Altro giro, altra corsa, altro capitolo della rubrica dedicata allo speciale Robocop, questa volta tocca ad un capitolo che piace solo a me e forse ad altri tre sul pianeta. Forse per quello si chiama “Robocop 3”.
«Alt fermi! Cassidy sta per dire una caSSata delle sue. Fatelo parlare poi aprite il fuoco» |
Il terzo capitolo della saga parte con il freno a mano in salita, il budget dichiarato di 25 milioni di ex presidenti defunti stampati su carta verde, in realtà, deve essere stato usato quasi tutto per pagare Frank Miller, che risulta ancora tra gli sceneggiatori anche di questo terzo capitolo, ma solo perché, come detto parlando di Robocop 2, la sceneggiatura per il secondo film scritta da Miller era un balenottero sufficiente a coprire due pellicole.
Altra tegola sulla testa di questo capitolo, Peter Weller stanco della pesantissima armatura e degli ancora più pesantissimi dialoghi di Miller da recitare, ha spedito le sue labbra (che poi sono anche l’unica del corpo visibile dall’armatura) ad un indirizzo nuovo e sono state sovrapposte a quelle di chiunque altro, nella fattispecie quelle di Robert Burke, che fa il suo dovere, ma nelle scene in cui Murphy compare senza elmetto, un certo senso di straniamento si avverte lo stesso, una roba leggera leggera del tipo: «Ehi! Ma tu non sei Peter Weller!»
«Con della fuliggine in faccia nessuno noterà la differenza» , «Cam caminì, Robo-spazzacamin allegro e felice pensieri non ho…» |
Anche quella bambolona di Nancy Allen è ancora della partita, almeno per un po’, in questo film possiamo vedere che ha recuperato i riccioli di cui l’aveva privata Paul Verhoeven per vestire i panni di Lewis. Ma la Allen in aperta polemica con la produzione, firma solo a condizione che Lewis compaia per il minor tempo possibile, questo spiega perché la ciancicante socia di Murphy ci lascia prima di fine primo tempo. Insomma, un fuggi fuggi generale a cui non ha creduto davvero nessuno, di sicuro non la casa di produzione che distribuì il film in patria a novembre (come il primo capitolo), ma per farlo arrivare nei cinema europei aspettò quasi un anno e, a quel punto, la notizia del flop al botteghino in patria aveva già attraversato l’oceano. Bella forza, i Padri Pellegrini per fare il viaggio in direzione opposta ci hanno messo meno! Eppure, uno che ci credeva in questo progetto c’era e la sua passione nel film si vede tutta, quell’uomo è il mitico Fred Dekker!
Possiamo davvero voler male ad uno che dirige con la maglietta di “Love and rockets”? |
Dekker arrivava dalla sceneggiatura di un titolo di culto come Chi è sepolto in quella casa? Ma soprattutto da due titoli che sono ben oltre l’etichetta di cult, sto parlando di Dimensione terrore e il fighissimo Scuola di mostri. Per quanto mi riguarda Dekker fa davvero tutto quello che può per tenere insieme un film che in mano si ritrova delle carte davvero brutte. Come detto, tra i seguiti del film di Verhoeven questo è quello che mi guardo con più gusto, anche se per farlo bisogna mettere in conto alcuni dettagli dolorosi, uno piuttosto grosso, fate un respiro forte e andate a capo che ve lo racconto.
Nel 1993 il Robot-Poliziotto più amato della storia del cinema, lo stesso che da bambini amavamo veder spappolare cattivi a revolverate ormai è patrimonio culturale dei più piccoli e se per me sangue, parolacce e violenza assortita nei film non sono mai stati un problema (anzi!) mi rendo conto che non debba essere stato così per tutti. La serie animata dedicata al personaggio spesso mostrava Robocop impegnato ad acciuffare i cattivi che prima crivellava di proiettili e basta, inoltre proprio nel 1993 esordì sul piccolo schermo anche la serie tv dove il tono era più o meno lo stesso, 22 episodi che ricordo piuttosto bene, ma che certo non somigliavano al film di Verhoeven, per dirla in modo gentile.
Vi è andata bene, una volta sareste diventati due scolapasta. |
Il marchio “Robocop” ormai è ad uso esclusivo dei più piccoli che poi quei piccoli come il sottoscritto, abbiano perso la capoccia per Robocop anche per il suo contenuto violento, a chi investe non interessa, nel film vediamo come la OCP cerchi di vendere al suo pubblico i Riqualificatori, addetti allo sgombero della vecchia Detroit, come eroi buoni, grazie al solito martellamento televisivo ed ad un linea di giocattoli dedicata “Johnny Rehab”, il tutto per renderli innocui agli occhi del pubblico a fare su dei bei soldi, che poi è quello che succede a Robocop in questo film, vogliamo vederci una critica meta-cinematografica? Oppure una richiesta di aiuto da parte di Fred Dekker?
Una roba tipo così ecco, un chiaro messaggio di aiuto. |
Proprio non so, ma intanto in “Robocop 3” Murphy non uccide più nessuno, ogni volta che spara a qualcuno, di solito sono Riqualificatori con addosso l’antiproiettile, in una scena si diverte a far svolazzare in aria la pistola di uno degli aggressori a colpi di proiettili, insomma dei numeri da circo che Dekker si deve inventare per far fronte alle direttive (primarie) della produzione, pazzesco se poi pensiamo al fatto che Robocop non ha mai avuto più armi di ora, visto che in questo capitolo vince il fighissimo braccio mitra che s’installa come la moto sega di Ash Williams, però spara proiettili e utilissimi missili.
«Mi chiamo Robocop, reparto ferramenta» (Quasi-Cit.) |
Dal doppiaggio italiano spariscono anche le parolacce, mi sanguinano le orecchie quando sento il cattivo che se ne esce con cose tipo «Rimbambito», in un dialogo in particolare diventa tutto palese, quando il traditore dei ribelli di becca del figlio di puttana, un attimo dopo gli viene intimato il castigatorio: «Bada a come parli ricordati che ci sono dei bambini» ho reso l’idea?
Quando mi è capitato di leggere il fumetto tratto dalla sceneggiatura di Frank Miller, ho riconosciuto una scena che avevo già visto in questo film, in versione molto, ma molto più ripulita. Quando la biondina per strada viene infastidita dai due Riqualificatori, solo per essere salvata da Robocop (“Ha detto no avete forse problemi di udito?”) nella sceneggiatura originale era chiaro che la ragazza fosse in strada per cercare di raccogliere qualche soldo extra e non vendendo la sua collezione di figurine panini, ecco. Se guardate la versione cinematografica, pare di stare vedendo “Frozen” per quanto è edulcorato.
Eppure, Fred Dekker qui dimostra di avere più personalità del suo predecessore Irvin Kershner, come detto, l’idea dei Riqualificatori era presente nella pasticciatissima sceneggiatura di Miller, qui Dekker sfrutta l’idea per tornare in scia al primo film. Visto che il secondo capitolo ha messo una pietra tombale sopra il dramma interiore di Alex Murphy, l’uomo dentro la macchina e provare a tornare sull’argomento è impossibile viste anche le imposizioni della produzione, l’unica cosa che Dekker può fare è tirare fuori una storiella bella dritta in cui Robocop è l’eroe che sceglie di emanciparsi dal sistema e combattere accanto ai poveracci. Che poi era anche il finale originale pensato da Miller, infatti è della stessa pasta di quello di “Batman: Il ritorno del cavaliere oscuro”, ma solo perché Miller tende a ripetersi.
Ma i robot poliziotti sognano morphing elettrici? |
Dekker si riprende alcuni dei simboli caratteristici di Robocop, ma soprattutto a differenza del secondo capitolo, mette su un film con un inizio, una parte centrale e una fine. La costruzione di Delta City è nuovamente centrale alla trama, la nuova dirigenza della OCP (falciata dopo lo scandalo del finale di Robocop 2? Potrebbe essere anche se non ci vien detto) ha portato la società alla rovina, tanto che ora la “Omni Consumer Product” (che in italiano però viene chiamata “Superprodotti” bah!) è stata acquisita dai Giapponesi.
Ma per poter iniziare a costruire la OCP deve battere la resistenza locale, che si rifiuta di farsi sbattere fuori dalle proprie case e si sta organizzando sulle colline Cadillac per ribellarsi a quei simpaticoni dei Riqualificatori, che sono autorizzati ad usare tutti i metodi possibile per prendersi le vostre case. Tipo Equitalia, ma con le divise grigie.
«Buonasera siamo di Equitalia, siamo venuti per le sue cartelle esattoriali» |
Altri dettagli stronzi con cui fare i conti? Beh, torna ED 209 in un ruolo di rilievo, anche se non è altro che la naturale prosecuzione della pucciosità del robottone che quando non ti crivella di proiettili è pure carino, io uno a spasso con il guinzaglio lo porterei. Peccato che ci si debba tappare il naso e digerire il personaggio della piccola orfana esperta di computer, un personaggio che devo dirlo, non trovo troppo odioso di suo, se non per il fatto che ogni svolta (e buco) di trama, venga risolto con la ragazzina e il suo computer portatile che attraverso un Mambo Jumbo informatico salva la situazione. Dobbiamo accedere al magazzino delle armi? Mambo Jumbo. Dobbiamo trasmettere un messaggio criptato? Mambo Jumbo e via così.
Voilà! Il buco di sceneggiatura non c’è più! |
L’ultima delle sfighe con cui Dekker ha dovuto fare i conti è il suo stesso futurismo, l’idea del buon Fred era chiara a precisa: sfruttare la componente asiatica della storia per portare ad Occidente un po’ del cinema di John Woo. Nel suo piano originale il regista avrebbe voluto dare voluto proprio omaggiare le sparatorie del genio del cinema di Hong Kong, ma con le limitazioni di budget e di violenza ha dovuto accontentarsi di un ninja Robot.
Questa GIF animata riassume tutto il talento marziale di Bruce Locke. |
Che però sfiga! Ad interpretarlo viene chiamato Bruce Locke, uno con tanta esperienza come modello, ma ZERO esperienza come marzialista cosa che, lasciatemelo dire, si vede, si vede parecchio. Sulla carta avrebbe dovuto essere uno scontro tra un Cyborg appartenente ad una tecnologia superata, contro uno più veloce, agile ed avanzato, una roba tipo T800 contro T1000 in Terminator 2, peccato che Robert Burke sepolto dentro l’armatura di Robocop sia comunque più scattante di quel palo di Bruce Locke (storia vera) e poi provate a dire come si risolve lo scontro finale tra i Cyborg? Bravi! Con un Mambo Jumbo informatico della bimba. Eh, ma allora basta, eh!?
Eh lo so, sono trovate che ti fanno cadere la mascella (e non solo quella). |
Eppure, “Robocop 3” al netto di tutti questi problemi, si gioca un sacco di momenti sinceramente esaltanti, Fred Dekker è bravissimo a creare l’attesa intorno all’entrata in scena dell’eroe, infatti Robocop ci mette quindici minuti prima di fare la sua scintillante entrata, in un’armatura nuovamente grigia metallizzata e non tendente al blu come nel secondo capitolo, visto che Dekker, confermando di essere palesemente uno di noi, non poteva sopportare quei riflessi blu, quindi li ha fatti sparire… Grande!
A rendere spettacolare l’entrara in scena dell’eroe sono due fattori, cioè altri due oltre al già citato braccio-Mitra e al faccio che Murphy se ne sbatta degli ordini diretti per tornare indietro ad aiutare Lewis. No, i dettagli fondamentali sono il ritorno del tema musicale di Basil Poledouris, voluto fortemente da Dekker che lui per primo ne ha sentito la mancanza del già citato secondo capitolo. Vi avevo detto che il vecchio Fred è uno di noi, oppure no? Mi volete credere adesso?
L’altro motivo d’interesse è che se in giro c’è Fred Dekker, il suo amico ed ex compagno di scuola Shane Black non può essere tanto lontano e, quindi, completamente a tradimento, date il bentornato alla rubrica… Back in Black!
Shane Black qui compare nei panni del poliziotto Donnelly, lo vediamo nella scena delle ciambelle, quella in cui uno sveglione cerca di rapinare la tavola calda piena di poliziotti e spero non vi sia sfuggita l’ironia (del tutto casuale penso) che dopo la sua particina nel terzo capitolo dell’uomo corazzato più famoso del cinema, proprio Shane Black si ritroverà a dirigere il terzo capitolo di un altro uomo in armatura piuttosto famoso, Iron Man 3.
«Certo che Cassidy poteva trovare una foto un po’ migliore per la mia rubrica» |
Ma in questa favoletta con eroe in armatura, Dekker si affida anche al resto del cast, i dialoghi del film filano via piuttosto bene, la dottoressa dal nome appena appena biblico Mary Lazarus (che, infatti, resuscita Robocop) interpretata da Jill Hennessy funziona ed è anche quella a cui viene chiesto di fare il discorso motivazionale prima della battaglia che, devo dire, ogni volta mi esalta, ma se ci metti Basil in sottofondo, anche la lettura della mia lista della spesa potrebbe diventare epica, comprare laaaaaateeeeeee, comprare il paaaaneeeee Para pa para pa paaaaaaa.
Vi distraggo con una foto della bella Jill Henness, così intanto continuo a cantare. |
Ma dove proprio lo ammetto, mi sciolgo come il cretino che sono è quando il sergente Warren Reed (Robert DoQui) rifiutandosi di sbattere le persone fuori dalle loro case getta il distintivo ai piedi del bastardissimo capo dei Riqualificatori Paul McTaggett (John Castle), non vorrei scomodare il lancio del distintivo alla Callaghan, però questo momento alla Spartaco, in cui tutti i poliziotti gettano via il distintivo mi esalta sempre moltissimo.
Il finale è in crescendo, Il sergente arriva sgommando sulle colline Cadillac (ma quando è figo questo nome?) e in un attimo arruola tutti tra le fila dei “buoni” con una frase che fa esultare in contemporanea sia il me stesso di oggi che il me stesso bambino che questo film se lo è tritato un numero ragguardevole di volte: «Siete tutti arruolati nel dipartimento di polizia di Detroit, è tempo di mostrare loro come si battono i veri poliziotti»
Momenti che mi fanno gasare tantissimo! Eh lo so, sono fatto così. |
La favoletta messa su da Fred Dekker è completa, da una parte abbiamo i terribili Riqulificatori tra le cui fila ormai si contano più criminali arruolati a forza che altro e dall’altra un branco di poveracci che difende quattro baracche scassate che, però, sono le uniche case che hanno. Non c’è niente di epico in tutto questo, anche perché il budget non lo permette, ma solo buoni buonissimi contro cattivi cattivissimi, una roba che funzionava con il me stesso bimbo di allora e grazie al mestiere di Dekker anche sul me stesso decisamente meno bambino di oggi, visto che ho la barba, voi conoscete bambini con la barba?
Dekker mette dentro tutta l’enfasi possibile, l’arrivo di Robocop attrezzato con il suo jet pack, anzi chiedo scusa il suo “Supporto volante”, funziona alla grande anche se animato con un green screen invecchiato malamente, eppure il mestiere di Dekker è tutto lì da vedere, ogni volta mi ritrovo ad esultare come i tizi barricati dietro le auto all’arrivo del Robot-Poliziotto volante.
«Qui Murphy, sto inseguendo una Bara Volante in volo sulle colline Cadillac» |
Alla faccia della frase circostanziale che concludeva il secondo film, Dekker recupera anche una chiusa cazzuta che conclude l’arco narrativo di Alex Murphy, quando il viscido presidente della OCP gli chiede «Com’è che ti chiamano, Murphy?» , «I miei amici mi chiamano Murphy, tu chiamami Robocop» e allora! Ma andiamo! Parte fortissimo il tema di Basil tanto che me ne frego pure che compaia ancora il nome di Frank Miller tra i titoli di coda perché sono troppo impegnato a saltellare sul posto con le braccia in aria canticchiando Pa Pa PAAAA PARA! PAAAAAAAAA!
El pueblo Robo-unido jamás será vencido (da qualche parte nel mondo, Frank Miller bestemmia) |
Per apprezzare “Robocop 3” non credo serva avere un’età inferiore a quella necessaria per acquistare dell’alcool, ma è obbligatorio dover ridimensionare le aspettative, una volta chiarito che Verhoeven è a chilometri di distanza, tutta la passione di Fred Dekker è lì da vedere ed è un vero peccato che il flop al botteghino di questo film ci abbia tolto un regista orgogliosamente di genere, ma con una palpabile passione per il cinema che nei pochi film che ha scritto e diretto è chiarissima. Sarà proprio il suo amico Shane Black a riportare Dekker sul grande schermo grazie al suo nuovo “The Predator”, mentre aspettiamo vi do appuntamento al prossimo capitolo dello speciale di Robocop, se non vi ho convinti io a rivalutare “Robocop 3” ci penserà il prossimo titolo, ma fino a quel momento… Parapappeggiare immotivato! Pa Pa Paaaaaaaa Para!! Paaa Paaa Paaa PAAAAAA! Vi consiglio lo spassoso pezzo di Doppiaggi Italioti su questo terzo capitolo, che per altro era stato il primo ad utilizzare “La legge di Murphy” nel titolo!