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Rocky V (1990): il Rocky che non ricorda nessuno

Anche se in uno strambo Paese a forma di scarpa toccherà aspettare più del necessario, nel resto del mondo è già uscito il secondo capitolo di Creed, quindi continuo il mio allenamento con il nuovo capitolo della rubrica… Win Rocky Win!

Vi è mai capitato di dire qualcosa di giusto, ma con il tono completamente sbagliato? A me capita di continuo, non ho il piacere di conoscere Sylvester Stallone così bene, ma almeno una volta è capitato anche a lui, quella volta si chiama “Rocky V”.

Gli appassionati della saga si dividono tra quelli che non sopportano questo capitolo e quelli che gli vogliono bene malgrado i (tanti) difetti, ma in generale è pensiero abbastanza comune che questo sia il capitolo più scarso di tutta la saga e, per altro, anche l’unico film a non aver sfondato i botteghini, andando addirittura in perdita alla sua uscita. Se parliamo del grande pubblico, invece, “Rocky V” è il capitolo che nessuno ricorda, non so voi, ma mi è capitato un sacco di volte dover raccontare a persone che ricordano benissimo Ivan Drago e magari anche il capitolo successivo che questo film è quello dove Rocky prende un allievo talentuoso, ma non proprio dal cuore puro e che termina con una rissa in strada… Davvero tante, il capitolo della saga che tutti vogliono nascondere sotto il tappeto.

«Mi spiegate cosa vi ha fatto di male questo film? Dovevo girare “Fermati, o mamma spara 2” forse?»

Dopo il trionfo al botteghino di Rocky IV, Stallone ha dovuto incassare i clamorosi diretti di due film cesellati attorno al suo stato di divo che, però, al botteghino hanno raccolto risate, prima Cobra e poi “Over the top” (1987), ma a cambiare davvero tutto è il successo di due classici come Arma Letale Trappola di cristallo che introducono a forza nel genere action elementi più comici, con cui la serietà congenita di Stallone non è riuscita tanto a stare al passo, mentre era un invito a correre per la gazzella Arnold Schwarzenegger, da sempre lo storico avversario di Stallone almeno nell’immaginario comune, visto che insieme a Bruce Willis erano proprietari della catena di ristoranti Planet Hollywood.

“Rambo III” (1988) così serio e con i suoi russi monodimensionali sembrava arrivato fuori tempo massimo, quindi Stallone decide di rifugiarsi ancora nel suo personaggio più famoso, ma deve fare i conti con il suo stesso successo. Andiamo, come lo fai un seguito di Rocky IV? L’apice dell’estetica anni ’80 e della propaganda del decennio? Provare ad alzare ancora l’asticella vorrebbe dire mandare tutto in vacca con qualcosa di involontariamente comico, oppure esagerare deragliando, sul serio dopo Ivan Drago contro chi potrebbe scontrarsi Rocky? Un alieno? Ci sono voci in giro che dicono che anche quella è stata un’opzione per un po’, ma la concorrenza di Schwarzenegger era già arrivata prima.

In questo senso, “Rocky V” ha lo stesso problema di Rocky II: arriva dopo un capitolo amatissimo ed iconico, ha la responsabilità di portare avanti la storia, ma non sa ancora davvero bene come farlo. Entrambi restano i capitoli più deboli della saga perché costretti a fare il lavoro sporco, ovvero spianare la strada e indicare la direzione ai film successivi, con il problema che “Rocky V” ha molta più cattiva scrittura del suo gemellino con le doppie barre nel titolo e meno momenti memorabili, anche se di base ha un’idea potente, anche coraggiosa: quella di riportare il personaggio alle origini rendendolo un mentore.

«Grazie Rocky per questa bellissima maglietta», «Ehm, si, prego… Ci sarà da lavorare»

Se ritorno alle origini dev’essere, che lo sia in pieno! Bill Conti torna a comporre la colonna sonora e Sly richiama anche John G. Avildsen regista del primo film, la cui ispirazione dopo “Karate Kid III” (1989) era un po’ andata a sud e aveva qualcosa da dimostrare, insomma l’opzione “Blues Brothers”: rimettere insieme la banda!

L’inizio del film è micidiale, i famigerati cinque minuti che determinano tutto l’andamento della pellicola di cui parlo sempre (anche troppo spesso), ma qui il contenuto è giusto, è il modo in cui viene raccontato ad essere sbagliato, anche se l’inizio farebbe pensare subito ad altro. Abbiamo lasciato Rocky all’apice, l’eroe americano che ha conquistato anche i nemici Sovietici e qui lo ritroviamo sotto la doccia spaesato, incapace di far smettere di tremare le mani per i troppi pugni presi da Ivan Drago, uno stato di confusione (chiama Adriana “Mick” come il suo vecchio allenatore) e di fragilità che è l’esatto opposto di tutto Rocky IV, un inizio micidiale, una vera secchiata di acqua gelata in faccia al pubblico.

L’inglorioso e intimo finale di un duello epico.

All’attore Richard Gant, viene chiesto di interpretare un manager odiosissimo che non ci prova nemmeno a non ricordare in tutto e per tutto il famigerato Don King che offre una borsa altissima a Rocky per combattere in Giappone, ma poi si lega al dito il suo rifiuto, frutto della sua condizione medica e di una Adriana con due palle così, ci sono dei momenti in questo film, in cui penso: “Ecco, ora Talia Shire gli molla un destro e lo manda lungo disteso!”.

«Ho Nicolas Cage come nipote, con te ci spazzo il pavimento»

Ma quando piove grandina, la salute di Rocky non gli permette più di combattere e al resto ci pensa Paulie che sbagliando tra “proroga” e “procura” consegna il patrimonio familiare ad un immobiliarista che si fuma tutto e lascia i Balboa in braghe di tela, con solo più le chiavi della vecchia palestra di Mickey e la prospettiva di dover lasciare la loro villa e ridimensionarsi, per tornare a vivere nel vecchio quartiere, cambiamento che tutti sono costretti ad accettare, ma che al figlio di Rocky proprio non va giù, Robert Balboa Jr. (interpretato dal figlio di Sly, lo sfortunato Sage Stallone) che è l’unico in famiglia ad aver conosciuto sempre e solo la vita agiata.

#Ciao Poveri.

Un ritorno alle origini in tutto e per tutto, anche nella parlata di Rocky, nella versione doppiata è chiaro, ma in originale Stallone accentua ancora di più il dettaglio, se in Rocky III, lo Stallone italiano si era sistemato, nel vestire e nel parlare (si era “civilizzato” per usare le parole di Mickey), qui Stallone riprende lo stesso cappello, la stessa giacca di pelle e i guanti tagliati del primo film e insieme a loro il modo un po’ da buzzurro di esprimersi, il tutto giustificato dai danni neurologici subiti sotto i colpi della Transiberiana. Un’idea, come detto, molto coraggiosa, cosa potrebbe andare storto? Forse gli stessi identici difetti di Rocky II, in moltissimi passaggi Stallone scrive utilizzando il pennarellone a punta grossa, in modo da essere sicuro di ribadire gli stessi due o tre concetti un numero esagerato di volte, a questo si aggiunge un’operazione che oggi definiremmo di “Retro-continuity” legata a Mickey e ai gemelli ricevuti in persona da un altro Rocky: Rocky Marciano.

La scena flashback concede a Burgess Meredith di riprendere per qualche minuto il ruolo dell’allenatore di Mickey e risulta anche un po’ melensa quando John G. Avildsen cerca di replicare anche le stese inquadrature sulla palestra del primo film, con la sensazione generale di aver perso un po’ quella fame che lo motivava nel 1976, o come vengono descritti in questa saga, gli occhi della tigre.

«Usa la Forza Luke Rocky»

Il gemello da polso di Marciano, trasformato in una catenina è la soluzione di sceneggiatura urlata da Stallone, un simbolo dell’ideale passaggio del testimone che diventa la mela della discordia quando entra in scena Tommy Gunn, che non è uno dei miei pezzi preferiti dei Clash, ma è un ragazzone con un “Mullet” orripilante che viene dall’Oklahoma, ci spiega a tutti che il vero nome di Rocky è Robert (pronunciato qui per la prima volta a proposito di “Retro-continuity”), che sa fare a pugni e con un allenatore come Rocky sa che sfonderebbe. Ma su di lui tocca aprire una doverosa parentesi.

Ad interpretarlo è Tommy Morrison, altro ragazzo molto sfortunato che nella sua breve vita ha fatto il pugile per davvero con un buon successo, prima di venire scelto da Stallone per il ruolo di Tommy “The Machine” Gunn, seguendo un precetto che nel cinema è controverso: meglio insegnare ad un attore a far finta di conoscere una specialità sportiva, oppure prendere un vero sportivo e farlo recitare? Questo lo lascio decidere a voi, io ho il mio parere, Stallone aveva di sicuro il suo e gli è andata sfiga perché anzichè Ray Allen, gli è capitato per le mani Morrison che picchia come un fabbro, però sembra un tubero e recita proprio come farebbe un tubero, non proprio il massimo per la riuscita finale del film.

Finché si tratta di tirare pugni tutto bene, recitare invece uhm…

Tra le trovate riuscite del film, inserite pure il fatto che Rocky qui sembra l’Apollo di Rocky III, il campione che non riesce a convivere con il ritiro forzato e ha bisogno di vincere ancora per riscattarsi, anche allenando qualcuno, solo che la scelta di Rocky ricade su uno che si veste come lui, parla come lui e per questo “Rock” fa l’errore di credere che sia anche come lui. Più passa tempo ad allenare Tommy, più si allontana dal figlio che, intanto, deve anche vedersela con i bulli a scuola, ben felici di farsi un nome pestando il figlio del grande Rocky Balboa.

E temevo il buio già quand’ero bambino / Lo chiamavo buio ma era l’ombra del divo (Cit.)

Tutto questo melodramma sottolineato svariate volte da Stallone non è proprio la più raffinata delle sue sceneggiature e raggiunge l’apice dell’inguardabile durante la festa di Natale, quando Rocky sfoggia un orrido maglione a collo alto, suo figlio un orecchino a catenina che nella scuola dove sono andato io, di sicuro avrebbe trasformato chiunque nel sacco da boxe dei bulli, il tutto mentre Tommy, nel giro di una scena passa al lato oscuro della Forza firmando per l’odioso manager sosia di Don King e lasciando Rocky al palo. Di più inguardabile di quello strazio natalizio, solo il “training montage”, il vero marchio di fabbrica di questa saga che, per adattarsi ai gusti del pubblico del 1990, invece della musica rock si gioca il rap, una coltellata al cuore vi giuro.

Lasciate ribadire anche a me un concetto: “Rocky V” non sbaglia i contenuti, ma sbaglia il modo di mostrarli al pubblico, la distanza con il primo film si consuma nella scena in cui Rocky si scusa con il figlio per averlo ignorato in favore del traditore Tommy. Nel primo capitolo John G. Avildsen ci mostrava il momento di riappacificazione tra Rocky e Mickey inquadrando i due personaggi da lontano, quasi a volerli lasciarli soli a parlare, rinunciando ai dialoghi e mostrando solo il loro abbraccio per farci capire che: tutto apposto ragà! Si va ad affrontare Apollo, una soluzione efficace, cinematografica, da uomini direi, non si parla, si agisce. Qui, invece, la pace arriva affidandosi solo alle parole anche abbastanza melense e se la scena funziona è solo perché Stallone veste il suo personaggio così bene, che il suo lato da attore, risulta migliore di quello da sceneggiatore.

«Scusa», «Guarda che non ti hanno sentito», «Scusa!», «Ok ora va meglio»

“Rocky V” fa delle scelte giuste, spesso volutamente anti spettacolari dopo le vette raggiunte con il capitolo precedente, l’idea di base è assolutamente giusta: riportare Rocky alla sua dimensione originale, più mesta e vicina al pubblico. Ha pagato dividendi notevoli nei capitoli successivi (a breve su queste Bare), così come l’idea di renderlo un mentore, di fatto “Rocky V” era la prova generale per Creed, fatta troppo presto e sbagliando, purtroppo, il modo di raccontare la storia.

Non trovo nulla di sbagliato nell’idea di un ultimo match in linea con il film, non combattuto sotto i riflettori di un ring, ma per strada, davanti ad un bar, una rissa da strada tra le persone del quartiere, una lotta che ha valore solo per chi ne prende parte, purtroppo l’ultimo scontro tra Rocky e Tommy non somiglia per niente alla scazzottata di Essi Vivono e sbaglia quasi tutto.

«Gli occhiali da sole ti serviranno dopo per coprire gli occhi neri»

Tommy diventa il più giovane campione dei pesi massimi della storia del pugilato, ma il pubblico sa del suo voltafaccia e urla dagli spalti «Rocky! Rocky! Rocky!», una soluzione che mi permetto di definire ben poco realistica, ma poco importa, a livello di spettacolo cinematografico posso accettarlo. Aizzato dal suo viscido manager che già pregusta i soldoni che arriverebbero da un vero incontra tra i due, convince Tommy “The Tubero” Gunn a stuzzicare Rocky, quindi con classe del vero tamarro, quello che ti aspetteresti vedere fare il grosso con il “Pungiball” alle giostre, il tubero ragazzo si presenta al bar e finisce a tirare un cazzottone in faccia a Paulie, sotto gli occhi di Rocky.

Qui arriva quello che per me è L’ERRORE di “Rocky V”, più grave di un tubero come avversario o di una sceneggiatura spesso ridondante, quando Paulie va a terra, Stallone fa uno sguardo che anche dopo tante visioni del film mi fa pensare ad un solo nome: Rambo.

«Lasciami stare o scateno una guerra che non te la sogni neppure» (Cit.)

Per l’unica volta in tutta la saga, Stallone sbaglia e invece del suo personaggio più famoso, fa fare capolino in questo film al suo secondo personaggio più celebre, può sembrare un problema da poco, ma non lo è affatto perché i due hanno in comune un nome che inizia per “R” e lo stesso attore ad interpretarli, ma sono personaggi diversissimi, infatti il finale di “Rocky V” diventa indistinguibile da qualunque altro film di Stallone, con tanto di “Frasi maschie” («Bravo, lo hai messo giù. Perché non ci provi con me ragazzo, il mio ring è la strada») che non hanno molta cittadinanza con il personaggio di Rocky (che di solito alle spacconate dei suoi avversari, risponde con uno scambio di battute con Paulie), ma soprattutto un tono trionfale che stona tantissimo con la direzione data a tutto il film.

Le persone che invocano Rocky quando gonfia (giustamente) come una zampogna Tommy e ancora di più, il momento da “Bad ass” fuori luogo con il manager («Toccami e ti denuncio» SBAM! «Vammi a denunciare») esaltante quanto volete, ma ben poco logico per un personaggio che avrebbe dovuto diventare saggio e responsabile nei confronti della sua famiglia e di certo non ha i soldi per pagare un avvocato tanto buono come quello che potrebbe, invece, potrebbe permettersi il Don King da strapazzo.

Nessuna campanella, suoniamo direttamente la capoccia di Tommy, ding ding!

Questo finale sembra un modo per dire al pubblico che Rocky è ancora quello che sconfigge il male a pugni visto nel quarto capitolo e che Stallone ancora il divo di allora, peccato che sia l’ultimo scivolone di un film che, appunto, non viene mai ricordato almeno dal grande pubblico. Possiamo tirare solo un sospiro di sollievo, perché Sly su insistenza dei produttori, ha tagliato l’ultima parte della sua sceneggiatura, quella in cui Rocky moriva durante il trasporto in ambulanza per i pugni subiti da Tommy, perché se “Rocky V” fosse rimasto l’ultimo capitolo, sarebbe stata una fine non all’altezza di un’icona come Rocky Balboa.

«Non è andata benissimo, mi sa che mi tocca almeno un altro round»

Per fortuna, la sensazione di una storia ancora in attesa del suo vero finale ha prevalso e se volessimo fare un paragone con la Boxe, “Rocky V” è un match in cui il nostro regala qualche buon momento, ma incassa un KO lo stesso. Tutti noi, però, sappiamo che Rocky è capace di grandi recuperi ed eroiche riscosse, così come l’attore che lo interpreta, mai riscossa è stata più incredibile di quella che arriverà qui sopra tra sette giorni, con il prossimo capitolo della rubrica, non mancate, intanto non perdetevi la locandina d’epoca di questo film, sulle pagine di IPMP!

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