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Robocop (1987): vivo o morto tu verrai con me (nella storia del cinema)

Arriva sempre un momento analizzando una filmografia, di parlare di un film speciale, quel giorno è oggi, il giorno dedicato alla rubrica sollevare un Paul Verhoeven!

Un giorno speciale sul serio, perché il 31 ottobre di trent’anni fa nei cinema italiani prendeva servizio il poliziotto robot più famoso e amato della storia del cinema, questo compleanno prestigioso va festeggiato come merita con un bel blogtour!

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IPMP con la locandina italiana dell’epoca
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-Non perdetevi il pezzo speciale del Zinefilo.
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ROBOCOP. Incredibile come sette lettere messe in fila possano contenere così tanta gioia, per me e per tanti altri come me, Robocop è un pezzo di cuore. Un’icona degli anni ’80 entrato così a fondo nell’immaginario collettivo da diventare un modo di dire (di solito associato al modo di fare o ad una camminata rigida), essendo stato piccolo per la parte finale degli anni ’80 e una buona fetta dei ’90, molti dei miei ricordi infantili sono legati a questo film.

Da bambino penso di aver visto il film di Polveròn un numero esagerato di volte, per poi perdermi senza soluzione di continuità tra i suoi seguiti (di cui parleremo, parola!), la serie tv e il cartone animato. Probabilmente anche voi a scuola giocavate a fare Robocop, io avevo un compagno di classe particolarmente impallinato con Alex Murphy, spesso finivamo a discutere chi dei due fosse più forte se Robocop o Terminator, per il quale, forse, ho sempre patteggiato una puntina di più, ma solo perché lo conoscevo da più tempo, poco importa, per me il protettore della legge, metà umano, metà macchina e tutto polizotto è un eroe come IndyMad Max e tutti gli altri.

Mitico, iconico e con una mira perfetta («Che anima di pistola!» cit.)

Per anni ho semplicemente perso di vista questo film, sapete com’è no? Arriva sempre quella fase in cui dal cinema cerchi cose nuove, forse anche un po’ più adulte. Circa tre anni fa ho pensato di riguardarmelo Robocop, vediamo se la sua bellezza era tutti nei miei occhi di infante di allora, beh tra quella visione dopo… Boh? 15 anni, qualche passaggio televisivo e un ripasso per questa rubrica, sono tre anni in fila che mi riguardo “Robocop” giungendo sempre alla stessa conclusione: non mi stancherò MAI di rivedere Robocop! MAI!

Tra i pregi di questo film, molti dei quali cercherò di elencare in questo post, prima di tutto a colpire è la sua intelligenza, non proprio una caratteristica che ha sempre sempre fatto parte di tutti i film d’azione degli anni ’80, ecco. Un film che non somiglia a nessun altro, che mescola fantascienza, parolacce, violenza esagerata sfornando quintali di iconografia, da queste parti i film così si chiamano Classidy!

L’amore e il sangue è stata una prova generale, ma prima di trovare uno script adatto per il suo vero esordio nella terra della torta di mele (e delle armi da fuoco), Verhoeven ne ha scartabellati parecchi, anche uno scritto da Edward Neumeier e Michael Miner, si dice ispirato alla locandina del film Blade Runner, Mike di che parla questo film? Di un poliziotto che dà la caccia ai replicanti Ed. Da questa breve descrizione Ed (Neumeier) iniziò a pensare: “E se fosse il contrario?”. Un poliziotto Cyborg che dà la caccia agli umani, un’idea fantastica, no? Ecco, spiegatelo a Verhoeven, che a metà della lettura scaraventa il copione dritto nel cestino, condito immagino da alcune parole in Olandese che probabilmente non troverete nella Bibbia (storia vera).

Ma questa rubrica su Verhoeven mi ha fatto conoscere la mia nuova eroina, la moglie del regista la signora Martine, che recuperando i fogli stropicciati fece capire al marito che questa storia del polizotto Cyborg era più materia per il suo cinema di quanto non potesse sembrare. Adesso sapete chi dovete ingraziare per le ore passate a far roteare pistole giocattolo come Murphy!

Le figure guida sono importanti e noi dobbiamo tutto ad una psicologa olandese!

Quando Paul Verhoeven decise di fare sul serio con questo film, non prese davvero più prigionieri, in contumacia Edward Neumeier e Michael Miner, il nostro Paul ci regala una visione di un futuro che potrebbe arrivare mercoledì prossimo, invecchiato per via delle scritte a fosfori verdi dei computer e qualche acconciatura cotonata anni ’80 di troppo, ma che visto a trent’anni di distanza sembra tanto una profezia avverata quasi del tutto, perché il futuro distopico di questo film ha sinistri punti di contatto con il nostro presente.

Sono stato a Detroit nel 1994, ero molto piccolo, per me era, ovviamente, la città di Robocop! Un posto che se raggiunto dal lato canadese, mentre sei ancora lì a fissare gli altissimi grattacieli della città, in un attimo ti ritrovi della parte più “ghetto” della città, quella con le case con le assi di legno inchiodate alle finestra, questo nell’anno 1994, con il tempo in compenso, è peggiorata, ora ha un tasso di criminalità da far sembrare Sin City e Gotham City messe insieme pericolose quanto Pisogne.

Non ho mai incontrato Murphy, ma vi assicuro che la Motown non è tanto diversa da così.
La Detroit di questo film è tutta fabbriche abbandonate, povertà, crimine dilagante e uno Stato del tutto assente. Un postaccio dove i polizotti sono come sceriffi di frontiera che rischiano la vita come se fossero in una zona di guerra, esasperati tanto da minacciare lo sciopero, il tutto mentre i distretti sono già stati privatizzati da una multinazionale guidata da un sosia di un certo Avvocato che qui a Torino è L’Avvocato (mi rifiuto di credere che non abbiano pensato alla somiglianza), che pensa che la guerra al crimine sia il miglior banco di prova per testare armi da vendere nei mercati dove girano i soldi veri, gli scenari di guerra sparsi per il pianeta. Se poi contiamo che la città di Detroit ha dichiarato bancarotta nel 2013, Verhoeven pare davvero aver sfoggiato della preveggenza, come in un pezzo degli anni ’60, we almost lost Detroit.
Quando penso al cinema come si faceva una volta, questa è una delle mie fotografie preferite.

La sceneggiatura di “Robocop” è l’occasione perfetta per Verhoeven per continuare a fare quello che già faceva in patria con i suoi film olandesi, ovvero mettere alla berlina tutte le ipocrisie della società. Una capacità di intrattenere gli Americani utilizzando gli stilemi del loro cinema, ma allo stesso tempo prendendoli senza moralismi ne mezza misure per i fondelli.

La popolazione del film è lobotomizzata dalla televisione spazzatura, dal peggior criminale al dirigente della OCP, tutti ridacchiano davanti al tormentone “Me lo compro per un dollaro!” che nel film viene ripetuto spesso tanto da diventare una delle frasi simbolo del film e, a questo proposito, vi rimando al ghiotto pezzo di Doppiaggi Italioti davvero pieno di chicche che potreste non aver notato… Dick!

«Mi compro anche la Bara Volante per un dollaro!»

Verhoeven ci dà dentro con la satira, una delle trovate che hanno reso celebre “Robocop” sono sicuramente le pubblicità sparse lungo il film, trovo geniale che l’auto più ambita da tutti i cattivoni del film fosse la (Pontiac) 6000 SUX, in cui SUX sta volutamente per “Sucks”, mentre mezzibusti televisivi snocciolano notizie su bombe atomiche a satelliti che per errore hanno ucciso persone e due ex presidenti, un dettaglio che non solo fa le pernacchie alle “Guerre Stellari” di Ronald Reagan, ma che tornerà ancora più pungente in un altro film di Verhoeven come “Starship Troopers” (1997), a breve su questi schermi.

Se le pubblicità di “Robocop” e l’uso soffocante della televisione, sono un marchio di fabbrica, l’altro… Beh, l’altro è sicuramente la violenza. Provo veramente pena per tutti quei ragazzini che oggi crescono con le botte edulcorate dei film di super eroi e titoli asettici pensati a tavolino per non turbare nessuno, la violenza e il linguaggio di “Robocop” ancora oggi dopo Trent’anni è in grado di far abbassare le orecchie a tanto cinema pettinato PG-13 odierno!

Nella mia top 5 delle trovate più gustosamente traumatizzanti di sempre.

Pensate che Verhoeven ha dovuto anche trattenersi per non incappare nel divieto ai minori di 18 anni (storia vera), ma è chiaro che gli intenti di tanta violenza siano satirici, il dirigente della OCP crivellato durante la dimostrazione di prova del mitico ED209 finita non proprio benissimo, viene lasciato lì a sanguinare nell’indifferenza generale, tutto normale se sei costantemente bombardato da TG che snocciolano numeri di morti come se fossero statistiche di basket.
Una tranquilla e normalissima giornata in ufficio.
Per fortuna, mi sono reso conto che anche da bambino per qualche ragione, ho sempre visto la “Director’s cut”, la riconoscete perché è quella dove la morte dell’odiato Clarence Boddicker (“Sayonara Robocop!”) si vede bene in primo piano e allo stesso modo la mano di Murphy staccata di netto (“Dategli una mano”) è un altro di quei dettagli con cui sono cresciuto a cui tengo moltissimo e questo vi dice dei miei problemi!
Se in questo momento state facendo “Ne nene nene ne…” avete vinto un cinque alto!

Ma proprio braccia e mani sono l’occasione per Verhoeven di lanciare stilettate alle parti molli del suo pubblico (grazie Paul!), quanti di voi non hanno sempre trovato terribile ed irritante il “Ne nene ne, ne nene ne…” di Boddicker, cantilena di tortura degna dei migliori horror, personalmente ho sempre trovato un pugno in faccia quando un attimo dopo, dalla soggettiva dell’ormai defunto Alex Murphy, sentiamo i medici tutti felici di essere riusciti a salvare il suo braccio, solo per poi sentire Bob Morton dire “Via il braccio!” come se parlasse di un etto in più affettato dal macellario, brrrr…

Anche per il casting poi Verhoeven decide di vincere sul suolo americano, usando tutti attori americani, venendo a mancare un accorto con il solito Rutger Hauer e dovendo escludere Arnold Schwarzenegger per via della sua stazza impossibile da avvolgere nell’ingombrante armatura di Robocop (storia vera), Paul optò per lo smilzo Peter Weller, ma per un film con Swarzy, sarebbe stato solo questione di tempo, per nostra fortuna, ma questa è un’altra storia.

Peter Weller ha solo due espressioni: una con l’armatura di Robocop e una senza.

Peter Weller arrivava da titoli completamente diversi (ma altrettanto mitici!), smilzo come un chiodo era perfetto per indossare la pesante armatura di Robocop, ma il dettaglio chiave è stato un altro: Verhoeven pensava che Weller avesse le labbra giuste per la parte, che detta così suona equivoca, ma considerando che sono anche l’unica parte del personaggio che vediamo dal casco non è certo una trovata stupida, no?

Ma anche il resto del cast è la dimostrazione che Verhoeven stava portando nel cinema americano un punto di vista nuovo, per pigrizia potremmo dire europeo, preferirei dire rivoluzionario anche considerando gli effetti finali ottenuti. Paul sceglie attori anche inaspettati per alcuni ruoli e beccami gallina se ne trovate anche solo uno non azzeccato! Persino i personaggi minori diventano caratteristici e riconoscibili, quindi figuriamoci quelli chiave!

Come Ronny Cox ha scoperto di essere bravissimo a fare il cattivone bastardo nei film.

Kurtwood Smith per il film ha dovuto indossare gli occhiali perché Verhoeven lo voleva più somigliante possibile ad un gerarca Nazista anche nel cognome del personaggio (storia vera), infatti come puntualmente accade, qualcuno ha tacciato il film di essere una fantasia giustizialista cripto-fascista per via di tutta quella violenza, state tenendo il conto di quante volte hanno dato del fascista a Verhoeven? Ecco, aspettate perché non siamo che all’inizio!

Ancora più clamoroso il caso di Ronny Cox, uno da tranquilli ruoli da incravattato che con il bastardissimo “Dick” Jones (spero non vi sia scappato il gioco di parole anglofono) svolta diventando esperto di cattivoni in carriera. Come sempre, Verhoeven non manca di caratterizzare i personaggi con i giusti toni di chiari e di scuri, trovo geniale che il dirigente “Buono” della OCP il rampante Bob Morton sia quell’enorme faccia da schiaffi di Miguel Ferrer (che la terra ti sia lieve), uno che sì ha creato il programma “RUBOcop” (stando alla buffa pronuncia italiana), ma è anche un leccaculo cocainomane pronto a sgomitare per emergere. Ennesima frecciata di Verhoeven alla classe dirigente, come a dire: il più pulito di voi ha la rogna.

Quando vedo la faccia da schiaffi di Miguel Ferrer e i fosfori verdi io mi sento a casa mia.
Menzione speciale per l’unico personaggio femminile del film, in una storia dove per ovvie ragioni il sesso e le donne hanno poco spazio, la “ciancicante” agente Lewis è l’ennesimo colpo di genio di Verhoeven. Dopo aver visto questo film mille volte da bambino, ritrovarmi più grandicello quella bambolona di Nancy Allen, sensualissima in alcuni film di Brian De Palma è stato un mezzo trauma, qui il personaggio riesce ad essere tosto, ma sexy, eppure androgina come tante protagoniste dei film di Verhoeven. Tra una bolla fatta con la cingomma e l’altra è proprio lei quella che porta il dubbio, sconvolgendo il fantasma dentro la macchina (“Sei tu Murphy? Sei tu Murphy?”), perché sono sempre le donne nel cinema di Verhoeven quelle che riportano in vita i protagonisti, anche se sono fatti di titanio.
«Hai una Beretta M93R modificata in una coscia o sei contento di vedermi?»
Se poi “Robocop” è un classico ancora oggi, è anche grazie ai suoi effetti speciali così fisici e vecchia maniera, tanto da non risultare mai invecchiati come tanta CGI moderna sembrerà tra soli cinque anni. Certo la stop motion con cui viene animato il mitico ED209 mostra i suoi anni, ma la cura dei singoli dettagli, i pistoni sulle gambe, il movimento delle “Dita” dei piedoni denotano una cura maniacale, il colpo di genio è l’aver campionato suoni di animali per i suoi versi, un giaguaro per l’attacco e lo sgrufolare di un maiale per il suo tenerissimo frigare quando cade dalla scale, non vi fa tantissima tenerezza quando ruzzola giù dalle scale e resta li a piagnucolare come una tartaruga girata sul guscio? A me fa impazzire, anche solo per il genio di far fuori una possibile nemesi in un modo così banale, dimostrando gli enormi difetti di progettazione di un modello che è pura macchina a differenza del nostro Robocop.
Come on baby, do the stop-motion.
Il design dell’armatura del poliziotto per me, insieme alle forme degli Xenomorfi di Alien, è semplicemente il più grosso capolavoro di progettazione mai portato al cinema, ci voleva un genio per creare un’armatura da guerra così credibile, non a caso è frutto del genio di Rob Bottin, già papà degli effetti speciali meglio invecchiati di sempre, in un capolavoro del cinema, che qui forse ha saputo anche superarsi, se La Cosa non aveva forma, Robocop ne ha una precisa, sufficiente ad entrare nella storia del cinema. Ma poi dai, era destino, no? Chi poteva essere il papà di Robocop se non uno che si chiama Rob Bottin, dai!
RoboCop insieme a papà RobBottin. Gag vecchia di trent’anni che fa ancora ridere!
Polveròn ha sempre maneggiato i generi cinematografici con grande abilità, per il suo esordio a stelle e strisce si dimostra prontissimo, questo non è un film di satira con dentro qualche scena d’azione, ma l’azione e le violenza sono mezzi per far arrivare al pubblico un messaggio. A ben guardarlo, “Robocop” è tante cose insieme senza assomigliare mai davvero a nessuna, è un poliziesco con elementi di fantascienza distopica, ma ha anche qualcosa revenge movie, in certi momenti sembra “Impiccalo più in alto” (1968) e questo spiegherebbe quel finale con una frase maschia da pistolero quasi western che diventerà il marchio di fabbrica di tutta la serie, quella chiusura che ogni volta mi fa saltare in piedi dalla poltrona con un sorriso stampato in faccia: «Spari bene ragazzo, come ti chiami?» , «Murphy» e sotto con il tema glorioso di Basil Poledouris che parte trionfante!
Quando Murphy parte in auto sulle note di Basil, ancora mi esalto come la prima volta (storia vera)
Ma lo sgherro che riconosce Murphy dopo il suo mitico «Vivo o morto tu verrai con me» (vi lascio i ltempo per appluadire) e gli dice «io ti conosco, tu sei morto ti abbiamo ucciso» anticipa il «Ti abbiamo ucciso, non si torna dal mondo dei morti» de Il Corvo, inoltre, il personaggio anticipa la moda dei film tratti da fumetto, come l’Erik Draven de il Corvo appunto, ma anche come l’associazione più facile da fare, Iron Man, che poi è proprio uno dei fumetti che il primo rapinatore fermato da Robocop pesca nel negozio una attimo prima di chiedere gentilmente l’incasso.
Il classico battesimo del fuoco dell’eroe d’azione americano.

Proprio la prima notte di Robocop, il momento in cui entra in azione, serve non solo per spiegare i suoi “Poteri” allo spettatore (le visione termografica, il mirino nel visore), ma è anche il modo con cui Verhoeven fa i conti con i topoi classici dell’eroe d’azione. In fondo, nella sua prima missione Robocop sventa una rapina ad un super market gestito da una famigliola (ogni eroe d’azione deve saperlo fare!) per poi salvare una donna da uno stupro, tema ricorrente nei film di Verhoeven, con cui qui pare fare i conti, perché poi un paio di zebedei spappolati a revolverate non vuoi infilarli? Dai! Il tutto con il grande Basil Poledouris che morde il freno per tutto il tempo con la sua colonna sonora, ma aspetta il momento giusto, quando il personaggio è finalmente dato davanti ai nostri occhi, per farla esplodere in tutta la sua tonante potenza. Ogni volta che il tema principale del film attacca mi esalto immotivatamente!

Sì, perché negli anni in cui il culto del corpo diventa fondamentale in Occidente, Verhoeven inizia (anzi continua) a martirizzare corpi maschili, ridicolizzandoli, oppure facendoli a pezzi come accade a quello di Alex Murphy, uno che ci crede, che vorrebbe davvero fare del bene diventando un modello di riferimento per suo figlio, ma che muore in un modo atroce, perché la carne e il sangue non mancano mai nei film di Verhoeven, nemmeno sotto quintali di titanio anti-proiettile.

Quel che resta di un uomo, quel che resta di un poliziotto.

Trovo significativo e terribile che ciò che resta di Alex Murphy oltre ai suoi ricordi frammentari, sia soltanto un brandello di carne che per puro caso è quello che una volta era il suo volto, attaccato sommariamente sopra a del freddo titanio. Sei umano perché hai un volto con occhi e bocca, oppure sei umano perché dentro di te c’è ancora un uomo con i suoi ricordi (la moglie che gli dice di amarlo), le sue esperienze, i suoi traumi (il ricordo doloroso della sua morte) e i suoi piccoli gesti, come far ruotare una pistola su un dito o grattare una marmitta sulla salita partendo sgommando in auto? Verhoeven non risponde, solleva dubbi, mica male come riflessione, in un film che parla di un poliziotto Robot no?

Verhoeven ancora una volta non giudica ci dà tutto questo materiale su cui riflettere dentro un film che sarebbe “solo” la storia di un poliziotto Robot che spara ai cattivi e intanto porta in scena il martirio di un povero Cristo morto per i peccati di una società, risorto tanto che ad un certo punto, sempre utilizzando le immagini religiose di cui è pieno il suo cinema, Verhoeven ci mostra Murphy che cammina sulle acque.

We’ve got the American Jesus, see him on the interstate (Cit.)
Un Gesù, l’unico che gli Americani possono intendere, maschio, bianco, biondo e con gli occhi azzurri, però anche pesantemente corazzato, armato di una potenza di fuoco superiore, un po’ pistolero della frontiera western un po’ super eroe. Un modo brillante di creare un’icona del cinema partendo da una sfacciata critica sociale rivolta proprio a quelli che ti stanno dando dei soldi per dar loro un film con cui intrattenersi. Il tutto condito da una maestria nell’uso dei generi tale da crearne anche qualcuno tutto nuovo nella foga creativa.
La risposta di Paul Verhoeven a tutta quanta Hollywood.

Se dopo trent’anni siamo ancora qui a ricordare un film che ha significato così tanto per tutti noi lo dobbiamo ad un regista capace di dirigere un’anomalia facile da etichettare, ma difficile da replicare, proprio come Robocop stesso “Ispettore Callaghan con i cuscinetti a sfera”, come recitava la frase di lancio cancellata per non incappare in cause legali (storia vera) che, però, non sarebbe niente senza l’uomo giusto, ovvero Alex Murphy. Quindi, buon compleanno Robocop, metà umano, metà macchina e tutto mito, grazie per averci portato con te lassù tra con le più grandi icone del cinema di sempre. Vivi o morti.

Ah! Noi non abbiamo mica finito sapete? Il poliziotto Robot di Detroit terrà banco qui sopra ancora per un po’, così come la rubrica su Paul Verhoeven, ad esempio la settimana prossima, portiamo le chiappe su Marte.

Mettetevi comodi, siamo solo all’inizio.
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