Dico sempre che non mi piacciono i musical e che i film
musicali senza il minimo d’ironia non fanno per me. Poi esce l’ultimo X-Men e m’annoia più di
Fiorella, guardo il nuovo Godzilla e spalanco le mandibole (per sbadigliare)
più di ‘Zilla, mentre alla fine di “Rocketman” – che è un musical a
tutti gli effetti – faccio le capriole sulle mani dall’esaltazione (storia
vera). Perché non è mai questione di genere, nemmeno cinematografico,
ci sono solo due tipi di film: quelli buoni e gli altri, “Rocketman” è
dannatamente buono.
Chissà se questo filone aurifero (per i botteghini) delle
biografie dei cantanti Rock durerà ancora a lungo, in fondo, molti pensavano che
anche le supercalzamaglie sarebbero state una moda passeggera e da vent’anni sono
l’unica costante ad Hollywood. Sta di fatto che è meglio togliersi subito la
natta: Bohemian Rhapsody ha aperto la
diga ed ora le biopic rockettare vengono fuori dalle fottute pareti, che siano
tratte dai libri autobiografici e votateal bordello, oppure d’inchiesta virati verso l’horror.
il cosplayer perché tanto lì dobbiamo finire, il regista Dexter Fletcher è
stato a bordo di Bohemian Rhapsody a
lungo, prima che il film venisse riassegnato d’ufficio a Bryan Singer e trovo
anche abbastanza tedioso che si parli di “Rocketman” solo in funzione del
successo del film
“Bohemian Rhapsody” oltre ad essere BOLA (Bacchettone
Oltre Limite Accettabile) è
riuscito ad essere la negazione di tutto quello che il cinema dovrebbe
rappresentare, un film che è riuscito a farmi perdere completamente la stima
per Brian May, a differenza di “Rocketman”, perché prima mi piaceva la musica
di Elton John, ora “Sir Elton” ha guadagnato diversi punti simpatica qui a casa
Cassidy.
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“La prossima canzone è dedicata a Luigi il cosplayer, questa è per te Gigi!” |
Non sono un enorme esperto di Elton John, di certo non sono
uno di quelli che conosce ogni aneddoto sulla sua vita e l’elenco completo
delle sue canzoni in ordine di pubblicazione, forse ho una conoscenza un pelo
più approfondita della media sul suo lavoro, ma non più di così. Considerando
quanto mi abbia urticato “Bohemian Rhapsody” (alla sua ultima apparizione in
questo post, parola) avevo dei dubbi sul regista e (parliamoci chiaro) anche
sull’attore, le ultime apparizioni di Taron Egerton erano tutto tranne che pesche e crema.
è motivo di interesse, ma avevo più di un dubbio. Eppure, “Rocketman”, malgrado
qualche piccola concessione alla retorica – tipica delle biopic, ma del tutto
perdonabile – e alcune licenze poetiche inserite per rendere più
cinematografici certi passaggi (no, il cognome “John” non era stato scelto in
onore di Lennon, ma va bene lo stesso) il film fa un lavoro incredibile. Non
tira mai via la mano sulla vita e gli eccessi di Elton John, definiti da lui
stesso tutto tranne che da PG-13, ma soprattutto non si dimentica mai di essere
cinema, prima di essere una biopic musicale, anzi, a tratti proprio un musical,
per la gioia di quelli allergici come me.
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“Musical uno, Cassidy zero. Olè!” |
“Rocketman” fa la scelta davvero azzeccata di partire a
raccontare la storia di Elton John, dal punto più basso della sua vita, il
chiacchierato ricovero degli anni ’90, in cui il cantante si presentò in
clinica in sgargiante costume alato che nel film diventa quello di un
diavolo, giusto per mettere in chiaro fin dalla prima immagine che qui “santini”
dedicati al protagonista non se ne fanno, il che non può che essere un bene.
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“Ciao, mi chiamo Elton, faccio il cantante”, “CIAO ELTON!” |
Come ogni processo di recupero che si rispetti, si torna
indietro ad analizzare i traumi del passato che non possono che passare per la
famiglia, qui Dexter Fletcher fa sapiente uso del montaggio sovrapponendo
presente e passato, raccontandoli per immagini come se fossero spezzoni di ricordi
infantili del protagonista, esattamente come li ha vissuti lui, in modo anche
drammatico. Le canzoni che fanno irruzione nella storia spezzano il rigore
della struttura della biopic, trasformando tutto in un musical, in un modo che
è perfettamente cinematografico, perché le canzoni diventano la voce narrante
del protagonista (saggia scelta quella di “I want love” per sottolineare il
bisogno di essere amato che cercherà per tutta la vita), ma anche il modo
migliore per rendere omaggio alla vita e all’arte di Elton John.
sua storia ed ogni volta che decide di prendersi questa licenza, lo fa con la
mano ferma di chi ha capito come usare il cinema al suo meglio, per rendere
omaggio alla musica e all’artista protagonista. Ecco perché al primo concerto
al Troubadour di Los Angeles, sulle note di “Crocodile Rock” Elton e tutto il
pubblico iniziano letteralmente a volare, se siete stati a qualche concerto degno
di questo nome in vita vostra, saprete di certo che la musica fa fare quel tipo
di effetto.
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Dare tutto un nuovo significato all’espressione: suonare con i piedi. |
Allo stesso modo se il film fosse diverso, avrei criticato
il fatto che la madre di Elton John resti sempre identica a se stessa per
tutta la durata del film, ma qui la scelta è azzeccatissima, non solo perché Bryce
Dallas Howard è un bel vedere che va conservato (commento assolutamente extra
cinematografico, prendetelo così come viene), ma soprattutto per il fatto che
per il protagonista, sua madre è un Golem inamovibile, un muro di gomma capace
di una parola buona (si fa per dire…) ogni volta che ne hai bisogno, in tal
senso la battuta sulla perdita dei capelli è qualcosa che chi è più
appassionato delle vita di Elton John coglierà al volo («a vent’anni sarà
pelato come un ginocchio»), ma che nel film rappresenta alla perfezione l’adorabile
mammina.
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“Cassidy, cosa penserebbe il vecchio Sigmund di tutto questo?” |
Perché potrai anche cambiarti il nome, diventare l’artista
più pagato della musica Rock, ma alla fine dalla famiglia non scappi e per il
protagonista, tutto il film è una costante ricerca dell’amore in posti
sbagliati che sia quello di un “manager personale” con la faccia di Richard
Madden, oppure nella scena (comicissima) in cui Elton ci prova con il suo
paroliere di fiducia, Bernie Taupin uno dei pochi che è stato a lungo un
compagno (solo in termini artistici) nella vita di Sir Elton. Che, per altro, in
un gioco di specchi cinematografici, è interpretato da Jamie Bell, l’ex
“Billy Elliot” (2000) che era sceneggiato proprio come “Rocketman” da Lee Hall
e che è anche diventato un musical, con le musiche proprio di Elton John. Qui i
gradi di separazione tendono ad essere meno dei canonici sei.
cambiare vita, look e nome resta la musica, anche se improbabile nell’aspetto,
il ragazzo al pianoforte sa il fatto suo, quando il tipo prova ad appoggiare il
bicchiere sullo strumento, il protagonista ancora bambino lo fulmina con una
delle candidate al titolo di “Frase maschia 2019”: «Non metterlo lì, perché ora
cade» prima di attaccare con il mio pezzo preferito di Elton John di sempre, “Saturday night’s alright for fighting” che Dexter Fletcher trasforma in un momento da
musical puro (con tanto di scena di ballo), ma sempre in perfetto equilibrio tra
cinema e musica, infatti quello che vediamo sarà anche una coreografia ben fatta,
ma allo stesso tempo è un’ellisse narrativo con cui Elton John diventa di colpo
Taron Egerton, anche se a giudicare dalla sua prova, forse è più vero il
contrario.
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Ieri era venerdì domani sarà domenica, che giorno è oggi? Valgono solo risposte cantate. |
Ecco, parliamo di Taron che qui pare aver trovato davvero la
pentola magica (ah-ah! Che solo Fletcher può fare strizzate d’occhio
cinematografiche qui?), quando gioca a fare l’eroe d’azione il ragazzo è un pochino un tonno, bisogna dirlo, ma evidentemente
le biografie sono quelle che gli vengono meglio, lo aveva già dimostrato in “Eddie
the Eagle” (2016) sempre diretto da Dexter Fletcher, ma il ragazzo dev’essere nato sotto il segno di Elton, visto che in Kingsman – Il cerchio d’oro proprio Elton John gli rubava la scena dimostra
dimostrandosi un “eroe dell’azione” più tosto di lui, quindi mi pare anche
giusto che in questo grande gioco di specchi cinematografico intitolato “Rocketman”, Taron Egerton sia un Elton John semplicemente perfetto.
mimetismo, quello che serve a far esclamare al pubblico «ma è uguale!», anche
se 53 paia di occhiali cambiati durante la realizzazione del film (storia vera)
e i costumi aiutino. Taron Egerton qui balla, canta usando la sua voce – lasciatemi
l’icona aperta su questo, più avanti ci torniamo – e, soprattutto, recita ricordando
in tutto e per tutto Elton John, ma senza mai imitarlo davvero, ci vuole un
minimo di sospensione dell’incredulità quando lo sentiamo autodefinirsi “un
inglese bianco e cicciotto” perché non lo è (cicciotto intendo, il resto sì), ma
proprio qui sta tutta la differenza tra “Rocketman” e quell’altro film che ho promesso
di non citare più: per essere una musical e una biografia, è un film a tutti
gli effetti, uno di quelli in cui il cinema viene usato per raccontare la
storia, non per santificare e rifare scene di 25 minuti che potreste vedere identiche su You
Tube.
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Occhiali numero 37, modello: Paintball glitterato. |
“Rocketman” è talmente cinematografico, da potersi
permettere di smontare con il cacciavite tutti i cliché dei film musicali, avete
presente la scena “Salve, sono un famoso produttore cinematografico e tu
giovane cantante destinato alla grandezza, ora hai un’unica occasione per
strabiliarmi con un pezzo suonato da te che sarà anche la canzone per cui verrà
ricordato”. Ecco, qui il produttore è solo uno seduto alla scrivania per caso, il
pezzo suonato è incompleto e per altro è anche “Candle in the wind” appena
accennato, e non sapete che sollievo sia stato per me godermi un film su Elton
John in cui il suo pezzo più famigerato presso il grande pubblico, quello con
cui ci hanno sfrangiato i maroni sul finire degli anni ’90, viene volutamente
messo in panchina con la volontà precisa di smontare ogni cliché.
“Your song”, ormai entrata nell’immaginario collettivo (soprattutto del pubblico
più giovane) anche grazie al suo utilizzo in film come “Moulin rouge!” (2001),
ma anche qui grazie ad una sorta di ellisse narrativa, Dexter Fletcher ci
ricorda che i pezzi non nascono già finiti come sembra accadere sempre nelle
biopic musicali, infatti “Your song” qui inizia abbozzata al pianoforte di
casa e termina in un’unica scena in sala di registrazione.
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“Sarà anche ‘Your song’ ma per ora è ancora ‘My song’ se non mi lasciate il tempo di completarla” |
La musica è la costante del film e della vita di Elton John,
ma il regista è così bravo e rispettoso di tutte le arti da mantenere musica e
cinema sullo stesso piano, quasi a duettare per raccontarci al meglio questa
storia. Ho trovato significativo il fatto che durante la sua “confessione” il protagonista
letteralmente si tolga i panni (da diavolo) di scena, per andare a scoprire l’Elton
John dietro alla maschera e il film non tira via la mano nemmeno sugli eccessi
della sua vita, anche il momento di massimo delirio da Rockstar nel film
avviene con una gustosa citazione cinematografica, infatti il protagonista è
perso in se stesso e nel suo talento come “Tommy” (1975), mentre suona “Pinball
Wizard”. Il fanatico degli Who in me ringrazia di cuore.
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Qui mi sono concesso una reazione in puro stile Homer Simpson. |
Come da tradizione della biografia, all’esaltazione e agli
eccessi da Rockstar segue la caduta, mi sarei aspettato per la scena della
piscina la classica “Someone saved my life tonight”, ma Dexter Fletcher è meno
banale di me, oppure ha semplicemente le idee più chiare e trasforma “Rocketman”
nella canzone che dà il titolo a questa “Rock opera” dedicata all’artista
precedentemente noto come Sir Elton John, che ha trovato in Taron Egerton il
suo corrispettivo cinematografico ideale.
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Trova le dieci piccole differenze. |
Vi ero debitore di un’icona sulla prova di Egerton che
forse non poterà a casa i premi e la notorietà che si meriterebbe dopo questo
film, ma in questo perfetto duetto tra musica e
cinema in cui ognuno gioca il suo ruolo fondamentale, lui è l’uomo destinato a
portare l’equilibrio nella Forza. Ci ho messo un po’, ma mi è stato lampante
solo nel finale: se questa storia di ascesa caduta e rinascita, di suo molto
classica, tranne per il fatto di essere stata raccontata nel modo meno classico
possibile (per nostra fortuna) non poteva che finire con “I’m still standing”,
perché sarà anche nato Reginald Kenneth Dwight, ma alla fine ha preferito
essere Sir Elton John ed é ancora qui, per vedere il film sulla sua vita.
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“Bow tie are cool” (Cit.) |
Il cortocircuito tra realtà, finzione, musica e cinema è
proprio tutto in “I’m still standing”, in cui Taron Egerton si mette la
paglietta in testa per cantare (con la sua voce) la fine della storia del suo
Elton John e siccome grande musica chiama altra grande musica – e lo stesso vale
per il cinema – il cerchio si completa, visto che Taron Egerton aveva già dimostrato
di poterlo cantare questo pezzo (nei panni di un gorilla) in Sing e se non fossimo sicuri che è un
attore, verrebbe da pensare all’ennesimo travestimento da palco di Elton John.
raccontato con del gran bel cinema che, però, a fine film, ti fa venire voglia
di mettere su un disco a caso di Elton John. Tenetevelo stretto Luigi il
cosplayer, ve lo lascio più che volentieri.