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Schegge di streaming: Code 8 – Parte II, Land of bad, Spaceman

In diretta dal divano di casa mia, un po’ di pareri volanti sui film visti in streaming nell’ultimo periodo, li trovate tutti comodamente sulle varie piattaforme, quindi non ci resta altro che dire… Cominciamo!

Code 8 – Parte II (2024)

Dove lo trovate: Netflix

Vi ricordate di Code 8 anche noto come “Codotto”? No? Nemmeno io, tanto che ho dovuto rileggermi il mio post sul primo film, cosa che non faccio mai (storia vera). L’esordio, con un cortometraggio trasformato in lungometraggio di Jeff Chan, un titolo che sembrava un po’ il figlio di una notte d’amore tra “District 9” e il “Chronicle” (2012) però finanziato da Netflix, quindi perfetto per perdersi nel mare magnum del paginone della celebre piattaforma di streaming.

Il protagonista, mentre si sforza di ricordare la “Parte Uno” del film in cui ha anche recitato.

Il seguito che nessuno ha richiesto e che nessuno si aspettava (ma Netflix ha finanziato lo stesso) è un film altrettanto competente quando dimenticabile. Jeff Chan si porta nuovamente a Lincoln City, dove ritroviamo Connor Reed (Robbie Amell), appena uscito di prigione dopo aver scontato il suo debito, che cerca di tenersi lontano dai guai e dall’ex compare di rivoluzioni di rivoluzioni Garrett Kelton (Stephen Amell), mentre per strada continua a girare la droga che dona super poteri e i robo-poliziotti del primo capitolo, questa volta sono affiancati dalla novità, un sequel deve seguire la regola aurea no? Uguale al primo ma di più. Bene questa volta abbiamo anche i robo-cani-poliziotto, ecco la novità.

Per i cinefili abbiamo l’unità cinofila!

Chan per il “Parte du” (che va tanto di moda) raduna una squadra di sceneggiatori, circa una mezza dozzina, infatti nel film si nota anche senza bisogno di leggere i titoli di coda, perché prende un po’ tutte le direzioni possibili per un seguito, ma poi pare trovare dividendi solo nel personaggio della quattordicenne Pav (Sirena Gulamgaus), anche lei dotata di super poteri, in fuga dopo la morte del fratello, ucciso da quegli stessi robo-agenti che secondo il capo della polizia, non sarebbero stati letali e che avrebbero dovuto garantire solo la deterrenza. Se il film fosse stato ambientato in uno strambo Paese a forma di scarpa, la premier avrebbe spulciato tutti gli archivi in cerca di un caso singolo di azione violenta contro i robo-cani per schierarsi dalla parte della robo-polizia e non parlare delle robo-manganellate, ma questo mi permette di passare al prossimo pregio del film: i tempi.

Due Amell al prezzo di un solo abbonamento Netflix.

Che poi sono sempre quelli, brutti, quindi se parli di minoranze maltrattate e polizia utilizzata per tenerli a bada, stai sicuro che della ridondanza nei fatti di cronaca la trovi, quindi non metto in dubbio la buona volontà di Jeff Chan, ma il film procede un po’ a stereotipi, sostenuto da un reparto tecnico valido (la colonna sonora a la fotografia livida) che mostra il fianco nelle scene d’azione che si rifugiano in un montaggio bruttino. Quindi torna buona la mia richiesta formulata ai tempi del primo capitolo: stiamo ancora aspettando di vederlo qualcuno in grado di utilizzare il METAFORONE dei super poteri per dire qualcosa di più profondo, questo “Codotto – Parte due” (quindi è Cosedici? Mah!) vi piacerà se avete amato tanto il primo film, altrimenti è un po’ un “more of the same” come direbbero i nostri cugini yankee, la solita minestra diremmo noi.

Land of bad (20224)

Dove lo trovate: Prime Video

William Eubank, il regista che è stato definito il nuovo [INSERIRE-QUI-NOME-A-CASO-TANTO-LI-HANNO-TIRATI-DENTRO-TUTTI] e che in realtà è un tecnico bravissimo, con un’ossessione per i dettagli e una lunga gavetta come direttore della fotografia, infatti proprio queste sono le parti migliori del suo cinema, che poi le metta al servizio di un filmetto di propaganda urticante è un altro discorso.

Il fratello di Thor. No, non Loki.

Come ha fatto notare prontamente Lucius, “Land of bad” inizia con una frase che spiega che gli Stati Uniti si trovano in guerra senza nemmeno saperlo… eh?? Solo basandoci sull’attualità, senza nemmeno scomodare la Storia con la “S” maiuscola, questa frase è una presa per i fondelli in un film che ambisce a non essere di fantascienza, anche perché poi a ben guardarlo è un minestrone di cliché sulla narrativa bellica, guarda caso quella creata dagli americani. Risultato? Eubank è nel suo, può pescare qua e là dal manuale delle scene generiche da film di guerra, concentrandosi solo sulla fotografia e l’ossessione per il dettaglio, ci credo che il risultato è visivamente valido, almeno quello visto che il contenuto è un insulto all’intelligenza dello spettatore.

Siamo abituati a vedere soldati americani super armati che vengono “Presi a calci nella palle” (cit.) da nemici affamati e armati di AK47, che il più delle volte dalla loro hanno il maggior numero, il “tanti contro pochi”. Qui poi fin dal titolo, i cattivi vengono da una generica “Terra dei cattivi” e sono i nipoti dei piloti di MIG senza volto (perché nascosto dal casco) di Top Gun, generici cattivi senza faccia, che non perderemmo tempo a raccontare perché tanto ci hanno detto che quelli sono cattivi, quindi noi andremo ad esportar loro la democrazia. America…

… FUCK YEAH!

Solo che ‘sti infami, c’hanno pure i droni, cioè capite? Finché i droni li usavano gli americani andava tutto bene, ma se qualcuno li utilizza contro di loro sono subito dei bastardoni. Quindi procedendo a colpi di scene belliche già viste e montate insieme per dare un’idea di film, abbiamo il dramma dei soldati, qui interpretati dai fratelli Hemsworth che non hanno avuto successo con l’MCU, ma soprattutto, in un tentativo di dare un mano di vernice verde militare ad un classico come “Bat 21” (e il suo fratellino spirituale “Behind Enemy Lines”), abbiamo un soldato solo al fronte, aiutato a distanza da un altro, che in questo caso è “L’uomo sulla sedia”, visto che ad interpretarlo è il campione del mondo di ruoli scelti per perculare il mondo, ovvero Russell Crowe.

«Non posso aiutarti ora, sto ordinando la cena»

Lo dico sempre, un giorno scriverò un post su “Il Gladiatore” e lo intitolerò “Il film che ha convinto tutti ad iscriversi in palestra, tranne Russell Crowe”. Alla faccia dei servizi al telegiornale che usano spezzoni del film dello Scott sbagliato ogni volta che parlano dell’attore, il neozelandese che sognava di essere Marlon Brando lo sta diventando, almeno nel modo in cui prende per i fondelli le aspettative di tutti. Il mondo vuole il prossimo flop al botteghino dello Scott sbagliato ovvero “Il Gladiatore 2”, lui invece interpreta Padre Amorth così può girare tutti i ristoranti tra Modena e Roma che vuole.

Non ditemi che Crowe, che passa metà film girando tra le corsie del super mercato, in cerca di cibi esotici per la moglie vegana, è una critica arguta sulla nuova America, grassa e con la pancia piena contro quella “vera”, palestrata che sta in prima linea come l’Hemsworth minore a cui Crowe fornisce supporto da remoto, non per i problemi con il PC ma con i droni. Essù dai facciamo i bravi! Chiaro che Crowe qui abbia voluto recitare il meno possibile, magari in ciabatte e malgrado tutto, resta una spanna sopra tutto il resto del cast. Il fatto incredibile è che qualcuno, questa pernacchia di propaganda, in cui Crowe ancora una volta ha dimostrato di essere l’unico ad averne capito sul serio lo spirito, l’ha presa anche sul serio.

Spaceman (2024)

Dove lo trovate: Netflix

Si chiama “Spaceman”, è interpretato dal Sandman, ma a guardarlo bene potrebbe essere Spider-Man. Altro giro, altro tiro, altro regista che arriva da serie tv di livello, visto che Johan Renck aveva diretto parecchi episodi della notevole Chernobyl, qui sostenuto proprio da Adam “Sandman” Sandler che arrivava da una striscia positiva notevole.

Diamanti Grezzi e l’ottimo Hustle, poi arriva questo “Spaceman” (girato però prima) a mettere fine all’ottima infilata, non di certo per la prova di Sandler, intenso, credibile nel ruolo dell’astronauta in missione solitaria, pur non avendo proprio il fisico da beh, astronauta. Peccato che “Spaceman” sia nulla di più di un grosso METAFORONE spaziale basato sul romanzo “Il cosmonauta” di Jaroslav Kalfar, in cui il vero segno di continuità è vedere un cast impegnato a passare per Cechoslovacchi, malgrado recitino tutti in inglese, insomma come faceva già Chernobyl con i Sovietici.

Adam Sandleroksi

Jakub Procházka (il Sandman) è in missione spaziale solitaria da tanto, troppo tempo, ho apprezzato il modo in cui il nostro, debba puntualmente ripetere le frasi prestampate imposte dallo sponsor pagante, che mettono in chiaro quando ormai i viaggi spaziali siano roba per le aziende private, insomma la profezia di Fight Club che si avvera. Jakub ha un rapporto controverso con la moglie rimasta a terra, impersonata dalla sempre bravissima Carey Mulligan, non è nemmeno difficile intuire cosa sia successo tra i due, ma il film ci metterà comunque 107 minuti di zampettante METAFORONE per dircelo. Per dircelo parlando, tutti, piano, se, non, proprio, pianissimo, forse, per, arrivare, a, 107, minuti.

Il bello di guardare i film senza sapere nulla? Che di colpo, quando il METAFORONE con numero di occhi non allineato a quello delle zampe (dettaglio che lo rende “alieno” oltre alle dimensioni) ciccia fuori, ho pensato ehi! Forse abbiamo un film, anche se il METAFORONI in CGI scarsa che parla con la voce di Paul Dano e di fatto e tenerissimo. Strano perché in teoria dovrebbe farmi provare quella fastidiosa sensazione di “sentirsi camminare addosso”, peccato che sulla lunga distanza, un film con ambizioni alla Andrej Tarkovskij, si risolva con una grossa seduta matrimoniale con il più improbabile dei consulenti.

Spero apprezzerete lo sforzo di scegliere immagini senza Spoiler.

Non aggiunto altro per non svelare l’elemento interessante di un film che prima ti calamita aprendosi a possibilità infinite, ma poi ti perde quando, molto presto, si capisce che la direzione è proprio quella, la più banale, raccontata con voletti spaziali e monologhi interiori, ma, tutti, sempre, parlando, molto lentamente.

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