Un’altra fondamentale tappa nel mio percorso di allenamento, in vista dell’uscita del secondo capitolo di Creed, il periodo dell’anno non potrebbe essere più azzeccato di questo per presentare il film protagonista del nuovo capitolo della rubrica… Win Rocky Win!
Voglio essere chiarissimo fin da subito, con questo post finiranno delle amicizie, malgrado lo spirito natalizio so già che in tanti mi toglieranno il saluto dopo aver letto questo post, ma sappiate che per lo meno sono stato terribilmente onesto e quindi ne sarà valsa la pena. Sì, perché non ho nessun problema ad ammettere che per un sacco di anni ho sempre ritenuto “Rocky IV” qualcosa di urticante, non proprio una vera forma di odio (cinematografico, ovviamente), ma qualcosa di fastidioso, come quando il dentifricio ti cade dallo spazzolino e si spiaccica sulla porcellana del lavandino, niente di drammatico, ma comunque insopportabile.
Da bambino mi piaceva, ma il mio capitolo preferito della saga è sempre stato il primo, “Rocky” è un film unico, un perfetto equilibrio tra epica e film intimista, con un protagonista così umano che, ancora oggi, devo proprio sforzarmi per non riconoscermi completamente (invano, per altro). Poi sapete cosa succede, no? Uno cresce e arriva quel periodo in cui per… Boh? Ribellione giovanile? Prendi le distanze da tutti quei film che amavi da bambino e ti getti anima e cuore alla ricerca di tutti i titoli più ricercati, da Bergman, a Kubrick passando per chi volete voi. Più o meno ci siamo passato tutti noi appassionati di cinema, no? Per me, a lungo “Rocky IV” è stato il seguito tamarro, quello che non aveva nulla a che vedere con il “mio” Rocky, quel ragazzone ignorante con il cuore grande, i pugni pesanti e la testa dura che da sempre è stato uno dei miei personaggi preferiti. Ma diciamola proprio tutta: questa propaganda filo americana non è che mi andasse proprio giù facilmente, vogliamo aggiungere una certa predisposizione (naturale? Familiare? Politica? Fate voi), ma a me quello con i calzoncini con la falce e il martello stava anche abbastanza simpatico, nella mia testa, prima di salpare dalla sua Vilnius, il cap. Marko Ramius lasciava una fidanzata incinta di un frugolo a cui la ragazza madre avrebbe dato il suo cognome da nubile (Drago) e il nome del padre, o del fratello morto male (Ivan), perché sono cresciuto con Caccia a Ottobre Rosso e ne pago le conseguenze, ma mi sono anche inventato tutta una storia di origini (e se vi interessa, anche una trama per un film solista) su Ivan Drago e non è un modo per recuperare dopo le mie affermazioni su questo film, è il classico caso di storia vera.
Con “Rocky IV” ho fatto la pace dopo, nel momento in cui pur amando Bergman, Kubrick o chi volete voi, alla fine a quei film con cui sei cresciuto ci torni e anche se si tratta di un film di pura propaganda, sarei un ipocrita a negare gli effetti meriti di questa pellicola e sarei anche un po’ un cretino, visto che lo spettacolo finale è notevole. Non ci sono dubbi, se Rocky è un film che non dovrebbe mancare nella formazione di ogni buon cinefilo, anche solo per aver creato una delle più grandi icone della storia del cinema, “Rocky IV” è il suo seguito più famoso, con un peso specifico nella cultura popolare equivalente a quello in chili di Ivan Drago e visto che la data è quella giusta anche il film con cui posso portare avanti una tradizione: Signore, signori, Tovarish… Il Classido di Natale della Bara Volante!
In ogni vita ci sono alti e bassi, ma cinematograficamente parlando, non riesco a pensare ad un caso più centrato di un artista che si guarda intorno, annusa l’aria e capisce di essere all’apice, del 1985 di Sylvester Stallone. Nella carriera di Sly sono arrivati altri grandi momenti, ma il 1985 è stato irripetibile perché il nostro Silvestro non è mai più stato divo di così, Rocky III è un trionfo al botteghino seguito nello stesso anno dalla nascita del secondo personaggio più famoso della carriera di Sly (se chiedete quale, potete lasciare questo blog per sempre anche subito), tanto che a quel punto della sua carriera Stallone poteva permettersi tutto, anche dirigere il seguito di “La febbre del sabato sera” (1977) con quel riassunto di estetica anni ’80 che è “Staying Alive” (1983), oppure recitare in una commedia con Dolly Parton (Nick lo scatenato, 1984).
Ma il 1985 era proprio il momento in cui Sly stava sul picco di una montagna altissima e sapete chi era anche all’apice in quel periodo, una cosetta di cui potreste aver letto magari in qualche libro di storia: la Guerra Fredda.
Ora, io non so se sia stato per patriottismo, senso del dovere, o semplice megalomania, ma nel 1985 Sylvester Stallone ha deciso di restituire al popolo americano che lo ha reso IL divo degli anni ’80 qualcosa delle sue fortune, usando l’arma più potente a disposizione degli Americani: il cinema. Pensateci: “Rambo II – La vendetta” uscito nello stesso anno, era stato scritto da James Cameron (scusate se è poco) come una grossa critica al Vietnam, Stallone non solo ha dato il benservito al Canadese, ma ha riscritto il film per farne un inno contro la corruzione della classe dirigente che ha portato al disastro del Vietnam (con la titanica frase: «Murdock… sono io che vengo a prenderti!»), mentre con “Rocky IV” ha semplicemente deciso che era il momento di battere cinematograficamente i loro avversari Sovietici, un po’ come era già accaduto sportivamente il 22 febbraio del 1980, con la celebre “Miracolo sul ghiaccio” la partita di Hockey tra USA e URSS a cui questo film si mette in scia, almeno per la parte sportiva. Capite da voi che un’idea del genere può venire solo ad uno con un carisma che levati (ma levati proprio) e una convinzione nei suoi mezzi che solo lo status di divo assoluto poteva certificare. Non è nemmeno un caso che una volta vinta la guerra al cinema, Stallone poteva solo più concentrarsi su sé stesso, sfornando quel capolavoro di (super)ego che è Cobra.
Per ottenere il suo risultato Sly passa con la pialla sul suo personaggio più famoso, fatemi aggravare la mia già pericolosa situazione, dal punto di vista della sceneggiatura “Rocky IV” non è solo il film più breve di tutta la saga (91 minuti), ma è anche quello più scarso, ci sono passaggi logici in cui bisogna non chiudere un occhio, ma tutti e due e sospendere l’incredulità (il campione del mondo che va a combattere da solo, non per soldi e nemmeno per il titolo in Unione Sovietica? Dài, andiamo!) e gran parte delle dinamiche tra personaggi sono risolte con dialoghi più che frettolosi, tipo Rocky che comunica ad Adriana la sua decisione di andare a combattere in Russia a Natale dicendo una cosa tipo: «Io vado, eh?». Oh! Quando ci sono i dialoghi! Perché in certi momenti Stallone non si sbatte nemmeno a scriverli e lascia che sia la musica a fare tutto il lavoro sporco, ma su questo, lasciatemi l’icona aperta che ti torniamo.
“Rocky IV” non fa altro che prendere il modello di Rocky III, asciugarlo di ogni possibile sfumatura (Clubber Lang era il lato oscuro di Rocky, mentre Ivan Drago non ha sentimenti) lasciando solo l’eroe e il cattivo, le loro differenze e il loro scontro diretto, tutto quello che succede nel mezzo, serve solo a dare motivazioni all’eroe, citofonando a casa Creed, in cerca di un agnello sacrificale, il tutto premendo a tavoletta sul lato sensoriale del cinema, occhi e orecchie in “Rocky IV” sono iperstimolati, a partire dai titoli di testa che riassumono tutto il film: un guantone a stelle e strisce ed uno con falce e martello che si scontrano, i titoli di testa più potenti mai visti dai tempi di Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan.
Altro colpo di pala con cui mi sto scavando la fossa, si vede che “Rocky IV” dal punto di vista della trama è il più debole film di tutta la saga anche perché Adriana, ha un ruolo più che minimale, anche meno che in Rocky III dove almeno Talia Shire aveva l’attenuante di essere impegnata su un altro set e poi vogliamo parlare di Paulie? La vera coscienza di Rocky? Ecco, Paulie in questo film è impegnato in una storia d’amore con una Robot (nemmeno ginoide, visto che sembra la versione gigante di “Emiglio” per chi lo ricorda) che fondamentalmente è innamorata di lui, se escludiamo un paio di battute mica male («Chi è lei?», «La maggioranza non silenziosa, brutto chiacchierone!») fine del contributo di Paulie al film.
L’altra faccia della medaglia sono i nuovi arrivati, per incarnare alla perfezione lo stereotipo (cinematografico) dei Sovietici, Stallone prende una Danese mica male, che dopo averlo tempestato di sua foto zozze fatte sul set di Yado, alla fine lo ha convinto a sposarla (Brigitte Nielsen) e un ragazzone svedese che nella vita aveva fatto svariate cose (terzo Dan di Karate nella squadra svedese, una laurea in chimica presa sbadigliando e poi abbandonata per andare a fare cose serie, come il buttafuori in un locale, o il toy boy di Grace Jones a New York), al cinema pochino, ma che ha comunque sbaragliato la concorrenza dei si dice ottomila candidati per il ruolo, con un modo molto semplice: mandando all’ospedale Stallone con un suo pugno, dopo che Sly gli ha chiesto di fare sul serio durante il provino (storia vera). Dolph Lundgren è un essere umano incredibile, definirlo unico e raro sarebbe riduttivo, del milione e mezzo di film in cui ha recitato, questo è l’unico che l’Italia ricorda, ma il suo Ivan Drago è a tutti gli effetti uno dei cattivi più iconici della storia del cinema.
Ivan Drago, la Transiberiana, 1,96 (capelli a spazzola non compresi) di muscoli, riassunto in una frase del suo viscidissimo manager Koloff «Qualsiasi cosa lui colpisce, lui la distrugge», il sogno bagnato di Vladimir Putin che da qualche parte in Siberia, secondo me, sta cercando di progettare una generazione di (Universal)Soldier Sovietici, la minaccia sportiva alla Verità, la Giustizia e lo Stile di vita americano a cui qualcuno dovrà mettere un freno, in mancanza di Superman, ci pensa Apollo Creed.
Se la morte del primo mentore Mickey in Rocky III era dolorosa e intima, quasi un momento di raccoglimento, quella del secondo è in linea con questo film, esagerata, sopra le righe, in pieno stile anni ’80 e non solo serve a dare la motivazione a Rocky per affrontare Ivan Drago, ma serve anche a lanciare lo spin-off Creed ribadire le differenze tra Americani e Russi, per dirla alla Apollo, qui si tratta di noi contro di loro. Quindi, il regista Silvestro Stallone cosa fa? Apre il gas e si affida per la prima volta nel film alla musica, facendo venire giù un cantante morigerato nei toni come James “Cocaina” Brown al massimo della sua potenza. Apollo vestito da Zio Sam che entra sulle note di “Living in America” porta subito il livello di tamarria del film a 12, appena sotto la Punto GT gialla con l’assetto.
Qui per dirla come fanno nel film, quella che doveva essere una festa dello sport si tramuta in un massacro, Rocky per battere Apollo ci ha messo due film, Ivan Drago per ucciderlo solo due round, con la moglie di Creed che urla «Fermate l’incontroooooooo!», io che sulla poltrona grido «Fermate l’incontroooooooo!», poi mi estraneo da me stesso, mi guardo e mi dico: “Ma che minchia fai? Lo hai visto 470 volte questo film, sembra che sia la prima volta che lo vedi”. Dopodiché io e la mia forma astrale siamo seduti sul divano a guardare lo schermo gridando in coro «Fermate l’incontroooooooo!» (storia vera) e Drago che parla con il Vocoder e dice cose tipo: «Nessuno riuscirà a battermi», roba che a confronto Darh Fenner che chiedeva dove sono i piani per la Morte Nera, è minaccioso come un anziano che chiede indicazioni stradali.
Qui dovrebbe starci un lungo lavoro di sceneggiatura, in cui Stallone scrive il percorso emotivo che porta Rocky a fare la sua scelta, ma hey! Sono gli anni ’80 bellezza e Sly codifica il suo stile registico, quasi da videoclip (non a caso Cobra, sarà quasi tutto così) almeno per il periodo che ha coinciso con il suo status di super divo planetario, invece di un dialogo, zio Stallone si gioca la seconda canzone, una corsa in auto di notte, un montaggio veloce di immagini e “No easy way out” di Robert Tepper che con le sue parole (“Non siamo indistruttibili, Baby è meglio te ne renda conto / non c’è una via d’uscita facile, non c’è una scorciatoia per casa”) racconta cosa passa per la testa di Rocky al meglio.
Trovo stranissimo (ma nemmeno tanto) che il musical su Rocky, con Stallone come produttore esecutivo sia ispirato al primo film e non a “Rocky IV”, ma forse perché questo film è già quasi un musical, infatti utilizza le canzoni per raccontare intere porzioni di storia, quando Rocky in mestizia atterra in Russia, parte “Burning Heart” dei Survivor, a Stallone basta inquadrare la Steppa russa (interpretato dall’innevato Wyoming) e le parole della canzone fanno il resto: “Due mondi si scontrano, nazioni rivali / É uno scontro primitivo, sfogo di anni di frustrazioni”. E voi ancora fate vedere “Frozen” ai vostri figli e nipotine? Oh, volendo la neve c’è anche qui eh?
Nel suo essere un film quasi completamente visivo, Stallone applica alla perfezione la regola cinematografica “Show, don’t tell”, quindi la prova a superare questa volta non è acchiappare una gallina, o superare in corsa il compianto Apollo, ma seminare l’auto dei due agenti del KGB di corsa tra la neve e l’arrivo di Adriana in Unione Sovietica è il momento che dà il via al vero marchio di fabbrica della saga, il training montage che qui, seguendo un’altra regola aurea (quella dei seguiti) è uguale, ma più grosso, anzi doppio, visto che da una parte ci mostra l’allenamento casalingo e orgogliosamente analogico di Rocky, con barba lunga, tronchi e montagne da scalare («Draaaaaaaagooooooo!») dall’altra quello digitale di Ivan Drago, tutto steroidi, tapis roulant, macchinari avanzati milionari, insomma l’abbonamento base in qualunque Virgin Active d’Italia.
Il tutto? Ovviamente con la musica! “Heart’s on Fire” entra a far parte dei pezzi da allenamento di due o tre generazioni di pubblico, mentre Bill Conti per la prima volta, lascia il ruolo di compositore al nuovo arrivato Vince DiCola che si guadagna il suo posto nella storia del cinema con “War”, forse il pezzo che viene associato al personaggio di Rocky, almeno quanto “Eye’s of the tiger” e probabilmente anche più di Gonna fly now. Il passaggio di consegne tra compositori è significativo in un film in cui la musica è così fondamentale, se fino a Rocky III il personaggio seguiva l’andamento della vita e della carriera di Stallone, in questo film è il buono a tutto tondo, è un nuovo Rocky che non somiglia nemmeno più nell’aspetto e nei modi a quello del primo film, è il supereroe americano forgiato per la battaglia e con un tema musicale che non deve essere di rivalsa, ma di guerra, infatti non a caso si intitola “War”.
Se l’entrata in scena di Apollo era stata “Yankee” e sopra le righe, l’inizio del match finale è sommesso, anche se lo ammetto, quando sento partire l’Inno dell’armata rossa mi gaso sempre tantissimo (vi ho già parlato di Caccia a Ottobre Rosso, vero?) e parliamo dell’elefante nella stanza, lo so che siamo tutti legati alla mitica «Io ti spiezzo in due» di Ivan Drago che è diventata un modo di dire comune in uno strambo Paese a forma di scarpa, ma ammettiamolo: è un’adorabile cazzata, perché non trasmette il senso di urgenza, di unica ragione di vita che, invece, la frase originale («I must break you») che in quattro parole sono il riassunto di una vita passata a prepararsi per distruggere l’avversario, un indottrinamento iniziato fin dalla nascita, quando Ivan è stato strappato dalla braccia materne per diventare il super uomo Soviet… Vi ho già parlato anche delle origini del personaggio che mi sono inventato, vero? Ok, andiamo avanti.
Il match finale tra Rocky e Drago è pura epica, segue l’andamento del film (caduta, ritorno e vittoria per l’eroe), ma ogni pugno è cesellato e ultra ricercato. Siccome quando qualcuno ha la possibilità di fare una domanda a Dolph Lundgren, alla fine sempre di Ivan Drago gli chiedono, lo Svedesone spesso risponde che Stallone gli ha fatto ripetere la coreografia di combattimento così tante volte, che ancora oggi ne ricorda una buona porzione a memoria (certo, avere un quoziente intellettivo stimato attorno a 160 un pochino aiuta, storia vera), ma è innegabile che resta uno dei più coinvolgenti mai visti in tutta la saga di Rocky, non solo perché è l’epica di due uomini che si odiano e vogliono vincere, ma perché tra un «Non fa male! Non fa male!» e un «Io ne vedo tre di quello là…» («Tu becca quello di mezzo!») sfido chiunque e non lasciarsi prendere dalla sfida.
Che, per altro, nell’ottica del film di pura propaganda che è “Rocky IV”, viene da citare l’avvocato Federico Buffa, quando diceva che nessuno fa il tifo per Golia, infatti con il passare dei round anche i Sovietici iniziano a tifare per Rocky e lo stesso Ivan Drago ferito («Gli hai fatto male! Adesso ha paura, lo hai ferito, gli hai fatto male! Hai capito? Non è una macchina! È un uomo!» ok, la smetto con le citazioni giuro!) inizia a combattere per sé stesso, l’individualismo americano che trionfa sui valori del Collettivo sovietico che a guardare i film Yankee, sembra che i Comunisti siano tutti un’unica mente alveare che pensa all’unisono come gli alieni di un film di fantascienza degli anni ’50.
Ma se per Stallone, Rocky è sempre stato l’eroe popolare, quello che piaceva al pubblico perché potevano immedesimarsi con lui, nel 1985 quell’eroe doveva dare al popolo una vittoria così chiara, epica e netta che solo al cinema si poteva avere e prima che questa frase inizia a sembrare un discorso ai contadini nella Steppa russa aggiungo che sì, è pura propaganda, ma è anche grandissimo cinema capace di influenzare la cultura popolare come raramente abbiamo visto accadere.
Quando ho iniziato questo post non sapevo cosa mi aspettava. Negli anni il mio parere sul film è cambiato e per quel parlare ho visto molta gente che mi odiava ed io… Non sapevo… Non sapevo come la dovevo prendere. Poi ho capito perché questo resta un grande cinema, più grande dei suoi intenti finali, ho provato a spiegare il perché, magari non ci sono riuscito, ma è quello che volevo fare, durante questo post ho visto cambiare le cose: cioè quello che provavate per me e quello che io provavo per voi! Però quello che sto cercando di dire è che se io posso cambiare e voi potete cambiare… Tutto il mondo può cambiare! Buon Natale a tutti!
Intanto, per restare in tema “Rocky IV” non dovreste per nessuna ragione al mondo perdervi questo post della Cine Civetta, un capolavoro, non ho altre parole per definirlo! ma non perdetevi nemmeno la locandina d’epoca del film dalle pagine di IPMP!
Ok, gente capolinea, la Bara Volante si prende qualche giorno di ferie per andare a prendere a pugni Pandori, Panettoni e cenoni, nei prossimi giorni potrebbe arrivare qualche post giusto per tenerci in allenamento, ricominciamo il 7 gennaio con il solito palinsesto e il resto della rubrica su Rocky. Mangiate, dormite, bevete, guardate tanti film e insomma, passatevela al meglio, tanti auguri a tutti quanti voi!
Sepolto in precedenza lunedì 24 dicembre 2018
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing