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Seizure (1974): l’esordio al cinema (e su questa Bara) di Oliver Stone
«L’onestà è la condotta migliore» Miguel de Cervantes «I bugiardi prosperano» Anonimo
La verità è una bellissima cosa, peccato che spesso ognuno abbia la sua e non sia disposto ad ascoltare quella degli altri, perché dire la verità è l’ultimo baluardo rivoluzionario rimasto. Se la massima di Brian De Palma era quella per cui la sua macchina da presa mentiva, ventiquattro volte al secondo, ogni giorno siamo bombardati da bugie a tutti i livelli, quindi dire la verità ti rende in automatico fuori dagli schemi, fuori dai giochi, controverso.
Quali caratteristiche hanno i registi che piacciono a questa Bara? Sono talentuosi, disallineati e il più delle volte appunto, controversi, ecco perché non potevo esimermi dall’omaggiare un regista che per miei trascorsi personaggi ho sempre associato al lassù citato De Palma, anche se i due in realtà, non hanno mai avuto troppo in comune, tanto che insieme sullo stesso set, hanno combinato per un classico, ma non sono certo diventati amiconi. La verità alla fine è questa, per i prossimi mesi tutti i venerdì sulla Bara Volante saranno dedicati ad uno dei miei prediletti, talentuoso e controverso come tutti i registi che piacciono a questo feretro propenso al volo, uno che ha fatto del dire la verità la sua crociata, la sua bandiera e la sua cifra stilistica, con tutta la dose di controversie che questa si porta dietro, e vi dico la verità io a mia volta, una rubrica su Oliver Stone la fantasticavo da tempo, benvenuti al primo capitolo di… Like a Stone!
Oliviero Pietra avrà pure intitolato la sua bellissima autobiografia uscita nel 2020 (edita da la nave di Teseo) “Cercando la luce”, ma il momento chiave del libro resta il dialogo con suo padre, Louis Stone, un agente di cambio di origini ebraiche che in un passaggio toccante di un libro che si nota leggendolo, essere il frutto di uno che prima di tutto si è fatto le ossa come bravo sceneggiatore, regala al figlio una massima di vita fondamentale: nessuno vuole sentirsi dire la verità.
Guarda caso, ostinato e con la testa appunto, dura come una pietra, il nostro Oliver oltre alla luce ha sempre cercato di raccontare quella verità che per sua natura, sarà un ideale purissimo, ma risulta scomoda. Figlio del già citato Louis, che di stanza in Francia durante la seconda guerra mondiale, ha conosciuto mammà Jacqueline Goddet, una casalinga francese di religione cattolica ma non praticante che al figliolo ha tramandato tre cose: un’educazione battista, un’infanzia tra la paterna New York e la materna Francia e la sua amata Mémé, come la chiama affettuosamente in “Cercando la luce”, la nonna materna la cui morte è stata il secondo più grosso dramma della vita giovanile di Stone, sorpassato a destra solo dal divorzio dei suoi genitori, avvenuto nel 1962, quando il futuro regista premio Oscar aveva sedici anni.
Alcuni registi hanno raccontato la guerra, Stone l’ha anche combattuta.
Dopo il diploma, all’età di vent’anni nel 1967, Oliver Stone si arruola volontario nell’esercito degli Stati Uniti, per combattere la guerra che, pagliuzza più corta, era toccata a quelli della sua generazione, una guerra venduta agli americani come giusta tanto quanto quella combattuta da suo padre ma diventata presto una scomoda verità da nascondere sotto il tappeto. Questo già ci dice parecchio di Stone, da sempre etichettato come militante di sinistra, polemico e fumantino, in realtà è uno dei pochi registi in circolazione che una guerra l’ha combattuta in prima linea da volontario. Oltre alla frase illuminante sulla verità, mi immagino il dialogo prima della leva tra le due generazioni di Stone, un po’ come la lunga introduzione di Springsteen ad un brano simbolo del conflitto, War.
Avete presente Forrest Gump? Si certo che lo avete presente, Stone ne è la versione cinica, dal Q.I. nella media ma utilizzato al suo massimo potenziale. Se la porzione ambientata in Vietnam del celebre film di Zemeckis l’avesse diretta Stone, sarebbe stata beh, la vita sotto le armi di Oliver Stone: duro allenamento in fanteria a Fort Jackson e poi ferito due volte in combattimento in forze alla 25ª Divisione di Fanteria e successivamente nella 1ª Divisione di Cavalleria. A casa negli Stati Uniti, Stone porta la Bronze Star Medal al valore, la Air Medal per aver partecipato a venticinque assalti e la più alta onorificenze al valore militare la Purple Heart, ma soprattutto porta a casa le gambe, le braccia, ogni dito, occhi e organo interno, insomma la pelle e con essa buona parte della sanità mentale. Roba non da tutti, non di certo poco, anche se la passione per le droghe che lo ha accompagnato lungo una gran fetta della sua vita, anche quella arrivava dritta dal ‘Nam, insieme ai racconti di guerra e alla consapevolezza che non esiste niente di più spaventoso di una bomba da duecento chili pronta ad esplodere ad un passo dalla buca in cui ti sei frettolosamente rifugiato.
Questo è il punto dove la vita vera diverge da un film di Zemeckis, niente ping pong o John Lennon, per Stone al ritorno in patria ad attenderlo, solo la dura vita da reduce di una guerra la cui percezione in patria era stata leggermente ribaltata. Non ha aiutato nemmeno il fatto che dopo aver riassaporato la libertà, quella senza ranghi e sissignore, il giovane Stone abbia iniziato a vagare aggrappato alla coda di Puff il drago magico, vagabondo come il protagonista di un pezzo dei suoi amati Doors, tanto che incurante di ogni cosa, sopravvissuto ad una bomba da duecento chili, attraversare il confine Messicano con addosso tutta la marijuana che aveva intenzione di fumarsi, non era poi tutto questo gran pericolo, ma solo un ottimo modo per guadagnarsi il primo di una serie di arresti per droga della sua vita. Balzac avrebbe detto: altro materiale da romanzo.
Una bella fotografia finita dritta sulla copertina dell’autobiografia di Stone.
Sfruttando il cosiddetto “G.I.Bill”, una legge che forniva una serie di aiuti concreti ai veterani di guerra, Stone si mise sulle orme di una sua vecchia vocazione, quella per il cinema, comunque meglio che fare il tassista di notte per le strade della Grande Mela, una vita dura alleviata solo dal poter tornare a casa ogni sera dalla sua prima moglie, Najwa Sarkis, la stessa che ho la incoraggiato a laurearsi alla New York University Film School sfruttando le agevolazioni per gli ex soldati. Un posticino dove nel 1971, tra i suoi insegnanti, potevate trovare un ragazzo di New York piuttosto dotato di nome Martin Scorsese, cresciuto alla scuola Corman si era già distinto per le sue due prime regie e in linea di massima, due cosette guardabili in vita sua sarebbe finito a dirigerle, ed è qui che torna il tema portante della vita e della carriera di Stone, la verità.
Lo stesso Scorsese chiedeva ai suoi studenti di essere autentici nel ruolo di narratori, seguendo l’adagio scrivi dirigi di quello che conosci, Oliver Stone si distinse beccandosi i complimenti dal suo blasonato professore per il suo cortometraggio sperimentale intitolato Last Year in Viet Nam, anche se non lo avete visto, non è impossibile intuire di che parli. Il passo successivo uscito dalla New York University Film School è stato seguire questa vocazione ma soprattutto, far smettere il vostro amichevole Cassidy di quartiere con le sue infinite premesse e arrivare al film di oggi che pensate un po’? È un horror, il genere prediletto di questa Bara poteva non tenere a battesimo anche Oliver Stone?
Il giovane Oliver Stone e il suo primo lavoro come regista.
Najwa Sarkis secondo papà Stone non sarà mai stata “quella giusta” per il figliolo, ma era l’unica che apprezzava la sua produttività, il nostro Olivero Pietra era in grado di sfornare due sceneggiature al mese e mentre si barcamenava come tassista, faceva l’assistente di produzione presso la Cannon Films, finendo per unire i suoi due talenti per un film in produzione di John Avildsen con protagonista Jackie Mason. Stone! Tu che sei patentato, scarrozza in giro la star del film, portalo dove deve andare. Risultato finale? Stone licenziato per direttissima colpevole di non sapere chi cavolo fosse Jackie Mason che piccato, lo fece cacciare (storia vera).
Quando non riesci ad entrare nemmeno dalla porta di servizio di una casa di produzione di bocca buona come la Cannon che fai? Ti affidi a chi conosci e Stone fondamentalmente, conosceva solo la moglie Najwa, che grazie ad un suo amico con le mani in pasta in un’azienda di trasporti, riuscì a mettere insieme i fondi per una produzione indipendente dalle parti di Montréal, un incubo, letteralmente visto che la prima bozza di “The queen of evil” scritto di getto da Stone, era frutto di una sua nottata travagliata, un brutto sogno dove lo stesso Oliviero era un autore e illustratore di storie soprannaturali, che viveva in una grande casa di campagna con una generica moglie e un figlio piccolo. Nel sogno riceveva ospiti per il fine settimana, tutti di differente stile ed estrazione sociale, una variopinta compagine funestata da fatti sinistri. Gli spiriti maligni si manifestavano nel sogno prima attraverso piccoli incidenti e poi con le sembianze di eclettici personaggi, il primo un nano dalle grandi mani callose vestito in abiti medioevali (!), un energumeno stile torturatore in abiti di pelle (!!), ma soprattutto una conturbante bellezza dai lunghi capelli neri, apparentemente amichevole fino al momento di rivelarsi la regina del male del titolo di lavorazione. La domanda è lecita: Oliver che ti eri fumato prima di metterti a dormire? Poi penso al fatto che una volta ho sognato di essere inseguito da un’aragosta gigante sul ponte di una nave pirata e senza nemmeno l’aiuto di sostanze, quindi tutto sommato va bene così, almeno il nostro ha trasformato il delirio in pellicola.
Ve lo dico, lei resta la parte migliore del film.
Non con poche difficoltà, visto che questa tragedia di famiglia, con padre/protagonista che abbandona il figlio per fuggire alla letale Morticia, secondo Stone, puzzava un po’ troppo di tragedia greca, Oreste e le Erinni e tutta quella roba lì. Però con un titolo più ad effetto come “Seizure” (che può essere tradotto confisca, ma anche colpo apoplettico) magari poteva funzionare, anche se sul set canadese Stone imparò la prima di tante lezioni da regista: non chiedere ai tuoi attori di vivere nella stessa casa che hai affittato per fare da sfondo alla trama, il caos del set e quello degli inquilini mescolato insieme potrebbe essere davvero troppo da gestire.
A proposito del cast, Stone riuscì a metterne insieme uno piuttosto variopinto, composto da attori teatrali e televisivi, Jonathan Frid nei panni del protagonista era famoso per il ruolo del vampiro Barnabas Collins nella fortunata serie Tv “Dark Shadows”, l’originale, non quella menata adattata per il cinema da Tim Burton. Per il ruolo della regina del male, Stone si affidò alla conturbante Martine Beswick, a mani basse la miglior ragione per guardarsi questo film, seguita a ruota da un personaggio rivelatore della vostra età, se ricordate Hervé Villechaize vuol dire che conoscete il suo Tattoo, l’assistente di Mr. Roarke nella serie televisiva Fantasilandia, quindi vuol dire che siete quasi degli ex giovani.
Se vi ricordate di lui, ha una notizia per voi, siete quasi ex giovani.
Se la produzione di “Seizure” è stata caotica, il suo sbarco in sala ancora di più, Stone spalleggiato da un ufficiale giudiziario dovette organizzare una mezza irruzione per sottrarre la pellicola al direttore della fotografia francocanadese che l’aveva sottratta. Se il futuro regista premio Oscar una volta si è fatto arrestare portando droga in Messico, qui ha rischiato quasi lo stesso destino portando la pizza del suo film oltre la dogana Canadese, il tutto per cosa? Vedere il suo esordio trasmesso per puzza in qualche doppio spettacolo nel circuito delle sale grindhouse, incassando poco o nulla e non facendo avanzare di un centimetro la carriera di regista di Oliver Stone, anzi, sono sicuro che molti di voi nemmeno ne avevano mai sentito parlare, per vostra fortuna, io sono così matto da essermelo anche visto.
Cercare tratti di continuità con le tematiche che diventeranno ricorrenti nel cinema di Stone qui, sarebbe un esercizio ozioso, l’unico elemento comune con lo stile di Stone è la regia nervosa, che punta al realismo anche se qui, ancora in odore di sperimentazione. Eppure guardandolo un po’ mi ha ricordato la scena di La casa dei 1000 corpi in cui i Firefly si vestono a festa per condurre i loro “coniglietti” dritti tra le braccia del Dr. Satan. Immaginatevi una sorta di commedia della minaccia punteggiata da momenti classici da horror (finestre che si rompono da sole e altri segnali nefasti del genere) che però confluisce in quella scena di parata che chissà se Rob Zombie aveva in testa quando ha diretto il suo film. Esperto di Horror degli anni ’70 com’è, probabilmente avrà visto anche l’esordio alla regia di Oliver Stone.
«Mettimi giù è solo il primo capitolo della rubrica!»
Sta di fatto che Olivero Pietra dopo l’insuccesso di “Seizure” si è lanciato in film vicolo cieco come la sua sceneggiatura “The Cover-Up”, per poi passare ad altro, qualcosa di ancora più ambizioso e personale. Consapevole di non voler ripetere l’errore del suo soggetto del 1969 intitolato “Break”, considerato dal suo stesso autore troppo enfatico nel raccontare la sua esperienza in Vietnam, a differenza di un’altra sceneggiatura a cui Stone teneva moltissimo, la storia di due sergenti opposti nello spirito e nei modi, ispirati a fatti e sottoufficiali che il regista aveva conosciuto servendo sotto le armi, una cosetta etichettata dal governo americano (il primo a cui Stone si è rivolto per cercare fondi) del tutto non veritiero, una falsificazione, perché? Per il semplice fatto di dire la verità. Quel copione si intitolava “Platoon”, ma per uscire dal cassetto in cui Stone lo conservava amorevolmente, ci avrebbe messo parecchio tempo, revisioni e modifiche, prima di poter realizzare il suo sogno di raccontare la sua verità sul Vietnam, Oliver Stone avrebbe dovuto saltare su parecchi altri treni in corsa, il prossimo piuttosto grosso arriverà qui su questa Bara tra sette giorni. Segnatevi l’appuntamento, non potete perdere l’espresso di mezzanotte, quello passa una volta sola e non fa fermate.
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