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Sierra Charriba (1965): Moby Dick nel New Mexico

Spero abbiate portato con voi tutta la vostra voglia di
cavalcare perché oggi andiamo a caccia oltre il confine, benvenuti ad un nuovo
capitolo della rubrica… Sam day Bloody Sam day!

Quella tra Sam Peckinpah e il Messico è una storia
d’amore, una delle più stabili della vita del turbolento regista di Fresno.
Ossessionato da un’idea romantica di frontiera americana, quella che aveva
potuto vivere (e idealizzare) da bambino nel ranch di famiglia, Peckinpah ha
sempre amato la terra oltre il confine americano, d’altra parte nei film i
criminali in cerca di libertà dove vanno se non in Messico? Ma bisogna essere
onesti, del Messico il vecchio Sam amava anche… Beh, le attività ricreative,
passatemi il termine.

Penso che solo Hellboy
nella sua fase di ciucca triste abbia potuto tenere testa a Bloody Sam, libero
di scorrazzare nei bordelli messicani dove si è fatto di tutto, compreso una
fama notevole. Per uno come lui che ha sempre vissuto molto intensamente ogni
fase della sua vita e pescato proprio da essa per alimentare il suo cinema, il
Messico è sempre stato una costante nei film di Peckinpah.

“Dos cervezas e dos Tequila por favor… Tu invece cosa prendi Charlton?”

Sono sicuro che il successo di Sfida nell’Alta Sierra, Peckinpah lo abbia festeggiato oltre confine
alla sua maniera, anche perché il matrimonio con la moglie (l’attrice Marie
Selland) ormai era saltato per aria con il tritolo, per via dei costanti
tradimenti di Sam e dell’unico da parte di Marie che, ovviamente, il regista non
ha perdonato, se avete inquadrato un po’ il personaggio anche questo faceva
parte delle idiosincrasie di un uomo estremamente complicato nella vita, ma
geniale nel suo lavoro. In questi casi si dice genio e sregolatezza, parole che
per Sam Peckinpah non potrebbero essere più azzeccate.

Nella primavera del 1963 Peckinpah si era comprato una
bella casa sull’oceano a Point Dume, con tanto di cannocchiale sempre puntato
sulla spiaggia, il tempo di adocchiare una bella ragazza in costume e PUM! Come
un falco Sam entrava già in azione, per fortuna ogni tanto il nostro pensava
anche al cinema e come da tradizione, cosa fa un regista dopo aver raggiunto un
certo prestigio e riconoscimento? Va in Messico a festeggiare? Sì, anche, ma più
che altro si getta anima e corpo su un grosso progetto molto sentito che per
Peckinpah si manifesta sotto forma di un nuovo lavoro da parte del produttore
Jerry Bresler.

Bresler è un ometto paffutello con l’aria da burocrate,
insomma tutto quello che Peckinpah proprio non sopporta, però rappresenta la Columbia
Pictures e ha per le mani la bozza di una sceneggiatura intitolata “Major
Dundee”, anche noto come “Sierra Charriba”, ma tranquilli, sul titolo ci
torniamo più avanti, lasciatemi l’icona aperta.

Ogni volta che si muovono, parte il fischiettio come in una puntata di Hazzard.

La storia è quella dello spietato capo della tribù Apache
chiamato Sierra Charriba (immaginatemi la fama di feroce assassino di Geronimo,
come potrebbe descriverla un bianco anche vagamente razzista), che ha rapito
alcuni bambini seminando il terrore nei territori del New Mexico, malgrado la
guerra civile (quella che noi chiamiamo di secessione) in corso, il governo
americano deve fare qualcosa, nello specifico ci pensa il maggiore Amos Dundee
(Charlton Heston) che si mette a capo di una banda di gatti senza collare
composta da portatori di muli ubriaconi (il portatore, non i muli), ex schiavi
neri liberati e arruolati, pendagli da forca, un prete particolarmente motivato
e soprattutto, i soldati sudisti guidati dal fiero capitano Benjamin Tyreen (il
grande Richard Harris), ex compagno d’arme di Dundee con trascorsi di amicizia
turbolenta, che non ha nessuna intenzione di calpestare la bandiera confederata
prendendo ordini da uno Yankee, ma i due uomini opposti hanno entrambi la
schiena dritta e trovano una sorta di accordo: alleati, con il motto “Finché
Charriba non sarà preso o ucciso”.

“Guarda chi mi hanno mandato contro, un regista ubriaco, un fanatico delle armi e un uomo chiamato Cavallo”

Charlton Heston era un fedelissimo di Bresler e della Columbia
Pictures, il trattamento di 37 pagine della trama era stato scritto da Harry
Julian Fink (che in futuro avrebbe scritto Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!), l’idea sarebbe quella di consegnare
attori e trama al veterano, il Maestro John Ford, ma perché non affidarsi al
nuovo talento di Hollywood, quello che aveva portato aria fresca al genere
Western? Sam Peckinpah accettò l’incarico in cambio di 50 mila fogli verdi con
sopra facce di ex presidenti spirati, non pochi, ma il modo in cui aveva
riscritto la sceneggiatura, rendendola molto più completa e profonda dimostrava
già che la Columbia stava spendendo bene i suoi soldi… Almeno, per ora.

“… Dalle mie fredde mani morte!” (scusate, non ho potuto resistere)

Sam Peckinpah che ha girato il Messico in lungo e in
largo, probabilmente in cerca dei migliori posti per bere e scopare, seleziona
dei luoghi incredibili e mai visti al cinema come location per il suo film,
peccato che siano anche sparsi qua e là lungo l’enorme Paese, un incubo
logistico che prevede lunghi spostamenti di uomini, mezzi, macchine da prese, cavalli,
comparse e attori, un mucchio selvaggio (occhiolino-occhiolino) che Peckinpah
fa trottare con il pugno di ferro, perché il piano di Bloody Sam è chiaro: la
caccia del Maggiore Dundee allo spietato Sierra Charriba ha tutte le
caratteristiche del “Cuore di tenebra” di Conrad, più i soldati si addentrano
in territorio messicano per andare ad uccidere un solo uomo, più le tensioni
tra di loro emergono, la caccia diventa un’ossessione e la violenza che secondo
Peckinpah fa parte della natura umana diventa sempre più protagonista. L’attore
R.G. Armstrong, un pretoriano del regista che qui interpreta lo stropicciato reverendo
Dahlstrom è uno dei pochi le leggendo la sceneggiatura di Bloody Sam capisce le
sue intenzioni, le sue parole esatte sono queste: «Sam, questo è Moby Dick a cavallo!»
(storia vera).

Trattandosi di “Moby Dick”, Sam Peckinpah è la perfetta
incarnazione del capitano Achab, sul set è feroce con i suoi attori, quando non
applica le abilita di manipolatore ereditate dal lato materno della famiglia
sembra un generale in grado di sbraitare ordini dalla sua gru mentre gira,
gira, gira chilometri di pellicola a cui poter dare poi forma in sala di
montaggio. Il cast è composto da tutti i nomi della “factory” di attori peckinpahniani
dal mitico Slim Pickens all’ancora più grande L.Q. Jones giù fino a Warren
Oates, Bloody Sam li comanda tutti con metodi discutibili, ma efficaci, James Coburn (nel ruolo della guida
Samuel Potts), l’ultimo giorno delle tormentate riprese è fuggito in auto al
più vicino aeroporto con una dedica al regista: «Ci vediamo, figlio di
puttana!» (storia vera) e sarebbe stato di parola, visto che in futuro tornerà
nel corso di questa rubrica e negli anni, si è lanciato in attestati di vera
stima per il Peckinpah. Ma forse peggio di tutti è andata a Jim Hutton, siccome
la sua prova nei panni del tenente Graham non era abbastanza convincente,
Peckinpah gli sparò con la pistola caricata a salve che teneva nella fondina
durante le riprese, terrorizzando il cavallo che Hutton stava cavalcando
(storia vera).

“La fai facile tu, io ho altri due film da fare con quel matto”

Ma la ricerca per la perfezione di Peckinpah è roba che
costa, tanto che Jerry Bresler per chiarire le ragioni dei continui giorni di
ritardo e dei costi che continuavano a lievitare, si presentò sul set messicano
solo per essere rispedito al mittente con perdite da un Peckinpah lapidario che
dall’alto della sua gru si liberò del produttore dicendogli: «Se hai finito di
scocciare io avrei un film da girare». Come Orson Welles, Peckinpah non aveva
stima per chiunque avesse un ufficio più in alto del primo piano, scottato
dalle precedenti esperienze con i produttori il regista pensava solo alla sua
arte, ma lo scontro era dietro l’angolo, per altro trovo ironico che in una scena
di “Sierra Charriba”, ad un ferito e sotto copertura Charlton Heston, rifugiato
in un piccolo villaggio messicano, venga consigliato da uno dei personaggi di
non farsi vedere troppo in giro, perchè uno come lui non potrebbe confondersi con i
locali. Ogni volta che rivedo quella scena penso al suo ruolo di finto
messicano in “L’infernale Quinlan” (1958), una concessione fatta ai produttori
proprio dal citato Orson Welles, corsi e ricorsi storici, oggi sono sceso dal
letto con in testa Giambattista Vico.

“Tu? Nella parte di un Messicano? Ma quello è matto!”, “Il bue che dice cornuto all’asino”, “Cosa hai detto?”, “No dicevo… Dos cervezas?”

Vi dico questo perché un paio di volte in vita mia mi è
capitato di vedere “Sierra Charriba”, a casa Cassidy la VHS del film è stata
consumata da me, ma anche di più dal signor Cassidy senior ancora oggi ogni
tanto ci guardiamo dicendo: «Solo i fulmini sono meglio delle cannonate!»
(storia vera). Questo per dirvi di quanto il film sia comunque godibile, Peckinpah
ha saputo distaccarsi dai canoni classici del Western, anche più di quanto già
fatto in Sfida nell’Alta Sierra,
avvicinandosi sempre di più alla sua idea di cinema, ma potete guardarvi tutte
le versioni disponibili del film, quella cinematografica e quella a cui sono
state reintegrate alcune delle scene tagliate disponibile in DVD, nessuna di
questa è il film che Sam Peckinpah voleva realizzare perché la pellicola è
stata massacrata dalla produzione, alla fine Jerry Bresler e la Columbia hanno
avuto la loro vendetta.

“Questa freccia è vostra? No perché sarebbe finita proprio
nella mia gamba!”

“Sierra Charriba” è un solidissimo film sostenuto da una
tema musicale che è un’esaltante fanfara che non ha nulla a che fare con il
tono che Peckinpah sognava per il suo film (ed infatti è stata introdotta dalla
Columbia nei suoi rimaneggiamenti alla pellicola) che, però, vi resterà in testa
lo stesso.

Nel film si trovano tutti i temi cari a Peckinpah, quelli
che il regista svilupperà di più e meglio nei suoi film successivi, il rapporto
tra il maggiore Amos Dundee e il capitano Benjamin Tyreen è lo scontro tra due
opposti che, però, condividono gli stessi valori, inoltre, il personaggio di Charlton
Heston è controverso, ha il carisma e le buone intenzioni per guidare un
novello mucchio selvaggio fino al cuore di tenebra messicano, ma fa errori,
cade due volte in agguati come un pivello, la seconda volta, per altro, mentre è
impegnato a spupazzarsi una messicanuccia, insomma è quasi un alter ego di
Peckinpah, le prove tecniche dei Pike Bishop che verranno.

“Francamente me ne infischio”, “Guarda che quello era un altro film”

Ci sono moltissimi elementi che rendono “Sierra Charriba”
un buon film, un western moderno rispetto ai classici di Ford anche nello
scontro finale che risulta volutamente anticlimatico perché ad uccidere Charriba
non sarà l’eroe del film, ma nemmeno il personaggio che potreste immaginare,
insomma non bisogna sforzarsi per trovare tanto della poetica di Peckinpah, ma
il film è l’ennesimo duello a capocciate fatto dal regista con la produzione.

Visti i continui ritardi e il costo di produzione che
lievitava come l’impasto lasciato a riposare, Bresler cercò di licenziare Peckinpah
che piuttosto che perdere il suo film, sarebbe stato pronto a scatenare la
seconda rivoluzione messicana. Il regista era preso dalla sua visione
artistica, lo scontro finale con l’esercito francese che rappresenta una delle
scene più epiche del film, nella testa di Peckinpah doveva essere uno sfoggio
di violenza come fatto da Bergman in La fontana della vergine, Bloody Sam aveva in testa i rallenty di Kurosawa che
lo hanno sempre affascinato, con l’idea di portare questa tecnica ad un altro
livello. “Sierra Charriba” era il suo primo e concreto passo in questa
direzione, ma la produzione aveva altre idee e ad aggiungere confusione ci ha
pensato anche la distribuzione italiana con le modifiche al titolo, avevo
un’icona da chiudere su questo argomento e lo faccio subito: prendere un film
intitolato con il nome del protagonista (“Major Dundee”) e farlo uscire con il
nome dell’antagonista (“Sierra Charriba”) è un po’ come fare un film su
Superman e intitolarlo “Lex Luthor”, stesso effetto finale.

Eppure il nome del protagonista si legge piuttosto bene, saranno stati miopi?

Nel tentativo di non perdere il film Sam Peckinpah
restituì 35 mila dollari del suo stipendio per rientrare un minimo delle spese
affrontate e da questo punto di vista trovò un alleato in Charlton Heston,
grande uomo di squadra, divo della vecchia scuola che trovava insopportabile
l’idea di un regista sostituito in corsa per un film, tanto che si abbassò il
cachet finendo per lavorare quasi a costo zero (storia vera).

Come abbiamo visto anche nei primi capitoli di questa rubrica, fino al 1965 le case di
produzione non facevano proiezioni di prova con il film montato dal regista, ma
decidevano loro come montare il girato, ecco perché la copia di lavoro di 278
minuti, fu ridotta a 156 minuti, eliminando tra l’altro le scene più violente e
sanguinose, ma è stato solo l’inizio. Peckinpah sperava che la Columbia
fornisse la massima visibilità al suo film, ma la casa di produzione aveva
altre idee, infatti finì per sforbiciare altri 13 minuti alla pellicola (storia
vera).

“Fatemi solo capire, io nel film ci sono ancora dopo tutti questi tagli?”

A sparire dal montaggio finale furono molte delle scene
al rallentatore volute da Peckinpah, questo spiega anche perché tutto il
secondo atto del film sia piuttosto confuso e molti passaggi non si risolvono
certo in modo cartesiano, tra personaggi che scompaiono e sotto trame che vanno
perse. Certo ci si diverte, perché non mancano l’azione, il dramma tra i
personaggi e anche i momenti comici (come il tenente Graham che cerca di far
mettere in riga i suoi uomini nel caos completo di mulo raglianti e soldati nel
panico), “Sierra Charriba” malgrado la voce narrante infilata a forza e la
fanfara inutilmente gloriosa imposta come colonna sonora, resta un film
piacevole perché comunque diretto da uno sregolato genio, ma spezzettato a cui
mancano anche moltissime scene chiave, potrei citarvene tante, ma mi basterà
dirvi che nei piani originali di Peckinpah tutti i personaggi erano destinati
a morire tranne il giovane trombettiere Tim Ryan, potete capire da voi che
Peckinpah stava facendo le prove tecniche per i suoi futuri capolavori, ma non
aveva ancora distillato il fulmine dentro la bottiglia, la produzione gli
remava contro e anche per questa volta, la sua rivoluzione, quella con cui
avrebbe dato fuoco alla settima arte, era solo rimandata, ci sarebbe arrivato
un giorno, ma non ora.

Prove tecniche di gran massacro finale, ma per Peckinpah i tempi non erano ancora maturi.

Dall’esperienza di “Sierra Charriba”, Sam Peckinpah porta
a casa solo la sua nuova moglie, la bella Begonia Palacios, attrice messicana
che il registra strappò dalla sua terra nativa per segregarla nella sua casa
sull’oceano a Point Dume, tra i due enorme passione, ma anche vita tormentata,
hanno divorziato e si sono risposati tre volte, in tempo ridicolmente
ravvicinato (storia vera). Ma se la vita amorosa per il regista era
tesa, quella professionale stava andando sotto bevendo dall’idrante, “Sierra
Charriba” e il suo incasso modesto al botteghino avevano alimentato la fama di
Sam il ribelle, Peckinpah avrebbe dovuto rialzarsi in piedi con
“Cincinnati Kid” tratto dal romanzo di Richard Jessup, ma dopo aver lavorato a
lungo alla sceneggiatura, la produzione preferì affidare la regia al meno
problematico Norman Jewison, anche se le strade di Bloody Sam e Steve McQueen
si sarebbero incrociate lo stesso nelle rispettive carriere.

Quello che sembrava destinato ad essere il futuro di
Hollywood, ora era un regista a cui tutti indicavano la direzione della porta
d’uscita dalla mecca del cinema californiano, potete immaginare la reazione di
un passionale come Peckinpah che se prima aveva un rapporto stretto con la
bottiglia, ora avrebbe cominciato una lunga e intensa storia d’amore, la leggenda
vuole che tra un matrimonio e un divorzio, fu Begonia ad andare a ripescarlo, sulla
spiaggia di Point Dume mentre sconsolato sosteneva che ad Hollywood nessuno
gli avrebbe mai più fatto dirigere un film. A terra come uno dei suoi
personaggi, Bloody Sam Peckinpah era, però, destinato a rialzarsi, ci vediamo qui
tra sette giorni, per la caduta e il riscatto di uno dei più grandi Maestri
della storia del cinema, non mancate!

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