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Scrubs (2001-2010): No, I know, I’m no Superman (lo so che state cantando)

Ho sempre avuto uno strano rapporto con “Scrubs”, se
chiedete a me, d’istinto mi viene da rispondervi che è una serie degli anni
’90, non so bene il perché. Essendo cominciata nel 2001, capisco
anche perché io non l’abbia mai seguita come si deve, quando ai tempi, veniva
messa in onda da Mtv. Non sono mai riuscito a seguirla come si vede… fino ad
ora!

Certo, in passato ho visto anche io la mia buona dose di episodi della serie
creata da Bill Lawrence, meno di quelli che pensavo a dirla tutta, l’ho sempre
trovata molto divertente ma alla fine l’orario in cui la trasmettevano non mi
era mai comodo, insomma non è mai nato l’amore tra questa serie e me. Ora
dopo una maratona incredibilmente rapida – la mia Wing-woman ed io ci siamo
tritati nove stagioni come ridere, anzi, ridendo proprio! – posso dire che ho colmato
questa lacuna, e sono molto felice di averlo fatto!

L’attore Phill Lewis è stato in carcere per guida in stato di ebbrezza… Hooch è pazzo!

Non sono mai andato pazzo per le serie ospedaliere, guardavo
un po’ “E.R.” ma senza vero interesse, il “Dr. House” non mi ha mai preso e di
“Grey’s anatomy” sono orgoglioso di poter dire di non aver mai visto nemmeno
mezza puntata. Ma “Scrubs” ha un passo tutto suo, non è una semplice parodia
delle serie ospedaliere, con elementi da soap opera – anche se il lungo tira e molla tra
J.D. ed Elliot ne ha tutte le caratteristiche – si tratta di una serie che è riuscita ad
andare oltre l’idea alla base di ogni vostra “Workplace commedy” come si chiamano in gergo, e di spremere
tutti gli elementi comici che un ospedale può offrire. “Scrubs” mescolando
personaggi ben caratterizzati e momenti di puro surrealismo, potrebbe quasi
ambire ad essere un manuale su come affrontare datori e colleghi di lavoro,
amicizie, fidanzate, cani imbalsamati e tutto quel gran calderone che per
comodità chiameremo semplicemente vita. Se inizio a fare le frasi troppo lunghe
per spiegare un concetto in stile dottor Cox, fatemelo sapere ok?

“Questa premesse è trooooooooopo lunga!”

L’arrivo all’ospedale Sacro Cuore dei personaggi, ci porta
subito in un microcosmo fatto di ruoli ben definiti, spesso dai colori dei
camici, blu per i medici (gli “assassini” come gli chiama Cox), verde per i
chirurghi. Il bello di “Scrubs” è che in otto stagioni più una, i personaggi
crescono, si prendono, si mollano, figliano e imparano dalla vita. Ogni
episodio ha una morale che riesce a non essere stantia come quella piazzata in
coda ad ogni puntata di He-Man, ma che anzi, spesso è anche piuttosto profonda.

“Scrubs” ti intrattiene per 20 minuti di episodio, e poi ti
lascia addosso qualcosa, che sia una gag da sbellicarsi dal ridere (nel corso
di otto stagioni, avrete solo l’imbarazzo della scelta) oppure un momento
anche commovente. Sto continuando a
battere sullo stesso tasto, ho detto otto stagioni, perché la nona, per gli
appassionati è un po’ come quella farsa per cui ogni tanto
qualcuno, se ne esce con la balzana idea che i film di Indiana Jones siano
quattro, quando lo sanno tutti che sono tre… TRE! Ecco stessa cosa, mi libero della nona stagione battezzata “Scrubs:
Med School” in una frase: Personaggi fotocopia degli originali non interessano
a nessuno, “Scrubs” termina con l’episodio 8×19. Argomento archiviato.

“Diglielo Cassidy! Oh yeah!”

A garantire l’elemento comico (ma anche una certa dose di
surrealismo) ci pensano le strambe fantasie di J.D., infatti il ragazzo ogni tanto s’incanta
a pensare e la sua mente galoppante fa il resto. Il risultato sono momenti
comici estemporanei, simili alle trovate dei “Griffin”, però molto più integrati
nella trama, sono abbastanza sicuro che dopo aver visto questa serie, non potrò
mai più ascoltare “99 luftballons” senza scoppiare a ridere come il cretino che
sono.

Ascoltare Nena non è mai più stato lo stesso.

Tra le caratteristiche della serie, di certo un’ossessione per la
voce narrante di J.D. che continua idealmente anche nei titoli dei singoli episodi, tutti
intitolati “My…”. Ma la bellezza di “Scrubs” è la sua capacità di conquistare lo
spettatore e di farlo affermare più volte frasi come: «È successo anche a me!». Sarà facilissimo riconoscere qualcuno che conoscete, oppure voi stessi in uno
dei personaggi della serie, un risultato che si ottiene grazie ad un’ottima trama (le prime quattro stagioni sono perfette, ma il livello rimane alto
anche nel passaggio dal canale NBC ad ABC, avvenuto tra la sesta e la settima
stagione) e ad un cast di attori in grande forma, perfettamente a loro agio nei
panni dei loro rispettivi personaggi. Ma se pensate che una serie comica,
prenda il lato medico della storia alla leggera, vi sbagliate, perché tra i
vari premi vinti negli anni da “Scrubs”, anche quello come serie medica più
accurata del piccolo schermo, beccati questo Dr. House!

Qui ci sta proprio il balletto della vittoria di Turk.

Sono abbastanza sicuro che ancora oggi Zach Braff venga
fermato per strada da qualcuno che lo chiama J.D. perché con quella faccia da
toncolone è perfetto per il ruolo, ma fa ancora più ridere quando con la sua fissa
per il ciuffo e il ventre piatto, fa inspiegabilmente strage di cuore tra la
popolazione femminile. Una serie di attrici che per un numero variabile di
episodi, hanno ricoperto il ruolo di fidanzate o aspiranti tali, ma su questo
punto lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torneremo.

“Pensavo ne parlasse adesso, è un argomento che mi interessa, non mi sono pettinato. Scusa”

Turk (Donald Faison) è l’amico che avremmo voluto tutti
avere, anche se sempre spavaldo e con un “Ballo della vittoria” pronto ad
avvenire, nel corso delle puntate il chirurgo con la fissa del basket compie un
arco narrativo completo molto riuscito, ufficialmente l’amore della sua vita
sarebbe la tostissima infermiera di origini Dominicane – anche se Turk non se lo
ricorda mai – Carla (Judy Reyes), che nella serie ha spesso il compito molto
materno di tenere a bada tutti e di consolarli (basta dire che si rivolge a
J.D. chiamandolo “Bambi”), anche se sulla questione affettiva, la faccenda è
complicata, si perché la vera coppia (di fatto) della serie sono proprio J.D. e Turk.

Comunque uno spin-off su Raudi io lo guarderei ancora volentieri.

Provate a fare questo, digitate su Google la parola “Bromance”,
fate una ricerca per immagini e guardate quante foto di Turk e J.D. vi
spunteranno fuori, sul serio provate, poi continuate a leggere. Visto? Il
concetto di “Bromance” un amicizia virile non contaminata d’altro tra due
uomini, ormai è stato abbastanza sdoganato e sviscerato in un sacco di film,
molti dei quali Western. “Scrubs” gioca in un altro campionato, il rapporto
simbiotico tra J.D. e Turk è motivo di centinaia di gag, ma toccherà aspettare
il geniale episodio musicale (6×06 “My musical”), in cui i due si esibiscono in
un duetto – ammettiamolo terribilmente orecchiabile – intitolato “Guy love”. Perché si, nemmeno “Scrubs” sfugge al famigerato episodio in versione musical,
che spesso regala delle gioie, oppure
risulta una fastidiosa anomalia, ma in questo caso potrebbe quasi essere
consigliato a chi non ha mai visto nemmeno mezzo episodio di questa serie,
perché riassume al meglio tutti i personaggi e le loro dinamiche, ma riesce
anche a divertire, pur avendo di fondo una malinconia che lo rende agrodolce,
insomma, questa serie esce indenne, se non addirittura fortificata, dal rituale
del fuoco dell’episodio musicale.

Turk e J.D. alle prese con il saluto ufficiale della Bara Volante (solo molto più ambiguo).

I personaggi di “Scrubs” sono così realistici, che spesso vi
ritroverete a considerarli odiosi, come vi può capitare (a me capita sempre)
con certi colleghi di lavoro, ad esempio, mettete in conto che la bionda
dottoressa Elliot Reid (Sarah Chalke) passerà dall’essere sopportabile, a
totalmente odiosa di continuo, a seconda della svolte del personaggio. Lei è la donna
dei sogni di J.D. con una propensione all’innamoramento facile e al parlare in
tedesco quando si sente nervosa, cosa che accade piuttosto spesso.

I pesi massimi li ho tenuti per la fine, il mio preferito in
assoluto resta il dottor Cox. John C. McGinley ha un curriculum di tutto
rispetto, pieno di titoli mica male (ha recitato in un numero esagerato di film
di Oliver Stone solo per fare un nome) ed oltro ad essere identico al cantante Glen
Hansard – anche qui, vi invito a verificare su Google – è il mentore, il padre putativo che
J.D. vorrebbe, anche se nella serie il personaggio ha un padre, interpretato
dal mitico John Ritter, attore voluto a tutti i costi da Zach Braff che lo idolatrava
ai tempi di “Tre cuori in affitto”, purtroppo venuto a mancare durante le
riprese dalla serie nel 2003 (storia vera).

Un po’ di Heather Graham, così, perché fa sempre bene all’umore.

Proprio come il dottor Cox, ho un po’ divagato, del suo
personaggio amo il modo in cui brutalizza sottoposti e capi, senza farsi
davvero nessuno problema, giusto Jordan (Christa Miller, sempre più rifatta di
episodio in episodio) riesce a tenergli un minimo testa. Ma sta di fatto che
vorrei imitarlo ogni volta che qualcuno al lavoro viene a farmi qualche domanda
cretina, cioè fin troppo spesso. Per altro, l’abitudine di Cox di rivolgersi a J.D.  utilizzando solo nomi di donna, arriva proprio dall’attore John C.
McGinley che con il suo amico, l’attore John Cusack, fa esattamente la stessa
cosa (storia vera).

Tra i personaggi più memorabili è impossibile non citare l’inserviente,
mitologico e gigantesco pazzoide che dal primo giorno dal Sacro Cuore,
perseguita J.D., destabilizzando tutti con le sue continue balle. Del
personaggio sappiamo tutto, senza sapere mai davvero nulla, solo nell’ultima
puntata ci viene detto il suo nome, ma anche quello, potrebbe essere
tranquillamente una frottola. Di sicuro sappiamo solo che ha recitato nel film “Il
fuggitivo” (1993), di questo siamo sicuri visto che lo ha fatto anche l’attore
che lo interpreta, Neil Flynn, che pare sul set improvvisasse gran parte delle
sue battute, dimostrando di essersi calato completamente nel ruolo, e nella
tuta da lavoro del guastatore armato di scopettone. Ma la storiella di
produzione più interessante resta quella per cui, se “Scrubs” non fosse andato avanti, ma
cancellato alla prima stagione, l’autore Bill Lawrence era già pronto ad archiviare il personaggio come un parto della mente di J.D., questo spiega perché
nella prima stagione l’Inserviente, interagisce solo con lui.

Così fastidioso da fare un giro completo su se stesso diventando mitico.

Il migliore per la fine: chi ha due pollici e non ti sta
ascoltando? Bob Kelso! Il primario del Sacro Cuore, anzi, il re dell’ospedale
(«Il re ha parlato!»), interessato solo a far quadrare i conti, farsi odiare da
tutti e dedicarsi ai suoi amati Muffin (Muffin man! Muffin man!) è senza ombra di dubbio – ed
occhio che sto per dire una roba forte, ma non temo di essere smentito – il
personaggio più malvagio della storia della televisione. No sul serio, è
maligno e gongola nell’esserlo, un bastardo che però fa troppo ridere, l’attore
Ken Jenkins incarna tutti i capi che avete avuto nella vostra vita, di mio
posso dirvi che io un Bob Kelso tra le pall… Ehm, al lavoro l’ho avuto sul
serio, quindi mi sono fatto davvero della gran risate anche per questa ragione, e
forse anche per questo il dottor Cox è diventato il mio personaggio preferito.

“Chi ha due pollici ed è il personaggio più cattivo della storia della tv? Bob Kelso!”

Ah! Poi ci sarebbe il Todd, vabbè ma il Todd è il Todd! Perché
ogni personaggio, anche quelli secondari qui diventano mitici, come lo sfigatissimo
avvocato del Sacro Cuore Ted, che per altro canta anche alla grande, visto che Sam
Lloyd è un vero talento in questa specialità.

“Non so come dirtelo Todd, su questo blog ci si saluta con un Bro-fist”

L’idea di Bill Lawrence poi, era di rendere la serie una
specie di “I Simpson” con gli attori in carne ed ossa, questo spiega la
proliferazione di volti noti che sgomitavano per recitare nella serie. Si va da
comparsate come quella (spassosissima) di Gary Busey, fino a ruoli più o meno
grandi per nomi come R. Lee Ermey, Chris Meloni, Colin Farell, un
ossessivo-compulsivo Michael J. Fox, la bellissima Heather Graham e un Brendan
Fraser protagonista di uno degli episodi migliori in assoluto di tutta la serie
“My screw up” (3×14). Se lo avete visto avete già i fazzoletti in mano, per
tutti gli altri, vorrei dirvi di più perché l’episodio meriterebbe un’analisi
più approfondita, ma diciamo solo questo, se volete un episodio simbolo della
bellezza e della profondità di questa serie, questo è il più serio dei
candidati.

Bruschette negli occhi e palpebre che sudano.

Insomma “Scrubs” è una serie che non sbaglia un colpo, a
partire dalla sua sigla, “Superman” dei Lazlo Bane, la canticchierete mille
mila volte tranquilli. Nel suo essere così circoscritta ai corridoi e le sale
operatorie del Sacro Cuore, e la sua capacità di trattare temi così universali,
la rende una serie quasi congelata nel tempo, mi viene voglia di osare e
definirla eterna, penso che ci sarà sempre un momento in cui qualcuno potrà
andare, o tornare al Sacro Cuore, per vedere la serie o riguardare anche solo qualche episodio, per riconoscersi
ancora con i personaggi e le situazioni. Perché “Scrubs” ha il passo di quelle
storie che riviste in varie momenti della vita, possono essere capite un po’
meglio, non sono tante quelle che possono vantare questo primato, ma
aggiungiamo anche questa tacca sulla cintura di questa serie, niente male per
una sit-com per di più sui medici. Ora non posso più dire che oltre a Doctor Who, non mi piacciono le serie tv
con i dottori!

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