Questa lunga strada che stiamo attraversando da diversi venerdì oggi ci porta nella cittadina di Woodsboro, dove le urla abbondano, bentornati a… Craven Road!
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«Solo Cassidy può guardare Dawson’s Creek e pensare una roba del genere», «Lo sai che è scemo cosa ci vuoi fare?» |
Nei film di zio Wessy gli adolescenti entrano tutti arrampicandosi dalle finestre come l’Uomo Ragno, lo facevano in Nightmare, ma anche in nel seguito di Le colline hanno gli occhi a ben guardare, quindi per certi versi era inevitabile che Craven e il creatore di “Dawson’s Creek” s’incontrassero, anche se la popolare serie tv è arrivata dopo l’enorme successo di… “Scary Movie”. Disorientati? Tranquilli, ora rimettiamo tutto al suo posto.
Nei primi anni ’90 il genere Slasher non godeva di buona salute, le sue icone come Jason, Michael e lo stesso Freddy stagnavano in una palude di seguiti e il genere aveva perso tutta la sua popolarità. Nello stesso periodo Kevin Williamson, prima di creare l’espressione “Dawson”, era uno sceneggiatore esordiente in cerca di un impiego, che aveva buttato giù una sceneggiatura che omaggiava e per certi versi anche un po’ sfotteva gli Slasher, il titolo di questo bloccone di fogli era proprio “Scary Movie” e chissà perché nessuno lo prendeva troppo sul serio.
Tutti i registi a cui veniva proposto, lo schivavano etichettandolo come una commedia, ma la credibilità del progetto fa un balzo in avanti quando Wes Craven leggendo la sceneggiatura si dice molto interessato a dirigerla, proprio perché a lui, quell’elemento comico serpeggiante di fondo, piaceva davvero molto.
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Prima che dodici seguiti di “Scary Movie” lo facessero diventare un’icona comica. |
Il cambio di titolo è farina del sacco del famigerato Harvey Weinstein, l’allora capo della Miramax che pensò bene che il titolo del più costoso videoclip della storia della musica (Scream di Michael Jackson) potesse andare bene. A Craven inizialmente il cambio non piacque per niente, ma si adattò abbastanza velocemente al nuovo suono. Ed è così che l’improbabile collaborazione tra il futuro creatore di “Dawson’s Creek” e un vecchio maestro dell’Horror, che malgrado un paio di titoli di culto (e una tranvata in faccia presa con Vampiro a Brooklyn), non azzeccava più un film in pieno dai tempo di un capolavoro come Il serpente e l’arcobaleno, hanno trovato il modo di rivitalizzare un intero genere, facendo fare allo Slasher un salto quantico in avanti, talmente gigante da non aver forse ancora oggi esaurito per davvero la sua carica propulsiva.
In un solo film “Scream” è riuscito a diventare l’horror, per tutti quelli che guardavano fin troppi horror, ma allo stesso tempo la pellicola che ha spiegato forse meglio di altre al mondo, che proprio il genere delle trippe, del sangue e delle budella esposte è quello con più tradizione, con la sua iconografia composta da dinamiche, regole, nomi e personaggi, proprio quelli che questo film cita, omaggia, infrange, un gioco metacinematografico che nel 1996 conquistò chiunque, anche i botteghini al netto di un costo di quindici milioni di fogli verdi con sopra le facce di altrettanti ex presidenti defunti, “Scream” portò a casa centoventisette milioni, lo slasher più remunerativo dai tempi di Halloween di John Carpenter.
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Dovessi cominciare a parlare troppo come Randy, ditemelo ok? |
Su “Scream” si potrebbero scrivere dei saggi, cosa che in effetti è stata fatta, il giochino post-moderno di questo film è in grado di far sentire a casa propria tutti gli appassionati di Horror che arrivano a Woodsboro si ritrovano in un mondo dove i momenti romantici sono sottolineati dalla canzone ufficiale degli Slasher (“Don’t Fear The Reaper”), oppure la tensione nell’aria abbia come note quelle di “Red right hand” di Nick Cave, ufficialmente sdoganata dalla nicchia dai fan da questo film. Un posto immaginario, che sembra un set cinematografico e dove i personaggi parlano tutti come cinefili, anche quando sbagliano sono immersi nel cinema horror fino ai gomiti, ad esempio ad ogni visione, mi spappola il cervello il modo in cui quella santa donna di Rose McGowan, riesca a sbagliare tutto dicendo: «Comincia a sembrare un film di Wes Carpenter». Arrgh! Cervello che sanguina!
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Didascalie che non leggerà mai nessuno presenta: Rose McGowan. |
Eppure è chiaro come mai Craven si sia trovato subito a suo agio con questo materiale, lui che aveva già portato lo Slasher in territori post-moderni con Nightmare – Nuovo Incubo qui aveva di nuovo l’occasione per portare avanti un discorso. “Nuovo Incubo” era un monito ai censori sull’importanza di continuare a raccontare storie horror, perché certi sentimenti (sanguinari) insiti nell’uomo è meglio sfogarli nella finzione cinematografica, ma era allo stesso tempo un modo per l’horror di riflettere su se stesso, proprio per questo un po’ autoreferenziale, infatti apprezzato più dalla critica e dagli appassionati che dal grande pubblico.
“Scream”, invece, è riuscito a fare il passo successivo, portando quel gioco metacinematografico ad un pubblico che l’horror lo aveva anche sempre un po’ ignorato, i personaggi di “Scream” sono la continuazione degli adolescenti abbandonati a loro stessi di Nightmare – Dal profondo della notte, infatti la Sidney Prescott di Neve Campbell è una perfetta Nancy 2.0 e i personaggi intorno a lei rappresentano una generazioni di ragazzi bellocci, abbastanza benestanti (come sarebbe diventato canonico nei tanti film nati sulla scia di “Scream”), però figli di un’epoca che li ha lasciati senza icone proprie, infatti cosa fanno? Citano a memoria, a ripetizione, al limite dell’ossessivo quelle dei decenni precedenti.
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Giovani, carini e disoccupati macellati (quasi-cit.) |
Ecco perché Randy Meeks (Jamie Kennedy) fa guardare agli amici l’Halloween di John Carpenter spiegando che Jamie Lee Curtis non si è spogliata prima di Una poltrona per due, per illustrare le regole su come sopravvivere ad un film Horror, un giochino scherzoso che avrebbe dovuto rendere Randy il padrino del metacinema, ma in realtà (in quanto piuttosto odioso, ammettiamolo) sembra solo il fratello maggiore di tutti gli attuali cinéfili nell’era dell’Internét.
Qui diventa obbligatorio fare una piccola distinzione: ci sono classici del cinema che inventano qualcosa di nuovo, diventano dei modelli, ma, di fatto, sono impossibili da imitare, un esempio? Tutti i seguiti di Nightmare oppure di Halloween, nessuno ha la stessa forza del capostipite. Poi ci sono quei classici che, invece, inventano qualcosa di innovativo, ma sono un modello facile da replicare, “Scream” fa sicuramente parte di questa seconda categoria, perché è innegabile che anche qui, il capostipite abbia una freschezza e un tiro mai più replicati, ma cavolo se si sono prodigati a farlo!
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Le porte, nei film di Craven possono spesso salvarti la vita quando hai un killer alle calcagna. |
A partire dai seguiti non sempre all’altezza (a breve su queste Bare), alla serie televisiva che sembra una sorta di rifacimento televisivo in misura molto minore, fino a tutti gli horror che hanno allungato con acqua quella furia che è presente in “Scream”, mi riferisco a roba tipo “So cosa hai fatto” (1997), Halloween H20 – Venti anni dopo che provava a rilanciare un’icona come Michael Myers intingendolo nella salsa di “Scream” e poi giù fino ai rifacimenti con le punte arrotondate prodotti dalla Platinum Dunes.
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Titoli di testa bianco su nero (i “colori” di Ghostface) |
“Scream” è stato un grosso sasso lanciato nel laghetto del cinema, che ha creato onde lunghe da cui non ci siamo ancora pienamente ripresi, penso che sia significativo il fatto che una saga nata come omaggio/parodia al genere Slasher, abbia generato una saga parallela che spesso si sovrappone all’originale (fin dal titolo, lo scartato “Scary Movie”), anzi a dirla proprio tutta ha generato due parodie! “Shriek – Hai impegni per venerdì 17?” (2000) è titolare di un unico precedente, quello di avermi fatto addormentare in sala durante la proiezione, mi avevano trascinato gli amici, il mio cervello di appassionato si autodifende con il sonno (storia vera).
Da Horror per chi guardava tanti (troppi) Horror, “Scream” è diventato il film di riferimento per quelli che ne guardavano pochissimi e non avevano nemmeno tutta questa voglia di recuperare i film citati (la mancanza di curiosità, una piaga sociale senza fine), la colpa di Kevin Williamson è stata quella di avere come ideale di storia per cui essere ricordato, proprio “Dawson’s Creek”, quindi in troppi ad Hollywood hanno capito che per fare i soldi bisognava prendere dei protagonisti da telefilm adolescenziale pomeridiano e metterli alle prese con un assassino, quando invece “Scream” il primo, anche rivisto oggi continua ed essere quello che è: dinamite, nitroglicerina pura come quella di James Coburn. Proprio perché nato dalle intuizioni, se vogliamo anche un po’ naif, di Williamson, ma diretto dal mestiere e dalla furia di Wes Craven. “Scream” è senza ombra di dubbio un Classido!
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«Heeeeei!» (cit.) |
Ecco perché Neve Campbell diventa l’eroina Craveniana modello, ma arrivava dal televisivo “Cinque in famiglia”, così come Courteney Cox che qui fa la parte della giornalista stronza Gale Weathers, ma per anni è stata la fidanzatina d’America nel video di Dancing in the dark di Bruce Springsteen in “Friends”, anzi, a volerla dire proprio tutta, persino Wes Craven all’aria da commedia, fa una comparsata nei panni del bidello Willy dei Simpson vestito con il maglione e il cappello del suo Freddy.
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Zio Wessy nei panni di Willie dei Simpson. |
“Scream” è stato girato proprio così, come se fosse una commedia, lo ha confermato lo stesso Kevin Williamson nel documentario “Eli Roth’s History of horror”, in cui racconta come sul set, Craven chiedesse a tutti di girare in maniera più comica, in fondo un killer con la gonna? Chiaro che si tratta di una voluta operazione parodia, infatti fu proprio Craven ad insistere con la Miramax perché la maschera dell’assassino fosse prodotta dalla più popolare azienda di costumi di Halloween del Paese, anche se, ammettiamolo, l’aspetto finale di “Ghostface” è geniale, il cappuccio e il “teschio” bianco lo fanno sembrare un po’ la Morte, un po’ Michael Myers e un po’ l’urlo di Munch. Ecco perché è ancora tra le maschere più vendute ad Halloween, anche tra quelli che non sanno nemmeno che il suo nomignolo è appunto Ghostface.
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Le idee migliori sono quelle più semplici che fanno più paura. |
Credo che non mi stancherò mai di vedere e rivedere “Scream”, perché è un film che malgrado gli anni sul groppone e i telefoni cellulari dei protagonisti che diventano sempre più in stile “cabina del telefono” per dimensioni, riesce ancora a fare leva sugli istinti del pubblico, ha tutto quello che un Horror dovrebbe sempre avere ed una lettura di secondo livello in cui possiamo pescare un minimo di critica sociale, in cui le paure come quella di essere perseguitato da uno sconosciuto male intenzionato sono ben presenti. Lo spirito iconoclasta di Craven trova sfogo anche nelle piccole trovate scritte da Kevin Williamson che per tutto il tempo con una voce (quella di Randy) ci spiega le regole per sopravvivere ad uno Slasher, ma intanto permette a Craven di scatenarsi demolendole tutte, ecco perché la Final Girl si salva anche se non è in canottiera (e nemmeno più vergine), perché il bello di “Scream” è proprio il suo modo di esporre in bacheca ben visibili le regole, solo per divertirsi a giocarci infrangendole.
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La “final girl” che decide per sé stessa. |
Ricordo distintamente che fin dalla prima visione, ero riuscito a capire il trucco che faceva sembrare Ghostface capace di comparire ovunque, ma non ero riuscito per nulla a capire chi si celasse dietro alla sua maschera, una trovata che non esito a definire piuttosto geniale, che da una parte ha tagliato le gambe ai seguiti, ma che ha anche eliminato dall’equazione l’elemento sovrannaturale che ha sempre caratterizzato i citatissimi Jason, Micheal e Freddy. Perché qui l’unica forza sovrannaturale in gioco in “Scream” è una ed una soltanto: la potenza del cinema.
Diventa subito chiarissimo dal prologo del film, a mani basse uno dei più riusciti della storia del cinema, in cui l’ex bambina prodigio (e di “E.T. – L’extraterrestre”) Drew Barrymore è sola in casa ed intenta a rispondere alle telefonate dell’assassino. Se dico sempre che i primi cinque minuti di un film sono quelli che ne determinano tutto l’andamento, è a film come “Scream” a cui penso, in questo inizio c’è tutto il talento, il mestiere e la spassosa cattiveria con cui Wes Craven ha sempre preso molto sul serio il suo lavoro, giocando con il pubblico. L’inizio di “Scream” è talmente perfetto che, parafrasando Indy, “dovrebbe stare in un museo”, è il talento di un uomo che lo Slasher lo conosceva alla perfezione come Craven, al suo massimo splendore.
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«Ti prego E.T. dimmi che sei tu che stai telefonando a casa» |
Un prologo perfetto, non solo mette in moto il gioco metacinematografico di Scream perché Craven si cita addosso (Nightmare – Dal profondo della notte è l’horror preferito della ragazza, il primo, non i seguiti), ma anche perché con mossa Hitchcockiana Craven elimina l’attrice più famosa del cast, con la differenza che analizzando solo il linguaggio cinematografico, in “Psycho” (1960) la prima morte celebre era fatta per spiazzare il pubblico, qui invece è inevitabile, volutamente inevitabile.
Drew Barrymore si caccia da sola in una trappola da cui non potrà uscire mai, perché fa tutto quello che non bisognerebbe mai fai in uno Slasher e noi da spettatori esperti lo sappiamo, quando nomina il suo ragazzo, grande grosso e che gioca a Football, già sappiamo che il poveretto è spacciato, anche le domande «Qual è il tuo film horror preferito?» sono inizialmente facili, ma anche quando diventano a trabocchetto (mai dimenticarsi di Pamela Voorhees!) è solo perché il destino della ragazza è già segnato, siamo noi spettatori che continuando a guardare, decidiamo il suo destino.
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«Quale coltello consigli Wes», «Questo fidati sono esperto, questo è il più affilato» |
“Scream” è essenzialmente una riflessione sulla potenza del mezzo cinematografico, in cui l’horror (da sempre ingiustamente considerato cinema di seconda fascia) fa la parte del leone. Wes Craven ci conduce per mano in un gioco cinematografico, certo, ma comunque un gioco al massacro che fa leva sugli istinti primordiali del pubblico, troppo spesso ci dimentichiamo che un Horror dovrebbe anche fare paura, tenere in tensione, “Scream” lo fa per tutta la sua durata, è uno di quei film che ti trasforma in un piccolo investigatore, mentre sei lì a riconoscere le citazioni, fai teorie su chi potrebbe esserci sotto la maschera di Ghostface, perché gli horror sono anche questo.
Craven, con tutto il suo bagaglio di ex professore laureato in filosofia e psicologia, ancora una volta ci ricorda che il cinema è la valvola di sfogo migliore per tutti gli istinti più bassi, la voglia di uccidere, la vendetta, la brama di sangue non esistono perché inventati dai Fratelli Lumiere, ma esistono da sempre, il cinema Horror è quello che serve a portarci in quei luoghi oscuri dell’animo umano, guardandoli negli occhi (della loro maschera bianca urlante), ma a distanza di sicurezza, in poltrona protetti dallo schermo, la frase simbolo del film è un ancora una volta un monito ai censori ed è anche un modo per sollevare e tenere ben in alto sul palmo della mano il genere più sanguinario e oscuro di tutto il cinema, una frase simbolo da sbattere ironicamente in faccia a tutti quelli che vorrebbero censurare l’arte e l’horror in particolare.
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Quello che dovrebbe fare ogni Horror: farti urlare (anche ai protagonisti nel film) |
Quando qualcuno vi farà notare che guardate troppa di quella robaccia Horror, voi lanciatevi nella vostra migliore imitazione del sorriso da Stregatto psicotico che a Wes Craven veniva naturale e ditegli: “I film non fanno nascere nuovi pazzi, li fanno solo diventare più creativi”.