Home » Recensioni » Showgirls (1995): io ho visto Showgirls, io l’ho capito!

Showgirls (1995): io ho visto Showgirls, io l’ho capito!

Quando si pensa ai peggiori film della storia del cinema, credo che nessuno possa nemmeno avvicinarsi al titolo di oggi protagonista della rubrica… Sollevate un Paul Verhoeven!

Tutto quello che sale prima o poi deve scendere, questa frase a metà tra una legge della fisica e una brutta metafora sessuale vale anche ad Hollywood, “Showgirls” è stato un tonfo colossale anche perché Verhoeven arrivava da tre titoli clamorosi, si sa che da più in alto cadi più rumore farai quando toccherai il terreno.

I piani originali di Verhoeven erano altri, ovvero dirigere “Crusade” un grande dramma in costume simile a L’amore e il sangue, ma con Schwarzenegger che, purtroppo, non abbiamo mai potuto vedere perché considerato una spesa insostenibile per le casse della Carolco.

Uataa! Via il film in costume, dentro il film scostumato.

Ci vuole un altro grande successo al botteghino che faccia fare il definitivo salto di qualità alla casa di produzione, quindi si torna a bussare alla porta di Joe Eszterhas, torna in azione la coppia che ha sollevato un polverone con Basic Instinct, il nuovo soggetto si chiama “Showgirls” è una roba forte, piena di satira e sesso, la Carolco non è convintissima, ma come fai a non fidarti dell’uomo che ti ha regalato tutti i tuoi più grandi successi? Verhoeven crede tantissimo nel progetto, tanto che pur di avere il final cut sul montaggio, rinuncia al 70% del suo ragguardevole cachet (sei milioni di ex presidenti stampati su carta verde, fischia!) con la promessa di riavere i soldi quando il film avrà sfondato i botteghini, inutile che vi dica che quei soldi il nostro Polveròn non li ha rivisti mai più.

Per la parte della prima ballerina Cristal, Verhoeven vorrebbe prima Madonna, ma i due non trovano un accordo (storia vera), quindi pensa a Sharon Stone che dall’alto del suo pazzesco QI capisce la fregatura e preferisce rovinarsi la carriera da sola lentamente, invece che in una botta sola. Gina Gershon non aveva questo problema, quindi accetta di buon grado la parte.

Gina, vai avanti tu che mi viene da ridere.

Per il ruolo della protagonista, Verhoeven vorrebbe una faccia nuova, qualcuna che sembri davvero un’esordiente e, infatti, non ha dubbi: scarta Jenny McCarthy (se mai avesse fatto “Showgirls” sarebbe stato un netto miglioramento nella sua filmografia) quando scopre che è bravissima a fare le linguacce, ma un ciocco di legno quando si tratta di ballare e come uno squalo punta dritto su… Charlize Theron (storia vera). Che evita il proiettile perché allora era “solo” una modella senza alcuna esperienza di recitazione, ma riflettete su due cosette, la prima: abbiamo seriamente rischiato di perdere Charlize. La seconda: Verhoeven è stato il primo a capire che il posto della sudafricana era sul grande schermo.

La “Fortunata” a battere tutta la concorrenza è Elizabeth Berkley, come attrice ha passato del tempo dentro i maglioni di Jesse Spano nella serie tv “Saved by the bell”, in uno strambo Paese a forma di scarpa “tradotta” con il titolo di “Bayside School”, se siete della mia leva la ricordate benissimo, non fate i finti tonti. La Berkley convince tutti grazie ad un fisico spaziale e ad una determinazione nel ballare unica, la bionda per le prove di questo film è stata capace di allenarsi anche per 12 ore al giorno, tutte passate a ballare sui tacchi. Quindi, quando pensate di essere dei duri ricordatevi di Liz.

Che puntata di “Bayside School” era questa? Perché temo di non averla vista!

Uno sforzo che la storia ha cancellato nel modo peggiore possibile, costato 45 milioni di ex presidenti stampati su carta verde, “Showgirls” ne porta a casa 20 (anche se poi in home video ha fatto sfaceli, perché tra le mura di casa forse era più socialmente accettabile?), scatenando un putiferio, di tutti i polveroni sollevati dal nostro Paul, questo film è sicuramente il più clamoroso e stiamo parlando di un regista che di film controversi in carriera non ne ha fatti pochini.

I critici americani fanno a gara a chi dà le sberle più forti al film, le tante scene di nudo diventano il peggior biglietto da visa possibile, ancora oggi “Showgirls” diventa il titolo che ciccia sempre fuori quando si parla di pessimi film, Verhoeven ne esce abbastanza bene solo perché Spetters gli aveva formato il carattere, tanto che diventa il primo regista nella storia della manifestazione, a presentarsi di persona a ritirare i tanti Razzie Awards, addirittura otto. Ad Elizabeth Berkley non va altrettanto bene, si becca anche la nomination a “Nomination Peggior attrice del secolo”, ma non vince questo “ambito” premio, arriva seconda, che forse è anche peggio che vincere.

Con tutto il rispetto, non proprio tutte nomination immeritate ecco.

Alla pari di Basic Instinct, da ragazzini ho sempre visto “Showgirls” a spizzichi e bocconi nei vari passaggi televisivi (non molti per la verità), diciamo più interessato ad altre cose più che alla poetica di Verhoeven, ecco (sto parlando delle scimmie che ci sono nel film, era chiaro, no? No, vero? Eh vabbè…), penso di averlo visto per la prima volta dall’inizio ai titoli di coda solo qualche giorno fa per questa rubrica, appena terminato il film mi sono tornate in mente le immortali parole dei miei compari Sergio e Michael, la leggenda vuole che ad un festival di Venezia abbiano visto (o forse no, la leggenda su questo punto sfuma) e abbiano partorito il capolavoro che ho voluto omaggiare con il titolo di questo pezzo, alla fine del film mi sono ritrovato a citarli: «Io ho visto Showgirls, io l’ho capito!». Ho realizzato che questo film è il candidato ideale per la mia non-rubrica de I Bruttissimi di rete Cassidy!

 

L’intento dei “Bruttissimi” è quello di parlare di quei film oggettivamente brutti, ma che hanno saputo comunque diventare mitici, sulla base della sua pessima fama “Showgirls” è diventato leggendario per davvero, per altro a memoria di questo mio scalcagnato blog, non ricordo di un solo regista che abbia saputo mandare a segno tre Classidy uno in fila all’altro e poi un Bruttissimo, anche per questa ragione Paul Verhoeven è uno che merita uno spazio sulla Bara Volante!

Polveròn e Joe Eszterhas si rifanno al classico “Eva contro Eva” (1950), ma Verhoeven da pirata dei generi cinematografici qual’è sempre stato punta a dirigere un grande musical, una roba tipo “West side story” (1957), però ambientato sulla strip (e tra le stripper) di Las Vegas. Ancora oggi Verhoeven dichiara che “Showgirls” è il suo film girato meglio, lo so che è un’affermazione folle vista la fama del film, ma l’Olandese non ha tutti i torti, i movimenti della macchina da presa sono impeccabili, tutti i dietro le quinte della vita delle ballerine sono davvero ben fatti, solo che sono incastrati tra una marea di difetti.

In panchina a bordo campo, a scaldare i muscoli.
Nel pieno dell’azione con ruolo di contorno.
MVP della partita.

In tutta la fase americana della sua carriera, il registro applicato da Verhoeven ai suoi film è sempre stato chiarissimo, la satira, spesso al limite ed oltre la parodia, gli eroi d’azione martirizzati nel corpo, e deformati nel volto, sembravano fare il punto sulla violenza radicata nella società americana. Con un solo accavallamento di gambe veloce come un battito d’ali di, ehm, farfalla, Verhoeven ha messo alla berlina tutti i tabù sessuali degli Yankee.

Con il solito approccio da guastatore dietro le linee nemiche Verhoeven non alza il piede dal pedale, “Showgirls” è volutamente esagerato, l’inizio ad esempio, frenetico, Nomi Malone (Elizabeth Berkley) arriva a Las Vegas facendo autostop, è una signorina nessuno, Eszterhas ha voluto chiamarla Malone perché suona come “Alone” (storia vera) e rimedia un passaggio anche perché è il primo minuto del film e la Berkley è già mezza nuda, come sarà fino alla fine del film.

Lo trovo molto antigienico, ma sentiti libera di esprimerti come vuoi Liz.

I dialoghi iniziali sono urlati, le reazioni di Nomi sono tutte esagerate, anche Fiore di Carne iniziava con Olga che da un passaggio ad Erik, ma i due s’innamorano, invece a Nomi fregano la valigia, come a dire che in Olanda qualcuno che ti aiuta lo trovi, in America, invece, sono tutti pronti a fotterti. In tutti i sensi. Credete che sia un caso se ad un certo punto, in sottofondo ad una scena di questo film, il nostro Paul metta “I’m afraid of America” di David Bowie?

Il problema di “Showgirls” è anche la sua più grande caratteristica, questo approccio con il coltello tra i denti fa un giro completo su se stesso e in alcuni momenti (troppi!) viene a mancare il senso di equilibrio, la satira spesso diventa comicità involontaria, la messa in scena volutamente pacchiana fa presto ad apparire trash, un esempio? I dialoghi, Joe Eszterhas e Verhoeven hanno intervistato ballerine e gestori di locali di Las Vegas inserendo nei dialoghi i loro modi di dire diciamo pittoreschi, ma in troppi momenti, al netto del risultato finale, sembra che Joe e Paul abbiano solo cercato una scusa per passare del tempo nei night club “andiamo a fare ricerca sul campo” e sotto ad infilare dollari nei perizoma.

«Qui invece, ci mettiamo due bei culi»

Alcuni dialoghi fanno sanguinare le orecchie, uno dei più tragici è quello tra Nomi e Cristal sedute in un locale finto italiano come può essere finto un locale Italiano solo negli Stati Uniti (e a Las Vegas in particolare), le due iniziano a parlare del sapore del cibo per cani (!) e un attimo dopo Cristal se ne esce con “Ma sai che hai delle belle tette?” (!!). No, sul serio, qui è chiaro che è scappata la mano, ma molto scappata, roba che ora vive in Canada sotto falso nome.

Eppure, gli intenti di “Showgirls” sono chiarissimi, manifesti direi, Verhoeven ha dichiarato di essersi ispirato a Federico Fellini, ribadisco sembrano sparate per un film che ha vinto otto Razzie Awards, ma nemmeno tanto, Henrietta (Lin Tucci) non è altro che la Saraghina di “8½” (1963) in salsa Verhoeven, ma sono proprio le scenografie a rendere chiari gli intenti.

«Ad Hollywood diventerò famosa?», «Se ti faccio diventare famigerata va bene lo stesso?»

In un’inquadratura Verhoeven ci mostra il “Cheetah” il locale dove Nomi lavora (“Al Cheetah si fa tutto tranne ballare”) gestito da un trucidissimo Robert Davi e sullo sfondo, l’altro locale, quello dove Nomi sogna di andare a ballare, lo “Stardust”. Eppure, a vederli così risultano entrambi posticci, anche per la media di una città di plastica come Las Vegas.

Trovo significativo il fatto che Nomi al “Cheetah” venga considerata un pezzo di carne che si muove attorno ad un palo da lap dance, per assurdo l’unico posto del locale dove gli uomini non sono legittimati a metterle le mani ovunque è nel privè dove la ragazza balla come se non ci fosse un futuro. Ma una volta arrivata allo Stardust, non è che ci sia poi tutta questa gran differenza, in entrambi i posti le viene chiesto di agitare il culo e tutti (e tutte, compresa Crystal) vorrebbero saltarle dentro le mutande, il METAFORONE è urlato, ma anche chiarissimo, la frase viene declinata in ogni modo possibile durante tutto il film, è chiaro che Vegas rappresenti Hollywood, ballare per il pubblico sia fare film e che la distanza tra una puttana e una grande star è un confine sottile, così com’è sottile quello tra la satira e il film involontariamente comico.

Concetti chiave suggeriti velatamente, quasi sussurrati.

Nomi che si definisce una ballerina, ma poi fa allo Stardust esattamente quello che faceva al Cheetah, solo con più lusso intorno a sé, il ragazzo nero (Glenn Plummer) che in discoteca porta la sua coreografia ricevendo fischi (l’artista “puro” che non piace al grande pubblico) e, quindi, si accontenta di cercare di portarsi a letto tutte le biondine tanto svampite da credere alla sua “arte”. Ogni personaggio in “Showgirls” è urlato e nessuno è davvero buono, Verhoeven non moralizza, ma continuando a muoversi nella zona grigia che divide i buoni dai cattivi, ci ricorda che Hollywood è un luogo di plastica dove i buoni sono prede. Per ribadire il concetto, anche qui Verhoeven inserisce una (criticatissima) scena di stupro ai danni della povera Molly (Gina Ravera) che non a caso è davvero l’unico personaggio davvero puro di cuore del film, messo lì a ricordarci che nella vita la bontà non paga e conoscere il proprio mito potrebbe essere un’esperienza molto, ma molto brutta.

La critica alla società americana (e quindi a quella occidentale) per Verhoeven passa dall’ossessione tutta Yankee per la competizione: solo dimostrandosi più forti (e spietati) degli altri puoi ribadire la tua unicità e guadagnarti un piedistallo su cui se ti va bene, starai su per un po’ finché qualcuno non ti spingerà di sotto. Pensate a quella (brutta) abitudine di tanti genitori americani (e non solo) di pompare i loro figli fin da piccoli per diventare grandi campioni in questa o quella disciplina, da questo punto di vista “Showgirls” è il perfetto film sportivo.

Gira, ruota e poi spaccata alla Van Damme!

Le parti che preferisco e ritengo davvero riuscite sono quelle in cui Verhoeven ci porta dietro le quinte, dopo un numero di Lap Dance le ragazze sono ricoperte di sudore e se in Robocop avevano fatto il loro timido esordio, qui in “Showgirls” un’ossessione tutta Verhoeveniana si manifesta nella sua piena potenza: gli spogliatoi misti!

Ballerine e ballerini (caratterizzati quasi tutti come gaissimi, con la solita dose di polemiche) ci vengono mostrati come animali da circo e proprio con animali da circo dividono il palcoscenico, sì, perché Verhoeven mi fa contento e oltre ad un quantitativo esagerato di tette nel film ci ficca dentro anche delle scimmie!

«Cassidy guarda! Abbiamo anche le scimmie che ti piacciono tanto!»

Nomi e le sue compagne sono costrette a ballare cercando di non scivolare sulla merda di scimmia rimasta sul palco, in una guerra tra donne in aperta rivalità, che si accusano una con l’altra etichettandosi con le peggio parole appena una prova a rialzare la testa, in una società in cui hanno solo il loro corpo e il loro bel faccino (come Kitty Tippel) come arma e se provano a rialzare la testa, sarà subito un’altra donna a dar loro della poco di buono, il tutto mentre qualche uomo fa i suoi porci comodi, qualcuno come Harvey Weinstein… No, cioè, volevo dire Zack Carey! Il personaggio interpretato da Kyle MacLachlan, che qui sfoggia un frangettone che lo fa sembrare lo zio dello Spider-Emo di Raimi.

Ma cosa ne vuole sapere Tobey Maguire.

Vedendo il film mi è sembrato chiarissimo quello che lo stesso Polveròn ha ammesso, ovvero che il finale è davvero poco incisivo, la veloce (e del tutto poco credibile) vendetta di Nomi sul bastardissimo Andrew Carver (William Shockley) è girata come se fosse uno di quei film italiani scollacciati degli anni ’70 conditi da qualche omicidio, vorrei potervi dire che anche questa è una scelta dovuta, ma non ne sono convinto io per primo, quindi lascio perdere.

Non c’è alcun motivo di arrabbiarsi, che carattere!

Dove, secondo me, “Showgirls” eccelle è proprio nel mostrare la competizione per emergere, lo sfruttamento delle ballerine che faticano come vere atlete. Nomi ad inizio film è determinata, trucida perché dorme con la camicia di jeans a maniche lunghe, ma poi spesso scorda mutande e reggiseno (eh vabbè sono dettagli su!), però anche candida, tutta contenta sfoggia il suo “Versayce” (nel doppiaggio italiano “Verace”) sbagliando il nome dello stilista (un’idea suggerita a Verhoeven dalla stessa Elizabeth Berkley), poi piano piano diventa fa emergere il “Cigno nero” dentro se stessa, non fa nulla per salvare l’amica Molly dalle grinfie di Carver e spinge Cristal giù dalle scale senza rimorso autoconvincendosi di non averlo fatto, perché la finzione vale più della realtà in un mondo finto come quello dello spettacolo.

So che con tutta questa pelle a vista siete distratti ma questa è una scena drammatica!

La trasformazione da “Pollianna” a “Lolita” come la definisce lo stronzissimo coreografo dello Stardust si completa, da cigno bianco a cigno nero, una trasformazione che diventa una chiusura del cerchio quando nel finale Zack scopre la vera identità della ragazza, che per puro caso si chiama proprio Polly Ann.

Proprio la scena con il coreografo è forse la mia preferita del film, il bastardo orgoglioso della sua fama da stronzo è il Sensei inflessibile dei film di arti marziali, è il Mickey di Rocky che ti sprona per tirare fuori il meglio, solo che lo fa in puro stile Verhoeven, quindi urlando alle ragazze “Fatemi vedere le tette! Vendete i vostri corpi! Vendete! Vendete!”. Perché negli Stati Uniti o sei il migliore, oppure sei fuori, solo quelli disposti a subire le umiliazioni (i cubetti di ghiaccio) e con la cattiveria giusta emergono. Un film che non le manda a dire, sempre stato un timidone il nostro Paul eh?

«Metti la cera, togli la cera?» , «Pensavo più a metti le mutande togli le mutande»

L’evoluzione di Nomi procede su tre livelli, prima è a bordo palco a imitare (malamente) le mossette di Crystal, poi Verhoeven ci mostra lo stesso spettacolo dal punto di vista di una delle ballerine che si spogliano attorno a Cristal per terminare con tanti primi piani e la macchina da presa stressa su Nomi, quando sudando, subendo, vendendo se stessa e colpendo alle spalle diventa lei la prima ballerina dello spettacolo. Verhoeven gira tutte le scene di ballo, come se fossero scene d’azione, mentre le scene di sesso le gira, beh… Come scene di sesso, che vi aspettavate, dai!

“Showgirls” ha dei difetti enormi, Elizabeth Berkley balla come una furia in questo senso ha un talento identico a quello del suo personaggio, ad inizio film sfoggia la gioia di vivere tipica dei personaggi femminili di Verhoeven, ma non ha il talento sufficiente per tenere in equilibrio un film così sbilanciato. Nel 1995 è diventato un flop così grosso da rischiare di mettere fine a più di una carriera, la definitiva pietra tombale sulle finanze della Carolco, ma a rivederlo ora è chiaro che a suo modo è stato rivelatore.

Liz, ok che vestita così fermeresti pure un autotreno, ma le auto arrivano dall’altra parte.

“Showgirls” è “Burlesque” (2010, titolo che a casa Cassidy è uno Scult assoluto!) con le tette, se “Eva contro Eva” è Superman, “Showgirls” è il suo clone degenere Bizaro. De “Il cigno nero” (2010) vi ho già detto, ma, a ben guardarlo, è un The Neon Demon senza le velleità, quindi cento volte più divertente, siamo sicuri che non sia il film che ha anticipato la Hollywood di oggi e i suoi discutibili usi e costumi?

Spettatori e critici nel 1995 non lo hanno capito, lo hanno capito prima di tutti Michael e Sergio. Io l’ho capito mettendoci come al solito il mio bel tempo, ma in ogni caso ora posso dirlo: Paul! Paul!! Io ho visto Showgirls, io l’ho capito! Tra sette giorni, sempre qui, preparate i caricatori, andiamo a caccia di insetti.

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
2 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

M – Il figlio del secolo (2025): fascisti, io la odio questa gente

Dovrei iniziare con un appunto molto arguto, una frecciatina sul fatto che una miniserie come “M – Il figlio del secolo” sia più al passo con i tempi che mai, [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing