzo come un chiodo era perfetto per indossare la pesante armatura di Robocop, ma il dettaglio chiave è stato un altro: Verhoeven pensava che Weller avesse le labbra giuste per la parte, che detta così suona equivoca, ma considerando che sono anche l’unica parte del personaggio che vediamo dal casco non è certo una trovata stupida, no?
Ma anche il resto del cast è la dimostrazione che Verhoeven stava portando nel cinema americano un punto di vista nuovo, per pigrizia potremmo dire europeo, preferirei dire rivoluzionario anche considerando gli effetti finali ottenuti. Paul sceglie attori anche inaspettati per alcuni ruoli e beccami gallina se ne trovate anche solo uno non azzeccato! Persino i personaggi minori diventano caratteristici e riconoscibili, quindi figuriamoci quelli chiave!
Kurtwood Smith per il film ha dovuto indossare gli occhiali perché Verhoeven lo voleva più somigliante possibile ad un gerarca Nazista anche nel cognome del personaggio (storia vera), infatti come puntualmente accade, qualcuno ha tacciato il film di essere una fantasia giustizialista cripto-fascista per via di tutta quella violenza, state tenendo il conto di quante volte hanno dato del fascista a Verhoeven? Ecco, aspettate perché non siamo che all’inizio!
Ancora più clamoroso il caso di Ronny Cox, uno da tranquilli ruoli da incravattato che con il bastardissimo “Dick” Jones (spero non vi sia scappato il gioco di parole anglofono) svolta diventando esperto di cattivoni in carriera. Come sempre, Verhoeven non manca di caratterizzare i personaggi con i giusti toni di chiari e di scuri, trovo geniale che il dirigente “Buono” della OCP il rampante Bob Morton sia quell’enorme faccia da schiaffi di Miguel Ferrer (che la terra ti sia lieve), uno che sì ha creato il programma “RUBOcop” (stando alla buffa pronuncia italiana), ma è anche un leccaculo cocainomane pronto a sgomitare per emergere. Ennesima frecciata di Verhoeven alla classe dirigente, come a dire: il più pulito di voi ha la rogna.
Proprio la prima notte di Robocop, il momento in cui entra in azione, serve non solo per spiegare i suoi “Poteri” allo spettatore (le visione termografica, il mirino nel visore), ma è anche il modo con cui Verhoeven fa i conti con i topoi classici dell’eroe d’azione. In fondo, nella sua prima missione Robocop sventa una rapina ad un super market gestito da una famigliola (ogni eroe d’azione deve saperlo fare!) per poi salvare una donna da uno stupro, tema ricorrente nei film di Verhoeven, con cui qui pare fare i conti, perché poi un paio di zebedei spappolati a revolverate non vuoi infilarli? Dai! Il tutto con il grande Basil Poledouris che morde il freno per tutto il tempo con la sua colonna sonora, ma aspetta il momento giusto, quando il personaggio è finalmente dato davanti ai nostri occhi, per farla esplodere in tutta la sua tonante potenza. Ogni volta che il tema principale del film attacca mi esalto immotivatamente!
Sì, perché negli anni in cui il culto del corpo diventa fondamentale in Occidente, Verhoeven inizia (anzi continua) a martirizzare corpi maschili, ridicolizzandoli, oppure facendoli a pezzi come accade a quello di Alex Murphy, uno che ci crede, che vorrebbe davvero fare del bene diventando un modello di riferimento per suo figlio, ma che muore in un modo atroce, perché la carne e il sangue non mancano mai nei film di Verhoeven, nemmeno sotto quintali di titanio anti-proiettile.
Trovo significativo e terribile che ciò che resta di Alex Murphy oltre ai suoi ricordi frammentari, sia soltanto un brandello di carne che per puro caso è quello che una volta era il suo volto, attaccato sommariamente sopra a del freddo titanio. Sei umano perché hai un volto con occhi e bocca, oppure sei umano perché dentro di te c’è ancora un uomo con i suoi ricordi (la moglie che gli dice di amarlo), le sue esperienze, i suoi traumi (il ricordo doloroso della sua morte) e i suoi piccoli gesti, come far ruotare una pistola su un dito o grattare una marmitta sulla salita partendo sgommando in auto? Verhoeven non risponde, solleva dubbi, mica male come riflessione, in un film che parla di un poliziotto Robot no?
Verhoeven ancora una volta non giudica ci dà tutto questo materiale su cui riflettere dentro un film che sarebbe “solo” la storia di un poliziotto Robot che spara ai cattivi e intanto porta in scena il martirio di un povero Cristo morto per i peccati di una società, risorto tanto che ad un certo punto, sempre utilizzando le immagini religiose di cui è pieno il suo cinema, Verhoeven ci mostra Murphy che cammina sulle acque.
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We’ve got the American Jesus, see him on the interstate (Cit.) |
Se dopo trent’anni siamo ancora qui a ricordare un film che ha significato così tanto per tutti noi lo dobbiamo ad un regista capace di dirigere un’anomalia facile da etichettare, ma difficile da replicare, proprio come Robocop stesso “Ispettore Callaghan con i cuscinetti a sfera”, come recitava la frase di lancio cancellata per non incappare in cause legali (storia vera) che, però, non sarebbe niente senza l’uomo giusto, ovvero Alex Murphy. Quindi, buon compleanno Robocop, metà umano, metà macchina e tutto mito, grazie per averci portato con te lassù tra con le più grandi icone del cinema di sempre. Vivi o morti.
Ah! Noi non abbiamo mica finito sapete? Il poliziotto Robot di Detroit terrà banco qui sopra ancora per un po’, così come la rubrica su Paul Verhoeven, ad esempio la settimana prossima, portiamo le chiappe su Marte.