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Rocky III (1982): gli occhi della tigre

Continuo il mio allenamento in vista dell’uscita del secondo
capitolo di Creed, aggiungendo un altro capitolo alla rubrica… Win Rocky Win!

La formula pensata da Sylvester Stallone per Rocky II è
quella giusta, il film incassa un’esagerazione e la United Artists esattamente
come il pubblico chiede a gran voce un nuovo capitolo delle avventure di Rocky
Balboa. Da parte sua, Sly ha le idee chiare, il soggetto è tutto delineato nella
sua testa, anche se fantastica su una porzione di film da ambientare in Europa,
con Rocky impegnato a rifare la sua celebre corsa, questa volta sulla scalinata
di Piazza di Spagna e invece del prete di provincia a dargli la solita benedizione
prima dell’incontro, un’udienza direttamente dal Papa, con tanto di protagonista
che davanti agli impegni del pontefice afferma qualcosa tipo: «Se questo Papa
non può, ne troviamo un altro» (storia vera).

Sì, perché nelle intenzioni iniziali di Stallone, “Rocky III”
avrebbe dovuto completare la trilogia sul personaggio, considerando che tra
poco uscirà “Creed II” potete facilmente intuire che (per fortuna) non è stato
così, ma il tavolo era apparecchiato in quella direzione: Rocky era la storia dell’eterno perdente che rialza la testa
riscattando se stesso, Rocky II anche
se con più di un’incertezza nel tono da utilizzare, raccontava di quello che
succede a qualcuno che improvvisamente si trova al vertice che ha tanto
desiderato raggiungere, ma si risveglia più spaesato di prima. “Rocky III”
prosegue la storia del personaggio, ma, questa volta, non ha nessuno dubbio
nemmeno sul tono da abbracciare. Se il secondo capitolo metteva un piedino
timidamente negli anni ’80, “Rocky III” ci si avvinghia in una presa alle corde
il tutto pestando a tavoletta sul pedale dell’immedesimazione tra Sly e Rocky
che, mai come in questo capitolo, sono davvero a tratti indistinguibili l’uno
dall’altro, con rimandi quasi meta-cinematografici continui.

“Questo Hansel Rocky va un casino quest’anno” (Quasi-cit.)

Rocky non è più un buzzurro che acquista auto sportive a cui
puoi fa piangere la frizione perché non sa guidare, è sofisticato, alla moda,
veste capi di lusso, ha un autista e Paulie, da sempre la sua coscienza, che lo
prende per il culo per la plastica facciale fatta dopo il quantitativo
esagerato di pugni presi da Apollo, un elemento reale inserito nella trama,
anche perché a causa della visite dal chirurgo, Sylvester Stallone ha
letteralmente cambiato faccia (e fisico, visto che si era molto definito con
una dieta ferrea per sembrare più piccolo del suo avversario) rispetto al
capitolo precedente.

Ma questo non è l’unico elemento della celebrità di Stallone
che viene integrato nella trama, nel montaggio molto videoclipparo iniziale
diretto da Stallone (una tendenza che andrà ad aumentare fino a raggiungere
l’apice in Cobra) vediamo Rocky
ospite al Muppet Show e alla notte degli Oscar, utilizzando le immagini delle
vere ospitate di Sly, avvenute nello spettacolo di Jim Henson nel 1976 e alla
cerimonia per la consegna delle statuette nel gennaio del 1979.
Rocky non è più il ragazzone impacciato che si sentiva scemo
nel pubblicizzare una schiuma da barba, ora compare sulla copertina di CQ, è il
testimonial di American Express e dei cereali, un uomo industria quasi più
showman che sportivo, un personaggio pubblico che crea le tendenze, insomma
Rocky Balboa è diventato Michael Jordan
all’apice della sua fama. Ma per guadagnarsi vestiti eleganti e una casa per la
sua famiglia, Rocky ha perso qualcosa, si è imborghesito, anzi per dirla alla Mickey
gli è accaduta la cosa peggiore che possa accadere ad un duro con la mascella
di ferro come lui: si è civilizzato.

“Bada so’n ragazzo della strada e me so’ dato ‘na calmata” (Cit.)

Diventa abbastanza chiaro che Rocky all’inizio del film è
identico ad Apollo nel primo capitolo: è il campione in carica in doppio petto,
forse è un po’ meno arrogante di Apollo, ma è uno che ha dimenticato gli amici
(la litigata con Paulie che cerca di farglielo notare, con i suoi soliti modi
rozzi, ma diretti, in questo senso è significativa), non ha più fame, o per
dirla come farebbe questo film e come abbiamo iniziato a fare tutti dopo
averlo visto: ha perso gli occhi della tigre. Purtroppo, prima di arrivare a
riconquistarli, dovrà arrivare a perdere tutto e nel modo più doloroso
possibile, in quella che è nella mia personale classifica di scene preferite di
tutta la saga di Rocky… Anche per questa, solita icona aperta, ci arriveremo
più avanti.

Per farci capire quanto Rocky sia ormai un uomo di
spettacolo più che un vero combattente come un tempo, Stallone si gioca la
carta dello sport che più di tutti è vicino all’intrattenimento, con tanto di
buoni, cattivi e trame da seguire, ovvero il Wrestling. Per farlo si gioca il
primo dei due “Mr. Muscolo” degli anni ’80 che esordiscono sul grande schermo
proprio in questo film, sì, perché per raccogliere un po’ di soldi di
beneficenza, Rocky accetta di partecipare ad un match d’esibizione contro un
campione di Wrestling, tale “Labbra Tonanti” e il nome, oppure il fatto che
entri in scena con il mantello, professandosi l’unico vero uomo abbracciato a
quattro biondine, vi sembra esagerato, tranquilli: Hulk Hogan che lo interpreta
ha fatto ben di peggio, nella vita e al cinema!

“Whatcha ya gonna do brother? What you gonna do when
BARAMANIA runs wild on you?”
(Grazie Elfoscuro per l’inno di battaglia del blog)

Qui ancora una volta realtà e finzione si mescolano, stando
alle dichiarazioni di Chuck Wepner (il vero pugile a cui Stallone si è
ispirato per creare il personaggio di Rocky) questa scena è basata su quella
volta in cui Wepner si è scontrato sul ring contro il mitico André the Giant, un match terminato con
Wepner lanciato fuori dal ring proprio come avviene a Rocky nel film. Secondo
voi Wepner ha preso troppi pugni in testa e si è inventato tutto? No no, storia vera!

Mettiamola così: la scena di wrestling tra Rocky e Hulk
Hogan nel film, da uno dei commentatori, viene definito “Uno spettacolo
indegno”, penso che non potrei trovare parole più adatte, anche se da bambino
seguivo il Wrestling, nemmeno la presenza di Hogan mi ha mai fatto gradire più
di tanto la scena che è fin troppo lunga per quello che ha da raccontare, ne
avrei fatto volentieri a meno, ecco, però è innegabile che oltre ad essere
girata molto bene sia anche parecchio divertente. Mi piacciono gli scambi di
battute tra Rocky e Paulie («Ma lo portano in braccio?», «No, cammina da solo». «Cosa dici che mangia a cena?», «I pugili cretini
come te, due per volta»), insomma per essere una scena fin troppo esagerata, è
sicuramente in pieno stile anni ’80 e alla fine il risultato lo porta a casa.

Buono Clubber, non è ancora il tuo momento Oh in ogni caso, elegantissimo!

Dove il cortocircuito tra Sylvester Balboa e Rocky Stallone
si consuma è nella scena dell’inaugurazione alla statua di Rocky, posizionata
davanti alla scalinata (quella del primo film) del Museum of Art di Philadelphia, con i suoi due metri e sessanta di
bronzo, l’elemento reale della vita di Stallone più grosso a fare irruzione
nella storia, sì, perché la statua e la sua posizione, è stata a lungo oggetto
di discussioni. Commissionata da Stallone all’artista Thomas Schomberg come
inno a se stesso e alla sua arte, non piaceva molto ai gestori del museo che la
consideravano ben poco artistica, a lungo è stata davanti allo Spectrum, il
palazzetto dov’era ambientato il finale di Rocky II, alla fine ancora oggi si trova davanti al museo, vicino alla
scalinata, non proprio davanti come avrebbe voluto Stallone, ma abbastanza
vicina per fare la felicità di tutti quelli che visitano la città imitando la corsa
sulla scalinata alla Rocky che, poi, è quello che farei io se mi trovassi a
Philadelphia, sicuro come la morte e le tasse!

“Volevo dedicare questa statua a Dr. J, un giorno ne avrei una così anche tu”.

Sono profondamente convinto che di film belli come il primo Rocky, ne siano stati girati davvero
pochi, lo considero una tappa obbligata per ogni amante di cinema. “Rocky III”
non ha la stessa grazia e gli manca l’aurea della favola del perdente, ma è una
lucidissima e anche molto sincera analisi di Stallone alla sua carriera, se
Rocky arrivato all’apice è diventato Apollo, a questo punto ci vuole un talento
venuto dalla strada che copra il ruolo della sfidante per replicare lo schema,
con l’unica differenza che il nome sulla locandina del film si legge
abbastanza chiaramente, è ROCKY (ignorate pure le tre barrette dei numeri
romani), anche perché parliamoci chiaro: per me che sono una caprone con la testa
molto molto dura, mi è molto più facile immedesimarmi nel ragazzo ignorante
venuto dalla strada che Stallone interpretava nel primo film, piuttosto che con
uno sportivo arrivato con più soldi di un bancomat, è abbastanza logico, no?

Proprio per evitare che il pubblico possa provare anche la
benché minima simpatia per questo nuovo arrivato, lui sì, affamato e con voglia
di vincere, l’unico modo è raffigurarlo come un enorme bastardo, un personaggio
totalmente sgradevole con cui sia impossibile patteggiare, delle quasi 1200
persone che hanno sostenuto il provino per il ruolo di Clubber Lang, quando Stallone si è trovato
davanti la capigliatura da guerriero Mandingo, le piume, l’oro e i vestiti
improbabili attorno ai muscoli di Mr.T Non ha avuto dubbi: aveva trovato lo
sfidante. E per quei “Mr. Muscolo” degli anni ’80 che esordiscono al cinema in
questo film, segnate pure due!

Prima di essere Baracus era già un Pessimo Elemento.

Clubber Lang non ha le battute pronte di Apollo e nemmeno
l’implacabile risolutiva della Transiberiana che arriverà nel prossimo
capitolo, ma è pericoloso, su questo non ci sono dubbi, è la versione arrogante
di Rocky, uno specchio in cui il campione può riflettersi e rivedersi per come
era, il fatto che ora sfidante e detentore del titolo siano a colori (di pelle)
invertiti, è cinematograficamente efficace, ma non così rilevante ai fini della
trama, se non che Clubber Lang si gioca anche questa carta pur di risultare
sgradevole, infatti non si fa nessun problema a dare dello “Zio Tom” ad Apollo,
ma, soprattutto, ad insultare pesantemente Adriana davanti a Rocky durante la
cerimonia di inaugurazione della statua, come un Rapper impegnato a fare del
“Dissing”. Ecco, Clubber Lang è un bullo, un tale stronzo che persino sua madre
si vergognerebbe per come si comporta, cosa che, in effetti, è davvero accaduta, perché alla prima del film, durante la scena in cui Lang insula Talia Shire,
la madre di Mr. T si è alzata rimproverando al figlio: «Non ti ho cresciuto per
parlare ad una donna così» prima di lasciare la sala (storia vera). Se per anni
abbiamo visto Mr. T impersonare P.E. Baracus nell’A-Team, ricordando a tutti
che i membri del gruppo non uccidono, ma anzi cercano di fare del bene, è
perché aveva una mamma che lo prendeva a cazzotti più forte di Rocky!

Più che gli occhi della tigre, quello ti ha fatto due occhi da panda.

Resta innegabile, però, che Mr. T ci abbia regalato un
cattivo che amiamo odiare, ancora oggi quando voglio fare un po’ il fanatico,
l’espressione “Compatisco gli stupidi” torna sempre buona, infatti è qui che
grazie alla riga di dialogo «I don’t hate Balboa, but I pity the fool», Mr. T
si è guadagnano la sua frase simbolo, da ripetere tipo tormentone estivo.

“Qual è il suo pronostico per Cassidy?” , “Lo manderò in una bara, ma non volante”.

Punto nell’orgoglio e con Mickey e i suoi famigerati dieci
incontri organizzati contro pugili minori, per proteggere Rocky, il nostro eroe
si convince di poter battere Clubber Lang, Stallone è bravissimo a mostrarci il
confronto tra l’allenamento di Lang (arrangiato con attrezzi di fortuna, come
faceva Mr. T in gioventù, per sopperire alla mancanza di denaro) e quella
specie di “casa di tolleranza” come la definisce Mickey, un posto tutto bolle
di sapone, band a suonare e magliette da vendere dove Rocky si “allena”, quando
il suo vecchio allenatore vorrebbe riportarlo solo in un posto sudore e sangue
come la vecchia palestra.

Ovviamente, il match è una non competitiva che mi permette
di chiudere quell’icona lasciata aperta lassù, dopo il malore prima
dell’incontro di Mickey, sul quadrato Rocky subisce una lezione, l’unico KO
tecnico di tutta la sua carriera arrivato dopo solo due round, perché
Stallone fino a questo punto del film ha mostrato che Rocky non ha più
gli occhi della tigre, ma è ancora più chiaro che nel momento di salire sul
ring, il suo cuore non può essere più lontano di così, il suo cuore è con
Mickey morente.

Il punto più basso per Rocky, il momento più tosto per gli spettatori.

Il rapporto tra Rocky e Mickey è tutto, nel primo film per
fare pace, c’era quella bellissima scena senza dialoghi, con i personaggi
inquadrati da lontano che diceva tutto del loro rapporto fatto principalmente
di sentimenti non dichiarati a parole, come fanno gli uomini, insomma. Qui a
Rocky non interessa niente di aver perso il titolo e pur di convincere Mickey
ad andare in ospedale gli mente, sì sì, KO al secondo round non devi più
preoccuparti devi solo andare all’ospedale. Per far capire che questa volta è
proprio finita, Mickey dice a Rocky quello che non gli ha mai detto, ma gli ha
sempre dimostrato («Ti voglio bene Rocky») e poi se ne va, in una scena che mi
sembra durare 45 minuti ogni volta perché Stallone non stacca mai la macchina
da presa o forse perché ogni volta che la vedo mi metto a fare dei giri di
corsa attorno al divano di casa e poi alcune serie di flessioni, per
giustificare il sudore alle palpebre che mi provoca (noi duri facciamo così,
sudiamo dalle palpebre), un dramma assoluto perché le ultime parole di Rocky al
suo padre e mentore, sono state per di più una bugia. La scena successiva del
funerale di Mickey è il classico esercizio defaticante per le palpebre che,
infatti, Stallone affronta con gli occhiali da sole affondati sul naso. Cosa vi
dicevo della faccenda dei duri? Non credetemi mai, eh?

Occhiali tattici, defaticanti per le palpebre.

Il lancio del casco da moto contro la statua (simbolo del
suo narcisismo) è il punto più basso della vita di Rocky che riceve due aiuti:
uno il solito, il bel dialogo in spiaggia con Adriana, con Talia Shire che, come
sempre, è la più capace di tutti a dare motivazioni a Rocky, ma soprattutto da
Apollo Creed. Carl Weathers ha spesso dichiarato che “Rocky III” è il suo film
preferito tra quelli che ha interpretato, proprio perché Apollo qui è molto più
umano e sfaccettato, ha ragione, aggiungo anche, armato di tutto il buon senso
che non avrà nemmeno nel resto della saga, siccome è quello che sa meglio di
tutti, cosa vuol dire vedersi strappare il titolo da un campione molto più
affamato («Lo senti questo silenzio? Quanto ti ritiri è peggio») tende una mano
a Rocky e decide di allenarlo, riportandolo non nella vecchia palestra, ma in
California, non quella dei posti da VIP, no no, nel quartieraccio da cui è
uscito anche Apollo, il posto giusto per ritrovare gli occhi della tigre.

“Apo’ te lo posso dire? Quella maglia è così brutta che mi fa male agli occhi della tigre”.

Proprio qui il film prende il meglio dal capitolo
precedente, ancora una volta abbiamo un “Training montage” (il vero marchio di
fabbrica della serie) in cui una sfida da vincere rappresenta il raggiungimento
della condizione di forma ideale per affrontare l’ultimo match, niente gallina
da acchiappare, questa volta bisogna superare in corsa Apollo (niente battute
sul pennuto e sul nome del nuovo allenatore, please!) lungo la spiaggia, in una
di quelle scene che è entrata di diritto nell’immaginario collettivo, tanto che
la trovate citate in ogni film, anche il più insospettabile.

L’epica quella vera, che ti dà motivazione quando il bus sta partendo.

Certo, siamo in pieni anni ’80, quindi tocca sorbirsi Rocky
e Apollo che fanno ballare i piedini davanti allo specchio o ancora peggio, la
terrificante canottiera corta di Apollo (inguardabile!), ma vi assicuro che il
gioco vale la candela perché la scena in spiaggia resta mitica e soprattutto la
musica, è un patrimonio della cultura popolare di tutto il pianeta, tanto da
meritarsi un capitolo a parte.

“Rocky III” è l’ultimo capitolo in cui la leggendaria “Gonna
Fly Now” si sente ancora nella sua versione con il testo, ma Stallone sapeva
che anche dal punto di vista musicale bisognava alzare la posta in gioco, in
qualche modo anticipando la svolta quasi da videoclip del capitolo successivo, il
primo pezzo scartato da Sly era “You’re the Best” di Joe Esposito
(entrato poi nella colonna di “Karate Kid”, ma questa è un’altra storia) che, in
realtà, voleva qualcosa di già famoso, tipo “Another one bites the dust”
dei Queen che, siccome vendevano già un botto da soli, gli hanno risposto
picche. Per nostra fortuna “Eyes of the tiger” è stata commissionata ai Survivor,
diventando di colpo così famosa da superare in popolarità forse anche “Gonna
Fly Now”, sono abbastanza sicuro che alla domanda: “Qual’è la canzone di Rocky?”.
Molti si metterebbero a cantare “Eyes of the tiger”, ci sta è solo una delle
tante cose uscite dalla saga di Rocky per diventare patrimonio culturale del
pianeta, ma anche la canzone da allenamento definitiva, io ce l’ho nella mia
playlist da corsa che ha sempre attinto a piene mani dai film di Rocky, lo
ammetto!

L’altro marchio di fabbrica della saga? Il momento del “Comeback” di Rocky (ne fa le spese la milza di Clubber Lang).

“Rocky III” contribuisce anche a completare l’iconografia
del personaggio, è qui che spuntano i celebri pantaloncini a stelle e strisce prestati
da Apollo («Ricordati di lavarli prima»), ma anche il famoso «Ti spacco in due»
(risposta: «Provaci») di Clubber Lang che verrà ripreso in qualche modo nel
doppiaggio “creativo” del prossimo capitolo. Insomma, “Rocky III” punta tutto il
malloppo su un cambio di tono in pieno stile anni ’80 e vince la scommessa, a
tratti sembra il banco di prova per il film successivo, ma è anche quello giusto
per portare vanti una saga che nel frattempo aveva cambiato pelle, perché era
semplicemente diventata più grande e famosa, proprio come il suo protagonista.

“Rocky III” completa la caduta e la redenzione di un
personaggio che non è più il ragazzone che prendeva a pugni i quarti di bue del
primo film, anzi tra le due pellicole
esiste un abisso incolmabile semplicemente perché le condizioni erano cambiate,
eppure forse la stragrande maggioranza delle persone che magari non hanno visto
tutti i film della saga, molto più probabilmente è con questo film che
identificherebbero il pugile più famoso del grande schermo, o al massimo con il
prossimo capitolo che se ho fatto bene i calcoli, arriverà qui sopra nel
giorno giusto del calendario, quindi occhi (della tigre) aperti, questa rubrica
ha ancora tanti pugni da assestare.

Non perdetevi la locandina d’epoca dalle pagine di IPMP!

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