Home » Recensioni » Rusty il selvaggio (1983): liberare i pesci combattenti

Rusty il selvaggio (1983): liberare i pesci combattenti

Quando mio padre, il signor Cassidy senior si è impallinato con gli acquari, decidendo così di passare il resto della sua vita con le maniche arrotolate, tutti hanno cercato di convincerlo a prendere quei bei pescetti colorati, come si chiamano? I Betta, costringendo l’anziano a spiegare a tutti la storia che io e voi conoscevamo già, perché abbiamo visto il film di oggi, il tutto mentre io mi godevo la replica della spiegazione, guardando l’acquario nella mia migliore imitazione possibile (quindi mediocre) di Motorcycle Boy (storia vera).

Piccolo ma doveroso passo indietro, con il doloroso e bruciante flop al botteghino di “Un sogno lungo un giorno” (1982) Francis Ford Coppola è costretto a rinunciare ad un altro suo sogno, diventato realtà con fatica con il successo dei suoi film precedenti, ovvero chiudere – per fortuna solo temporaneamente – la sua American Zoetrope, molto più di una casa di produzione, un laboratorio di sperimentazione cinematografica che al regista di origini italiane stava molto a cuore.

Il piano di rientro di Coppola era costituito da due film gemelli, per certi versi speculari, entrambi miei coetanei che spengono le loro prime quaranta candeline quest’anno, un dittico sulla gioventù a ben guardare entrambi seguiti da titoli sullo stesso tema come “Cotton Club” (1984), “Peggy Sue si è sposata” (1986) e “Giardini di pietra”, ma è impossibile separare il destino di I ragazzi della 56ª strada e “Rusty il selvaggio” che condividono molto di più che lo spazio all’interno della stessa boccia piena d’acqua che era l’anno 1983.

Coppola cerca di battere Diane Lane nella gara per le gambe più belle (mi dispiace Francis…)

Oltre al regista i due gemellini condividono l’origini letteraria, entrambi infatti sono tratti da romanzi di S. E. Hinton, co-sceneggiatrice insieme allo stesso Coppola per tutti e due i film. Il direttore della fotografia? Sempre lui, Stephen H. Burum e anche il cast sembra composto da cavalli pesci di ritorno, Matt Dillon e Diane Lane qui fanno coppia (per un po’) mentre Tom Waits ha un altro ruolo da barista, questa volta un po’ più sostanzioso, per non dimenticare Tulsa, la cittadina dell’Oklahoma che fa da sfondo ad entrambi i film.

Tanto è stato criticato alla sua uscita “The Outsiders” per la sua struttura così classica (perché come abbiamo visto, classiche erano le sue fonti) tanto è stato guardato storto questo “Rumble Fish” proprio perché Coppola qui ha potuto dar libero sfogo alla sua volontà di sperimentazione. Non deve aver aiutato poi la comune sfiga di adattamenti italiani dei titoli particolarmente fuori fase, non c’era nessuna 56ª strada in I ragazzi della 56ª strada e dal secondo gemellino, spariscono i riferimenti nel titolo ai pesci combattenti, in favore di questo rugginoso selvaggio Rusty, perché vuoi mettere sottolineare e sbattere in locandina un Matt Dillon 19enne in canottiera? Che per altro strizza l’occhio ai Marlon Brando che furono?

Eppure ogni volta che la vedo, mi sembra la locandina di Rambo.

“Rumble Fish” è un film bellissimo, tra i due titoli targati 1983 di Coppola, questo è il mio preferito, forse perché ha nel suo DNA un po’ più di sporcizia ed è ancora più riuscito nel rendere la disperazione giovanile che si consuma nella vita di provincia. Si nota nella rissa di strada che per quanto Coppola abbia in testa molto “West side story” (1961) a tratti sembra di guardare un I guerrieri della notte in bianco e nero, scelta estetica che non è solo un modo per sottolineare la natura sperimentale del film, ma ha una sua logica a livello narrativo che ho sempre trovato bellissima, come ogni dettaglio di questo Classido!

Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ne determinano tutto l’andamento bravi, quelli di “Rumble Fish” cominciano con un’inquadratura sulle nuvole in fuga nel cielo, una trovata presa in prestito da Coppola da “Koyaanisqatsi” (1982) di Godfrey Reggio, ottimo modo per portare un po’ di sperimentazione nel cinema per tutti, ma anche per sottolineare come i protagonisti del film siano in lotta con Padre Tempo, che corre, scappa e resta sempre uguale a se stesso.

Nella tavola calda dove tutti parlano dell’imminente rissa che vedrà protagonista Rusty James (Matt Dillon), chiamandolo per nome quattrocento volte in modo da assicurarsi che il pubblico capisca il nome del personaggio, troviamo facce note come Chris Penn, Laurence Fishburne e soprattutto il nipote del regista, nei panni di Smokey (l’anti-Rusty James), cotonato e con lo sguardo assonnato da pesce palla, Nicolas Cage manda a segno uno dei primi ruoli in vista della sua carriera, anche nel confronto con l’andamento della carriera di Matt Dillon, forse Cage era davvero l’anti-Rusty James.

Master Cage: The beginning

Nessun dettaglio è fuori posto in “Rumble Fish”, come ad esempio la scritta sul muro “The motorcycle boy reigns” che sottolinea che questo è il regno di “Quello della moto”, il fratello maggiore di Rusty James interpretato magnificamente da Mickey Rourke, ma anche che “Quello della moto” è una vera autorità, infatti la rissa finisce quando lui torna, rombano dritto dalla California di cui parla sempre. Una menzione speciale secondo me la merita l’adattamento italiano dei dialoghi, se per il titolo del film non sono stati gentili, trovate come “Quello della moto” funziona così come il far parlare i personaggi in maniera sgrammaticata («Sai che è successo a quelli che non credevano a Cassandra? Fregati dai greci», «Frega cazzi dei greci»), una trovata che di solito va persa nel doppiaggio ma fa arrivare al pubblico la condizione e lo stato sociale dei nostri protagonisti.

Si capisce dalla moto che lui è quello della moto.

Il primo dei tanti colpi di genio di Coppola è quello di non dirci nulla, ma di utilizzare il linguaggio cinematografico per riempire il non detto di grandi soluzioni, motorcycle boy è daltonico, di se stesso dice che lui il mondo lo vede “come la tv in bianco e nero, con il volume un po’ basso”, sarà per quello che le ritmate musiche composte da Stewart Copeland, direttamente dalla sezione ritmica dei Police, accompagnano i nostri protagonisti come un sottofondo, sempre presenti e mai invasive, inoltre trovo ironico che sia stato scelto proprio uno dei Police, considerando quanto motorcycle boy abbia il fiato sul collo proprio di un poliziotto, pronto ad attendere ogni sua passo falso.

Gli unici tocchi di colore del film, sono i pesci combattenti che nuotano chiusi nei loro acquari, una trovata di fotografia che verrà imitata in tanti altri film, non sempre in maniera così espressiva, perché qui questi pescetti sono il metaforone con pinne dei protagonisti: figli del loro ambiente, resi aggressivi proprio da quello, infatti il colore tornerà a fare capolino nel momento più drammatico del film, quando il nostro pesce combattente Rusty James, si troverà faccia a faccia con il proprio riflesso, proprio come uno dei Betta. Rusty James nuota dentro una boccia che è “The motorcycle boy reigns”, un regno in bianco e nero con il volume basso, dove se ti ritrovi davanti un tuo simile, un altro pescetto combattente come te devi distruggerlo, combatterlo, per mantenere un ecosistema che è un eterno presente senza sbocchi sul mare.

«Arriva il bandito, un tipo tremendo, che sa quel che vuole» (cit.)

Anche l’amore della bella Patty (Diane Lane, splendida, non ci sono altre definizioni) non è mai una vera via di fuga, ma quasi un modo per riempire il non-scorrere di Padre Tempo, infatti la regia di Coppola riesce a rendere estremamente dinamico anche il niente rappresentato dal passeggiare in strade affollate di personaggi, tutti intenti a pendere dalle labbra del Re senza corona di questo acquario. Mickey Rourke pontifica su quello che né lui, né nessuno dei personaggi potrà avere mai se qualcosa non cambia, tutti i suoi monologhi sulla California, terra promessa tutt’altro che da favola («La California è come una bella ragazza, strafatta di eroina e convinta di essere in cima al mondo anche se sta morendo») sembrano usciti dritti dalla disillusione di Coppola nei confronti dell’industria cinematografica e sono resi al meglio da un Mickey Rourke in stato di grazia. L’attore ha ricevuto indicazioni dal regista di recitare motorcycle boy come una sorta di incrocio tra Albert Camus (la sigaretta appesa alla bocca e i capelli) e Napoleone Bonaparte (la posa con le mani giunte mentre cammina), un filosofo ma anche un imperatore costretto all’esilio in una Sant’Elena dove il tempo non passa mai.

Non battere sul vetro, ai pesci e a chi ci legge potrebbe dare fastidio.

Da qui l’eterno problema dei protagonisti, che si interfacciano con strumenti in grado di misurare il tempo che in realtà sono dei “ciapapuer” (tipica espressione dell’Oklahoma) che non fanno il loro dovere, come l’enorme quadrante di orologio davanti alla quale i due fratelli si appoggiano, sempre sotto l’occhio vigile del poliziotto, che attende solo un loro errore.

«Che state facendo qui?», «Attendiamo il cambio dell’ora»

I nostri più o meno anti-eroi sono figli abbandonati al loro destino dai più o meno anti-eroi cinematografici della generazione precedente, infatti chi poteva scegliere Coppola per il ruolo del padre se non Dennis Hopper? Che qui mette su una prova impeccabile, che sta a metà tra il suo Colpo in canna di Hoosiers e il fotografo di “Apocalypse Now”, sempre per Coppola. Proprio lui, l’attore che era stato tra le fila dei giovanotti di “Gioventù bruciata” (1955) di Nicholas Ray e ovviamente simbolo del film giovanile di ribellione per eccellenza di una generazione, “Easy Rider” (1969).

«Vi ho già raccontato di quando giocavo a basket?»

Con un occhio ai suoi riusciti personaggi e un altro alla sperimentazione, Francis Ford Coppola regala quintali di iconografia in un film che dura 89 minuti, nessuno fuori posto e tutti quanti bellissimi, ad esempio nulla mi toglie dalla testa che la scena in cui Rusty James “svulazza svulazza” fuori dal suo corpo, che diventa una lunga carrellata su tutti i personaggi, ripresi durante le loro singole solitudini, non fosse ben chiara in testa anche a Richard Kelly, quando l’ha replicata alla sua maniera in un altro film giovane e generazionale come Donnie Darko, anche se i segni dell’influenza del film di Coppola si ritrovano ancora oggi molto spesso.

Esco dal mio corpo e ho molta paura (cit.)

Il finale di “Rumble Fish” poi è uno dei più intensi e magnetici che io ricordi, Coppola trova il modo di far sentire anche allo spettatore il peso di concetti come “libertà” e “Ingiustizia” in maniera bruciante, come solo durante la gioventù si possono percepire, infatti tutto il finale è una rincorsa, un’evasione (anche dalla realtà quando il colore fa nuovamente capolino nella trama) per fuggire dalla boccia dei pesci troppo piccola, quella che ti rinchiude e ti costringe a combattere con i tuoi simili, fino al momento in cui non è rimasto più nessuno da fare fuori e tutto quello che resta è prendersela con il proprio riflesso distorto.

L’unica soluzione è liberare i pesci combattenti, infatti la “nuotata” (in moto) verso il mare aperto che conclude “Rumble Fish” deve essere una boccata a piene branchie, liberatoria, una grande inquadratura sull’oceano, dopo gli spazi riestratti della boccia rappresentata dal regno (ormai caduto) di “Quello della moto.

L’acquario giusto perché i pesci combattenti possano trovare pace.

Trovo incredibile, non solo la prova di Matt Dillon che avrebbe meritato ben altre fortune (o registi capaci di sfruttare il suo talento) in carriera, ma anche il modo in cui Coppola e il suo direttore della fotografia Stephen H. Burum, siano riusciti partendo dalle stesse carte da gioco in mano, a giocare una partita simile ma speculare rispetto a I ragazzi della 56ª strada, tanto era classico e avvolto in una luce calda il primo, quando è sperimentale e freddo il secondo, eppure allo stesso modo sono due capolavori in grado di farvi fare pace con il cinema, quella della miglior fattura possibile.

Alla sua uscita “Rumble Fish” è stato guardato come un pesce piuttosto strano, costato dieci milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, ai botteghini ne raccolse solo due milioni, ma a distanza di quarant’anni dalla sua uscita è un classico, oltre ad uno dei film più belli di un regista che in linea di massima, un paio di titoli mica male in carriera li avrebbe anche diretti, non potevo lasciare questo compleanno a sbattere la pinna dentro una boccia, bisogna liberare i pesci combattenti.

Sepolto in precedenza giovedì 16 novembre 2023

5 1 voto
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Star Trek – Section 31 (2025): Michelle Yeoh, dall’universo dello specchio a Paramount+

La maledizione dei numeri dispari, sembra che la saga di Star Trek non possano svincolarsi da questa piaga, anche se tecnicamente il film di oggi, dopo un breve conto, dovrebbe [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing