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Scream 3 (2000): questo è quello con Carmen Electra, vero?

Dopo aver lasciato il timone di questa Bara ai miei due fedeli collaboratori, questa settimana torno in cabina di pilotaggio per tornare ancora una volta nella cittadina di Woodsboro, dove le urla abbondano, bentornati a… Craven Road!

Secondo voi alla Dimension Films, potevano lasciare andare una saga che con il primo capitolo ha portato a casa 173 milioni di fogli verdi con sopra le facce al alcuni ex presidenti uccisi da Ghostface morti, seguito da un secondo capitolo che, invece, ne ha guadagnati “solo” 172 degli stessi milioni di uguale valuta? Ma quando mai!

Ora, visto che questa rubrica su zio Wessy va avanti da diverse settimane, dovreste aver ormai capito che al maestro di Cleveland piaceva molto romanzare i fatti attorno a se stesso, più o meno attorno al periodo di pre-produzione di “Scream 3” la nuova realtà che Craven aveva creato prevedeva un regista che non amava troppo ripetersi… Ma come Wes? Le colline hanno gli occhi II? Ah, no, però bisogna dire che quello Craven lo aveva disconosciuto come se non fosse stato diretto da lui ed è qui che la trama si complica.
Sì, perché come ci insegna Randy (Jamie Kennedy) nel terzo capitolo di una trilogia nessuno è al sicuro, il passato torna a morderti le chiappe e può succedere di tutto, anche che Courteney Cox grazie al successo del telefilm “Friends” fosse sulla cresta di un’onda altissima e fosse anche innamoratissima del suo maritino, conosciuto proprio sul set del primo Scream, infatti l’ex ragazzina che ballava con Bruce Springsteen nel video di “Dancing In the Dark” (diretto da De Palma, mica pizza e fichi), ha descritto la sua storia con David Arquette in questo modo: «Nel primo Scream flirtavamo sul set, nel secondo dividevamo lo spazio sulla locandina, nel terzo dividiamo il camerino», ecco perché qui l’attrice è accreditata come Courteney Cox Arquette.
Parker Posey mette il dito, tra moglie e marito.

Personalmente non ho mai capito il tira e molla tra i personaggi interpretati dai due attori nella saga, posso ancora comprendere il fatto che nel primo film la rampante giornalista Gale Weathers avesse visto in Linus il pollo da spennare per ottenere succose informazioni sugli omicidi, ma il loro continuo mollarsi e rimettersi insieme come la Cox e David Arquette fossero stati i Brangelina di Woodsboro, mi ha sempre lasciato perplesso fin dal secondo capitolo della saga. “Scream 3” da questo punto di vista rappresenta proprio gli intenti dei due attori di far vedere che bella coppia che erano… Infatti finirono per divorziare poco dopo (storia vera), ma le prove generali del loro tira e molla le hanno fatte in questo film che ha sempre fatto delle trovate metanarrative un vanto, quindi perché non anche questa?

Quindi, da una parte abbiamo due attori impegnati a nuotare in una nuvola di cuoricini, spinti dalla volontà di lavorare ancora insieme nel nuovo capitolo della saga grazie alla quale molto pubblico li ricorda (per l’Arquette che non si chiama Patricia oppure Rosanna sicuramente) e dall’altra il produttore a capo della Dimension Films che ha un asso nella mano da giocarsi, direi proprio un credito da riscuotere.
Gli speroni assassini si dividono in due categorie: qualcuno passa dalla porta…

Sì, perché è stato grazie al famigerato Harvey Weinstein che Wes Craven ha potuto dirigere un progetto a cui credeva molto come “La music…” no niente, non riesco nemmeno a scriverlo, quella roba con Meryl Streepe le lezioni di violino. Sì! Perché Craven quella robaccia la voleva proprio fare! Ci credeva ed ora secondo voi, poteva rifiutare la regia di “Scream 3” dopo che il caro vecchio Harvey gli aveva fatto questo dono? Se state leggendo un post che s’intitola “Scream 3” in questo momento, conoscete già la risposta.

In fondo, poi, Kevin Williamson aveva abbozzato “Scream” come una trilogia, anche se la trama per i due seguiti era stata scritta sul retro di un tovagliolino, infatti per completarla e renderla un copione filmabile è stato assunto lo sceneggiatore di “Arlington Road” (1999), anche se nulla mi toglie dalla testa che Ehren Kruger sia stato assunto più che altro per il suo cognome che vicino a quello di Craven suona sempre abbastanza bene.
… e qualcun altro dalla finestra (quasi-cit.)

Ad esclusione di “Arlington Road” (1999) e “Trappola criminale” (2000) che non rivedo da un’era geologica, Ehren Kruger ha messo su una carriera piena di titoli altisonanti, film costosi e anche quello dove Terry Gilliam è quasi arrivato alle mani con Harvey Weinstein (citofonare Nicola Pecorini per conferma), ma possiamo dire che sono anche dei buoni film? Ho qualche dubbio.

Ehren Kruger è uno che conosce le regole di Hollywood, infatti firma un seguito competente che tiene conto degli eventi dei capitoli precedenti e il loro peso sulle vite dei personaggi, infilandoci anche una sottile critica che non ho mai capito se fosse un tentativo di denuncia, oppure una pilotata paraculata, lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torneremo.
Il problema principale di “Scream 3”? Essenzialmente due: una fifa blu di evitare nuovamente che la sceneggiatura con la sua rivelazione finale finisse nuovamente in rete come accaduto per Scream 2, ma anche quella strana voglia di inserire elementi più leggeri, un certo tono da commedia nella saga che, comunque, aveva ridato popolarità al genere slasher. Per il primo punto, la soluzione scelta è stata quella di far girare così tante versioni del finale, da distrarre tutti, un effetto cortina fumogena che entra a far parte della trama, infatti quando l’assassino con la maschera bianca torna in azione per la terza volta, lo fa seguendo le morti nel copione di “Stab 3”, ma una delle battute recita proprio a chiare lettere che “Squartati 3”, il film nel film, ha un numero infinito di copioni. Capito, no? Occhiolino-occhiolino, che burloni!
Baby take off your dress…
… You can leave your hat bulletproof vest on.

La strana voglia di commedia di “Scream 3”, invece, diventa la sua pietra tombale, il film esce nei cinema nel 2000 e non va nemmeno male, portando a casa 80 milioni negli Stati Uniti (160 nel mondo), un buco nell’acqua a confronto dei due capitoli precedenti, ma la beffa vera è che nello stesso anno, “Scary Movie” (2000) nei soli cinema americani ha raggranellato 157 milioni di dollarazzi, un dato che mette in chiaro in che direzione andavano i gusti del pubblico e che forse il giochino metacinematografico di “Scream” aveva un po’ stufato, almeno il pubblico generalista.

Certo che giocarsi un’atmosfera da commedia, mentre in sala i fratelli Wayans ti sbertucciano non è proprio la scelta più brillante del mondo, anche se è assurdo che una saga nata come omaggio e parodia agli Slasher, sia stata surclassata dalla sua stessa parodia, ormai “Scream” e “Scary Movie” sono talmente sovrapposti nella mente del pubblico che anche io a volte ho dei dubbi e devo ripetermi che “Scream 3” non è quello con Carmen Electra, ma quello con Jenny McCarthy.
Il contributo di Jenny McCarthy alla storia del cinema.

Il prologo di “Scream 3” non allaccia nemmeno le scarpe a quello dei due film precedenti (la scena del primo film con Drew Barrymore non la vede nemmeno con il binocolo), Cotton Weary (Liev Schreiber) ha finalmente raggiunto la vetta, ora conduce un programma tutto suo che si chiama “100% Cotton” e solo per questo merita di morire come puntualmente succede, purtroppo con lui viene uccisa anche la bionda fidanzata. Che spreco.

Ghostface preferisce le bionde.

Sidney Prescott (Neve Campbell), nel tentativo estremo di non passare per la Jessica Fletcher di Woodsboro, ora vive in una casa di montagna che a vederla così, come vicino di casa può avere solo John Matrix di Commando. La ragazza non trasporta tronchi in spalla come il suo vicino, ma fornisce aiuto telefonico alle vittime che chiamano il numero per l’ascolto, una trovata secondo me brillante, Sidney cerca di usare in modo positivo il telefono che era una delle armi principali del suo persecutore, però vive barricata. Con questa singola scena capiamo subito a che punto della sua storia è Sidney che poi è sempre stata il cuore e l’anima di “Scream”, anche se qui viene messa fin troppo da parte per dare spazio alla famiglia Arquette.

«Mi chiamo Sidney, come posso aiutarla… No, basta domande sui film dell’orrore»

“Scream 3” rimette in moto la sua giostra metacinematografica, con il film nel film attualmente in lavorazione “Stab 3”, nel suo set Woodsboro è stata ricostruita fino al dettaglio della porta della camera di Sidney che si blocca se aperta insieme a quella dell’armadio e sul set si aggirano fotocopie insipide dei personaggi del film originale, in cui la più riconoscibile (per motivi puramente ehm… polmonari) resta Jenny McCarthy che qui ha il compito di portare avanti la tradizione della bionda famosa che muore ad inizio di ogni nuovo capitolo.

Nel tentativo estremo di recuperare ad un errore grave (o per lo meno molto criticato dai fan) fatto in Scream 2, Randy torna sotto forma di video testamento su VHS a spiegarci le regole dell’ultimo film di una trilogia, cercando di depistare il pubblico sulla falsa pista per cui questa volta, l’assassino potrebbe anche avere poteri sovrannaturali, una “finta di corpo” davvero pigra che si perde in una trama che ormai sa troppo di Soap Opera, un po’ come quando Steve Ditko, il primo storico disegnatore, desiderava che sotto la maschera di Goblin ci fosse un illustre sconosciuto, perché secondo lui i cattivi di Spidey erano tutti troppo legati ai personaggi che ruotavano nella vita di Peter Parker. Steve Ditko lasciò “Amazing Spider-Man” per differenza di vedute con Stan Lee, Goblin come tutti sanno si è rivelato essere Norman Osborn e io sono cento volte più nerd di Randy, perché per parlare di “Scream 3” uso l’Uomo Ragno come esempio!
«Dopo questo esempio Cassidy, ti ammazzerò per primo»

“Scream 3” è puro mestiere per Craven, la lotta tra Sidney e l’assassino mascherato sul set della sua vecchia casa è ancora una buonissima scena, ma ormai il giochino autocitazionista è più logoro delle frange del costume di Ghostface, inoltre a tenere banco è l’effetto commedia generale che fa sembrare tutto: la Scooby gang affronta Ghostface.

Due Gale Weathers al prezzo di una.

Basta dire che Parker Posey che interpreta Jennifer Jolie, che interpreta Gale Weathers in “Stab 3” ad un certo punto dalla paura sala in braccio a Linus, generando gli sguardi scuri della vera Gale Weathers, tutto così, la parte che, invece, ogni volta mi fa esaltare di “Scream 3” è quando tra i visitatori sul set compaiono… Jay & Silent Bob! Per quanto mi riguarda “Scream 3” è da considerarsi canonico rispetto all’View Askewniverse di Kevin Smith.

Questo chiude il cerchio con il titolo del post della scorsa settimana.

La risoluzione del mistero è talmente una trovata da Soap Opera che non ho nemmeno voglia di perderci tempo, in questo continuo gioco di specchi, però, trovo significativo che nel cast di questa pellicola compaia Patrick Dempsey, reso celebre da un telefilm che non ho mai visto, ma in cui mi dicono le trame siano proprio quelle di “Scream 3”, parentele che si scoprono così, a caso, ritorni dal passato, colpi di scena che dovrebbero modificare anche la percezione dei vecchi capitoli e sbadigli vari.

Mi dicono che quella a destra in foto sia famoso, vi credo sulla parola.

Vi ero debitore di un’icona da chiudere, lo faccio subito perché è anche l’unica trovata quasi iconoclasta in cui s’intravede un po’ di Wes Craven. Ad un certo punto nel film le protagoniste incontrano Bianca Burnette che tutti scambiano per Carrie Fisher anche perché è interpretata da Carrie Fisher, sempre pronta a scherzare su Hollywood e la sua carriera, la compianta Fisher racconta che lei (Bianca Burnette) non ha avuto la parte della principessa Leila, perché non ha voluto scoparsi George Lucas come, invece, ha fatto Carrie Fisher. Anche qui, occhiolino-occhiolino, gomitino-gomitino.

Carrie Fisher compariva anche in “Jay & Silent Bob… Fermate Hollywood!” (2001), altro materiale per la mia teoria su “Scream” e il View Askewniverse.

“Scream” è sempre stato la storia di Sidney, l’ultimo capitolo fa luce sulla madre, sempre citata e mai raccontata per davvero, il terzo capitolo ha provato, sottovoce, in punta di piedi e senza disturbare nessuno (specialmente il produttore pagante) a sottolineare quanto ad Hollywood le donne non abbiano mai contato, al massimo sono state soggiogate. Sulla carta, uno Slasher, con la sua Final Girl che punta il dito verso queste dinamiche sarebbe stato magari non rivoluzionario, ma potente quasi quanto il primo Scream, usare i soldi di Harvey Weinstein per criticare Harvey Weinstein sarebbe stato il massimo dell’iconoclastia possibile, perché tanto che il vecchio sporcaccione di Harvey avesse le mani lunghe ad Hollywood lo sapevano tutti, solo Gillian e Nicola Pecorini ci hanno fatto a pugni. Forse la vera delusione del film è tutta qui, Craven con “Scream 3” poteva battere il pugno sul tavolo facendo rumore, invece ha alzato la mano aspettando (invano) che qualcuno gli concedesse la parola.

Per la parte di John Milton, il produttore del film nel film (anzi, della saga nella saga) “Stab 3”, sono volati parecchi nomi, anche quello dello stesso Wes Craven (che già aveva interpretato se stesso in Nightmare Nuovo Incubo), ma alla fine la parte è andata al mitico Lance Henriksen che come al solito buca lo schermo nella parte dell’uomo che gestisce il paradiso perduto (infatti si chiama Milton) di Hollywood. La scelta di chiedere a Lance Henriksen di parlare come Roger Corman e gesticolare come Corman, mentre parla dei vecchi tempi e di come andavano le cose nella Hollywood degli anni ’70, è una bella paraculata per puntare i riflettori sui vecchi produttori di Hollywood, in modo che non si parlasse di quelli contemporanei come beh, Harvey Weinstein, ad esempio.

Lance, uno capace di migliorare qualunque film in cui compare.

Insomma, “Scream 3” è il più insipido della saga proprio perché tirato per la giacchetta in troppe direzioni tutte insieme, stupire il pubblico con rivelazioni strampalate, mentre lo fai divertire e fai un po’ di moderata critica al sistema è un po’ troppo e tutto insieme. Inoltre, i vari «Bellaaaaaaaaaaa!» di “Scary Movie” erano arrivati cambiando lo scenario per sempre, tempo per Craven di giocarsi altre carte, come vedremo nei prossimi capitoli della rubrica Craven Road!

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